StradivariFestival, apertura incandescente con gli archi dei Berliner Philarmoniker. Un trionfo di bellezza sonora
L’inaugurazione della stagione autunnale dello Stradivari Festival non poteva avere cornice più prestigiosa né protagonisti più attesi: l’Ensemble d’archi dei Berliner Philharmoniker, guidato dal konzertmeister, il violinista Krzysztof Polonek, ha regalato al pubblico cremonese una serata davvero memorabile.
L’ensemble si è imposto fin dal primo istante per la straordinaria qualità del suono, quella sonorità calda, pastosa e allo stesso tempo trasparente che da sempre rende l’orchestra berlinese un’eccellenza mondiale. L’acustica perfetta dell’Auditorium Arvedi, con la sua capacità di restituire ogni minima sfumatura timbrica e di sostenere i piani sonori senza mai confonderli, ha esaltato ogni dettaglio dell’ensemble, trasformando l’ascolto in un’esperienza immersiva e quasi multisensoriale.
È stato come ascoltare un unico, immenso strumento ad arco, composto da decine di voci che respiravano insieme. Unitarietà di intenti che si rende possibile quando non c’è un direttore ma l’intesa e il dialogo si costruiscono nel gruppo in un tempo condiviso, momento per momento, mettendo da parte ogni individualismo in una sorta di coscienza collettiva.
La Holberg Suite di Grieg ha aperto la serata con un equilibrio tra energia e raffinatezza: i trascinanti ritmi dattilici del Praeludium vibravano di vitalità, mentre i soli degli archi scuri nella Sarabande hanno offerto una linea cantabile intessuta di profondità tridimensionale. La sacralità dell’Air ha letteralmente incantato con il millimetrico dosaggio delle dinamiche, ma ancor più con i temi enunciati in fasce sonore dalla consistenza materica. Effervescenza pura nel Rigaudon con il dialogo serrato tra primo violino e prima viola per un finale trascinante. Nel Concertino op. 42 di Weinberg Polonek, nelle vesti di solista, ha dato prova di carisma e sensibilità, cesellando la melodia con un fraseggio appassionato e luminoso, perfettamente integrato nella trama orchestrale. Il suono si è srotolato morbido e sinuoso dal suo preziosissimo strumento, un violino Nicola Amati del 1600. Le caratteristiche timbriche sono sensibilmente diverse da quelle degli illustri successori cremonesi, in ragione anche delle differenti misure: una purezza quasi liquida nei registri acuti e toni più ambrati ma sempre delineati sulle corde gravi, una voce dolcissima capace di ammaliare l’uditorio, per un capolavoro frutto dell’ingegno costruttivo del liutaio cremonese, valorizzato al meglio dal talento di Polonek.
L’ Allegretto moderato poco rubato ha messo in evidenza la sorprendente precisione e pulizia delle sezioni nei passi di agilità che si rincorrevano tra pizzicati e balzati di un nitore eccezionale. Effetti al ponticello, chiaroscuri con le sordine, aspri timbri al ponticello: tutta la gamma delle possibilità timbriche è stata esplorata da questi caleidoscopici musicisti.
Nella seconda parte del concerto, la Sinfonia n. 10 di Mendelssohn, lavoro giovanile breve ma già con uno spiccato carattere, con un evidente sguardo rivolto alle geometrie del classicismo, ha messo in luce la precisione dell’ensemble, che ha saputo esaltare la freschezza dell’opera senza rinunciare a una tavolozza di colori finemente assortita. Un solitario arpeggio della terza viola appena scivolato in avanti rispetto alla melodia principale eseguita dall’ensemble e prontamente riallineato ha rappresentato la sublime imperfezione, la rassicurante prova di star assistendo a una rappresentazione umana e non a un prodotto generato dall’IA per la sua patinata perfezione.
Infine, la Serenata per archi di Čajkovskij ha suggellato la serata con un’apoteosi di eleganza e potenza: una massa di suono travolgente, dal lirismo struggente dell’Elegia, incantevole nel tema consegnato al suadente suono delle viole nello sviluppo, e magicamente ripreso in un pianissimo, proveniente, per la sua consistenza, da distanze siderali e sovrumane, alla vitalità trascinante del Finale, con il suo bucolico Tema Russo; gli archi berlinesi hanno fatto risuonare la sala cremonese come la cassa vibrante di un unico, grande strumento.
Un trionfo di bellezza sonora, dunque, vissuto attraverso un programma che ha accomunato autori di ogni provenienza geografica, costruendo ponti e azzerando confini, reso possibile dall’incontro tra i musicisti di una delle migliori orchestre del mondo con un luogo che ne ha amplificato la sontuosa magnificenza. Il pubblico, travolto dall’entusiasmo, ha tributato lunghi e calorosissimi applausi, prova sicura che lo Stradivari Festival è iniziato sotto il segno dell’eccellenza assoluta.
Fotoservizio di Francesco Sessa Ventura
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