Strani giorni della Merla, tradizionalmente i più freddi. La storia e la leggenda, i canti, le fiabe, la letteratura
L'evidenza del termometro sembra dar torto alla tradizione che vuole i giorni della Merla, che iniziano oggi, 29 gennaio, i più freddi dell'anno e si legano ad antichi riti agro-pastorali che accompagnano i passaggi stagionali, in questo caso il risveglio della natura trascorso l'inverno, con elementi imprescindibili come l'acqua ed il fuoco. Nel cremonese, ma anche nel lodigiano, in Friuli e nella Maremma grossetana sono caratterizzati dai canti, che a Crotta d'Adda si tengono dal 29 al 31 gennaio, in altre località, ad esempio Soresina, anche il 1 febbraio. La tradizione, in vigore fino agli anni Trenta del secolo scorso, si era persa in seguito alle disposizioni sul coprifuoco nel corso dell'ultima guerra mondiale, poi in seguito allo spopolamento delle campagne negli anni Cinquanta. E' tornata agli inizi degli Settanta a Formigara, per poi estendersi progressivamente negli altri comuni di Crotta d'Adda, Soresina, Annicco, Trigolo, Pizzighettone, Gombito, San Bassano, Sesto ed Uniti, Genivolta, Stagno Lombardo, Pianengo e tanti altri.
Nonostante la sua diffusione, l'origine della tradizione e delle leggende che l'accompagnano non è chiara, hanno tuttavia in comune due temi fondamentali: il merlo ed il fiume. Il tema più antico narra che gennaio aveva 28 giorni, ma ne prese in prestito 3 da febbraio per vendicarsi della merla, la sua antagonista, in quanto era invidioso della sua candida livrea e del suo canto, e la perseguitava con violente bufere ogni qualvolta la poveretta usciva dal riparo. Finalmente la merla pensò di riempire il suo caldo nascondiglio di così tante provviste bastanti per tutto il mese e allo scadere del 28esimo giorno, quando finalmente riuscì all'aperto credendo che l'inverno fosse finito, gennaio, avendo ottenuto tre giorni in più, ritornò ancora più aggressivo di prima e la costrinse a ripararsi in un buio e sporco comignolo; la merla dal candido piumaggio alla fine si salvò, ma le sue piume restarono grigie per sempre.
Della leggenda esiste anche un'altra variante con al centro sempre una merla dal piumaggio bianco che, infreddolita e indebolita dalla mancanza di cibo dovuta al gelo, un giorno scelse di trovare riparo dentro un comignolo. Il volatile decise di restare al caldo per tre giorni, quelli più freddi. In questo modo riuscì a recuperare forze e sopravvivere, diversamente da altri uccelli. Nel frattempo la merla, rimasta a contatto con la fuliggine del comignolo, era diventata interamente nera. Essendo l'unica merla rimasta in vita, da allora tutti i merli nacquero neri come il carbone. Sono due varianti della leggenda medievale del merlo beffato riportata da Dante Alighieri nel Purgatorio girone Invidiosi: “.. tanto ch’io volsi in sù l’ardita faccia, gridando a Dio ”Ormai più non ti temo!” come fé il merlo per poca bonaccia”(Ormai non ti temo più, come fa il merlo per un po’ di bel tempo).(Purgatorio XIII, 119-123). Si tratta della favola del merlo che avendo trascorso un gennaio molto temperato e dolce, e vedendo una giornata soleggiata e calda si credette l’inverno già finito, fuggendo dal suo padrone gridò: “Più non ti curo Domine, che uscito son dal verno!“, per pentirsene subito dopo perchè si mise a nevicare e la stagione divenne ancora rigida.
La leggenda dello scambio di giorni tra gennaio e febbraio si ricollega invece ad un fatto storico: l'antico calendario romano detto di Numa Pompilio fu modificato da Giulio Cesare che al precedente calendario lunare di 10 mesi aggiunse i mesi di gennaio e febbraio assegnando a gennaio 29 giorni e a febbraio 28. Ma l'anno non collimava ancora con l'anno solare, così si aggiungeva ogni tanto, un mese intercalare detto mercedonio la prima e la seconda parte di febbraio. Con il calendario giuliano (46 a.C.) si passò definitivamente a un calendario solare basato sul ciclo delle stagioni, fissando l'inizio dell'anno al 1° gennaio: si eliminò il mese di mercedonio e si introdusse l'anno bisestile; così che a gennaio vennero assegnati due giorni in più. Da notare che per i romani febbraio deriva dal latino februare, che significa “purificare” o “un rimedio agli errori”, era il mese dei rituali di purificazione, perchè precedeva la fine dell’anno. L’anno infatti iniziava con marzo e la primavera. Il numero tre è poi significativo per il suo significato simbolico come anche il piumaggio della merla: da bianco a nero cioè morte e rinascita, essendo il nero associato all’acqua, e così ancora ritorna il tema della lustrazione.
