Stefano Bollani. E la musica si anima. Il gioco infinito della variazione chiude in bellezza Cremonajazz
Brusio nervoso, sala straripante di gente, mormorio di sorpresa tra lo sventolare dei programmi di sala per ristorarsi dalla calura all’apparire tra il pubblico dei vip Blanco e il suo amico Michelangelo da Vescovato…
Quando finalmente si abbassano le luci ed entra in scena Stefano Bollani ha inizio un concerto che non è semplicemente un concerto. È un atto di fiducia reciproca, una specie di rito improvvisato in cui il pubblico entra in sala senza sapere dove andrà, e il pianista siede al suo strumento senza dire da dove partirà. Nessuna scaletta, nessun programma di sala definito: solo un pianoforte a coda, e una platea pronta a lasciarsi stupire da un artista che fa del rischio la sua grammatica musicale.
All’Auditorium Arvedi di Cremona, Bollani ha confermato – o meglio, smentito con coerenza – ogni aspettativa, regalando al pubblico una serata in cui musica, umorismo, virtuosismo e teatro si sono intrecciati in due ore di musica fluida, viva e imprevedibile. La rassegna CremonaJazz, giunta alla sua decima edizione, si è così arricchita di un capitolo speciale: quello in cui l’improvvisazione si è fatta architettura, e la leggerezza ha assunto il peso della profondità.
“Homo sum, humani nihil a me alienum puto”, ci rammenta Terenzio: anche nella musica di Bollani c’è una profonda dimensione olistica. Tutti i generi sono collegati, tenuti assieme dal comune denominatore del modo disarmante e profondamente teatrale in cui Bollani sta in scena. Non recita nessun ruolo, ma lo crea ogni volta da capo mentre lo vive. Ogni pausa, ogni sorriso ironico lanciato al pubblico, ogni aneddoto improvvisato: tutto entra nella partitura. Ci si diverte, sì, ma senza superficialità, perché dietro ogni trovata c’è una consapevolezza musicale ferrea, una maestria assoluta, una cultura sterminata che attraversa secoli e continenti con una cifra unica: la facilità del genio.
Da Gillespie ai Beatles, da Piaf alla Vanoni, dalla canzone napoletana a incursioni in territori folklorici e radiofonici, come anche in brani autografi dal fascino conturbante, ogni frammento viene reinventato, destrutturato e ricomposto secondo un’intelligenza compositiva che spazia tra l’istintivo e il geniale. E così succede che il tema di Siam tre piccolini porcellin venga ‘posseduto’ dall’Allegro barbaro di Bartók senza che nessuno dei due brani si faccia troppo male…
Bollani non suona il pianoforte, piuttosto è lui stesso che viene attraversato dalla musica che si anima sotto le sue mani: il pianoforte è un compagno di giochi, un vero e proprio personaggio. Bollani non lo suona soltanto: ci dialoga, lo sfida, lo interroga. Quello che lui suona non è jazz, non è nemmeno musica classica: mentre le melodie si snodano e si deformano, si ha la sensazione che il vero spettacolo sia il momento stesso dell’atto creativo, l’incredibile ribollente brodo primordiale della musica in cui ogni cosa è presente. Perché è lì, nel momento in cui una nota apre una possibilità e un’altra la contraddice, che Bollani ci invita a guardare – come se ci dicesse: “Vedi? Anche questa può essere una storia tutta da raccontare”. E non esistono piccole storie, tutte meritano di essere raccontate dal genio narratore di Bollani.
L’Auditorium Arvedi, con la sua acustica preziosa e la sobrietà elegante degli spazi, si è dimostrato il contenitore ideale anche per questo tipo di esperienza: un teatro dell’ascolto, in cui ogni sfumatura viene amplificata e ogni reazione del pubblico diventa parte del racconto. Perché il pubblico, nei concerti di Bollani, non è mai spettatore passivo: ride, si sorprende, talvolta si commuove, ma soprattutto partecipa. Si crea un legame sottile e potente, una complicità che – come la musica stessa – nasce senza essere prevista.
In un panorama musicale spesso irrigidito da forme e aspettative, Stefano Bollani ci insegna con la ‘stranezza’ della sua musica che i confini non esistono, che ogni cosa contiene il suo contrario, e si fa profeta di un’arte libera, ludica e profondamente umana, per tutti e di tutti. Lo dimostra con il suo tradizionale divertissement ormai atteso con gioia dai suoi fans al termine di ogni concerto, una prova di virtuosismo e ars combinatoria consistente in un medley composto al momento con i primi dieci brani che il pubblico suggerisce al momento. Un significativo accenno a Imagine, che è valso più di mille parole, ha scritto i titoli di coda - insieme a una goliardica e divertente cover degli U2 e a un poetico omaggio al grandissimo Nino Rota - di un’oasi di bellezza e gioia pura, in questi tempi drammatici, che ha ristorato lo spirito aiutando a sperare che un mondo migliore sia possibile. Standing ovation e felicità del pubblico.
Grazie a Stefano Bollani e a CremonaJazz per questa bellissima serata!
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Foto di Salvoliuzzi Photographer
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