E veniamo al ruolo del merlo, che ci riporta a miti, e immagini, molto più antiche legate all’immaginario delle genti di stirpe celtica. Secondo una leggenda francese ma con evidenti origini celtiche, il merlo aveva un piumaggio candido, ma un giorno discese nei regni sotterranei, e tentò di rubare, con il becco, della polvere d’oro. Un mostro, che montava la guardia, lo avvolse con fumo e fiamme. E le sue piume mutarono colore per sempre. Il merlo è un uccello che ha a che fare con l’altro mondo. Un animale psicopompo, che fa la spola tra il regno dei vivi e quello dei morti. E non a caso il suo canto si leva all’imbrunire, nel momento di passaggio tra la luce e la tenebra. Il merlo sta sul confine, tra giorno e notte, tra inverno e primavera. Tra vita e morte. E canta. È, poi, un uccello “sapiente”. Ha il dono di imitare il canto degli altri volatili. Conosce, dunque, tutte le lingue degli uccelli, di cui ci parla Attari in uno dei libri più affascinanti della, splendida, letteratura persiana. E una particolare specie di merlo, quello indiano, può persino parlare le lingue degli uomini. Anche per questo in gaelico il merlo veniva chiamato “Druidh Dhubh”. Nome che richiama gli alberi, e i sacerdoti degli alberi: i Druidi. E i Druidi, nelle tradizioni gallesi, vengono anche chiamati Uccelli di Rhiannon. L'antropologa Antonia Bertocchi ha spiegato che la favola ha origine paleolitiche e si ricollega al mito della dea-uccello. In questo senso il merlo “è l'aiutante magico che conosce il linguaggio segreto con cui le forze sacre immanenti nella natura dialogano fra di loro, per riorganizzarsi nella autoriproduzione dei cicli vitali.” Nella tradizione celtica il merlo è associato alla Dea Rhiannon. Rhiannon, nei Mabinogion gallesi, è la Grande Regina, dea o umana che sia. A lei sono sacri anche i cavalli, come alla gallica Epona. Ed è al centro di un complesso di miti, tutti afferenti alla rigenerazione della natura e al rapporto con l’oltretomba. Bellissima, viene descritta con lunghi capelli rossi che scendono selvaggi sul bianco collo. Gli occhi verdi come il sottobosco nell’aurora. Re ed eroi la amano. E per lei sono spinti ad incredibili imprese. Rhiannon è la dea che, nel gelo profondo dell’inverno, già annuncia la primavera, che promette un’altra vitae la rinascita. La leggenda dice che gli uccelli di Rhiannon sono tre merli, che sono appollaiati e cantano sull’albero della vita ai confini con i mondi ultraterreni. Il loro canto, mette l’ascoltatore in uno stato di trance, che gli consente di recarsi nei mondi paralleli. Il merlo è anche il detentore dei segreti della magia.
Il secondo tema è quello del fiume ghiacciato per il grande gelo che però non regge il peso dei malcapitati che decidono di attraversarlo: varie leggende sono diffuse lungo il fiume Po, le troviamo nell'Oltrepò pavese quasi identiche a quelle lombarde, sullo sfortunato destino della bella Merla (questa volta non un pennuto ma una fanciulla della famiglia de' Merli). La leggenda vede infatti Merlo e Merla nelle vesti di due giovani sposi che, sposandosi come di tradizione nel paese della sposa che si trovava oltre il Po, erano costretti ad attraversare il fiume per giungere di ritorno nella loro casa. Dopo aver atteso ben tre giorni dai parenti in attesa che le condizioni climatiche migliorassero e visto che non vi era nessun cenno di miglioramento, decisero di attraversare a piedi il fiume che, dato il gran freddo, era ghiacciato. Purtroppo Merlo nell'attraversamento del fiume, morì poiché la lastra di ghiaccio non resse il suo peso. Merla pianse così tanto di dolore che si dice che il suo lamento si senta che ancora oggi lungo le acque del Po nelle notti di fine Gennaio. In ricordo di questo triste episodio, le giovani in età da marito si recavano sulle rive del fiume nei tre giorni della Merla per ballare e cantare una canzone propiziatoria il cui ritornello dice: "E di sera e di mattina la sua Merla poverina piange il Merlo e piangerà".
Nel 1740 Sebastiano Pauli (Modi di dire toscani ricercati nella loro origine,Venezia, appresso Simone Occhi MDCCXL, p. 341) fornisce un'originale interpretazione: “«I giorni della Merla» in significazione di giorni freddissimi. L'origine del quel dettato dicon esser questo: dovendosi far passare oltre Po un Cannone di prima portata, nomato la Merla, s'aspettò l'occasione di questi giorni: ne' quali, essendo il Fiume tutto gelato, poté quella macchina esser tratta sopra di quello, che sostenendola diè il comodo di farla giugnere all'altra riva. Altri altrimenti contano: esservi stato, cioè un tempo fa, una Nobile Signora di Caravaggio, nominata de Merli, la quale dovendo traghettare il Po per andare a Marito, non lo poté fare se non in questi giorni, ne' quali passò sovra il fiume gelato”. La morale della favola è sempre quella: non fidarsi delle apparenze e non credere che l’inverno sia passato perché alcuni giorni sono stati meno rigidi del solito.
Vale solo la pena ricordare che a Crotta d'Adda il fuoco rituale che accompagna i canti della Merla veniva acceso in riva al fiume ai piedi della piazzetta dominata dalla statua di San Cristoforo, protettore dei traghettatori. In ogni caso la Merla era l'avvenimento rituale attraverso il quale avveniva la propiziazione per il buon andamento dell'annata agraria, e quindi di quello che era il primo raccolto dell'anno, e cioè il baco da seta. Riassume bene tutti questi temi il racconto con cui Giancorrado Barozzi, responsabile scientifico dell'Atlante Demologico Lombardo, ha descritto i canti della Merla di Crotta d'Adda nel corso del convegno sui fuochi rituali tenutosi a Pescarolo nel 2005: “La notte del 31 gennaio dell'anno 2000, l'ultimo dei tre giorni cosiddetti della Merla, mi ero recato, in compagnia dei miei collaboratori Antonia Bertocchi e Mario Varini, nel paese di Crotta sulle rive dell'Adda, per documentare il rito della Merla. Sulla sponda del fiume che lambisce quel borgo rurale del Cremonese, ai piedi di una piazzetta dominata dalla statua di San Cristoforo, protettore dei traghettatori, gli organizzatori del rito avevano acceso dopo il tramonto un maestoso falò al quale, di lì a poco, sull'argine della sponda opposta (dalla parte di Meleti, nel Piacentino) rispose un secondo fuoco. Tra i due falò scorrevano le acque notturne del fiume ravvivate dalle fiammelle galleggianti di centinaia di piccoli moccoli portati dalla corrente e dalla sagoma luminosa di una Merla di enormi proporzioni, «icona pop» simile a un'insegna da tirassegno, disegnata con decine di lampade a incandescenza, alimentate da una batteria e fissate sopra una zattera ancorata al centro dell'Adda. La presenza dei due falò che rischiaravano le rive del fiume e di queste tremule luci a pelo d'acqua contribuiva a creare una notevole suggestione estetica che connotava in modo assai efficace la festa. Nella piazzetta di San Cristoforo a Crotta, sull'argine di fronte che riparava il paese di Meleti, i protagonisti del rito, distinti in due gruppi di cantori, presero ad alternarsi nell'esecuzione di un comune repertorio di canti rituali in dialetto piacentino-cremonese: i canti della Merla.Canti responsoriali che i coristi dei due paesi si rinviavano da una sponda all'altra, punteggiando acusticamente, per la terza notte consecutiva, l'ambiente fluviale. Oltre alle presenze dell'acqua e del fuoco, va sottolineato anche l'importanza dei temi legati al fumo e alla fuliggine all'interno di questo complesso mitico, rituale che ruota attorno al motivo leggendario della Merla. Una leggenda tradizionale, ben nota a tutti i Cremonesi, secondo la quale, in un mitico tempo, i merli, da bianchi che erano, divennero neri per essersi andati a scaldare a fine gennaio, durante i tre giorni più freddi dell'anno, all'interno di un fuligginoso camino. Usciti da quel temporaneo rifugio, i piccoli della Merla costatarono che il loro piumaggio si era annerito in modo indelebile e, da allora in poi, questa specie di uccelli non riuscì mai più a liberarsi da tale colorazione?”.
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