Subito dopo Sepùlveda ma prima di Chatwin, il cremonese Maurizio Furgada nella top ten dei libri sulla Patagonia. Ha percorso a piedi l'intera regione
Subito dietro Luis Sepùlveda e prima di Bruce Chatwin. 'Patagonia' (edizioni Mille Battute), di Maurizio Furgada, 62 anni, cremonese, laureato in Giurisprudenza all'Università Statale di Milano, impiegato della Prefettura, ha conquistato il secondo posto nella recente classifica su Amazon dei dieci migliori libri dedicati alla Patagonia.
“Mi sento in buona compagnia”, sorride, sfogliando le sue pagine, l'autore. Pubblicato nel 2012 e ripubblicato nel 2020, la forza del testo sta “nell'essere molto vivo”, spiega Furgada, che nel 1999 ha ottenuto il Premio per la pace della Regione Lombardia 'per aver realizzato un progetto interetnico in Bosnia' e che nel 2010 ha vinto il Premio letterario 'L'Autore' con un manoscritto selezionato tra gli oltre quattromila presentati.
Australia, Nuova Zelanda, Polinesia, India, Birmania, Guatemala, Cuba, Vietnam, Balcani: non c'è praticamente Paese che Furgada non abbia visitato (termine fuorviante per il diretto interessato). Ma la Patagonia ha un sapore tutto speciale, quasi fosse la patria ideale. Il suo “viaggio letterario”, come lo definisce, sulle tracce di Chatwin, il grande scrittore inglese che si è occupato dello studio dei nomadi, si è protratto per quattro anni. Quattro viaggi della durata di tre mesi ognuno per un totale di permanenza di un anno.
“Un amico, a cui ho dedicato il mio volume, mi aveva detto che dopo l'Amazzonia, arrivando fino al villaggio dove si era fermato Ernesto Che Guevara, restava solo un luogo dove potevo andare: la Patagonia. E mi donò il famoso diario di Chatwin”. Con quel regalo, in edizione italiana, in una tasca e i suoi taccuini nell'altra, Furgada è partito per il punto più meridionale del Sud America, al limite del mondo, seguendo i consigli che un giovane basco, anni prima, gli aveva dato: “Zaino leggero, pochi indumenti essenziali, una tenda, scarpe e giacca di Goretex, maglia termica, acqua, cibo e nient'altro”.
La Patagonia, con le sue montagne, i suoi ghiacciai, i suoi deserti, le sue foreste, le sue immensità silenziose, la sua natura ostile eppure affascinante, il suo vento instancabile, l'ha percorsa palmo a palmo, da Nord a Sud, da Est a Ovest, interamente a piedi. A volte approfittando del passaggio di un colorito camionista mezzo matto o di uno stupito personaggio del posto che gli chiedeva cosa ci facesse in mezzo a quel nulla. Si è spinto dove si è inoltrato Chatwin, ma anche in altri luoghi più lontani e misteriosi.
“Posso dire di essere il primo e unico viaggiatore ad aver ricostruito la via di Lago Posadas”. E ha conosciuto, raccogliendo umilmente e senza superbia le loro storie di speranza e disperazione, gli abitanti dei confini della terra che ha incontrato Chatwin, quelli che ne conservavano un buon ricordo e quelli decisamente meno. “Ho avuto paura e in certi momenti ho anche rischiato di perdermi, avvertendo però la viva sensazione che Chatwin stesse davvero camminando al mio fianco”.
La Patagonia, quella di Chatwin e quella di Furgada, non esiste più. “E' diventata un posto di turismo di massa, prima non ci andava nessuno, era integra. Nel 2006, attraversando la frontiera tra il Cile e l'Argentina, mi sono ritrovato in un villaggio piccolissimo. Ci sono tornato un anno dopo con il bus: ovunque negozi, ristoranti, pizzerie, alberghi. Non lo riconoscevo più. La vera Patagonia è quella dove il tuo vicino ha la casa a 400 chilometri di
distanza”. Furgada ammette che la sua avventura è stata un po' una cosa folle. Per farla ci vuole, citando Chatwin, irrequietezza o, come la chiamo io, mancanza di adattamento alla società in cui si vive”.
L'autore cremonese era in Patagonia, come ha scritto, “non per cercare la mia felicità. Ero lì per placare l'ansia che mi aggrediva durante i mesi della vita stanziale. Nel movimento sentivo da sempre qualcosa di ancestrale, inspiegabile a parole, impagabile con il denaro”. Quel lungo viaggio in quattro puntate, dal contino susseguirsi di emozioni, immagini, volti, annotazioni e anche imprevisti è sfociato in 'Patagonia'. Un'opera ricca di fascino, affidata a uno stile originale, coinvolgente, brillante. A tratti, anche se può sembrare un'eresia (sicuramente lo è per il suo emulatore), più di quello dell'ispiratore. Un testo che meriterebbe a pieno titolo un'edizione inglese. Inutile dire che Furgada, lo scrittore, è in pieno fermento. “Ho riempito un sacco di taccuini sulla Patagonia, non li ho utilizzati tutti, potrebbe nascerne un altro libro. Ma in questo momento sto lavorando a un romanzo i cui personaggi stanno viaggiando, alcuni, in Australia e, altri, in Amazzonia. La trama, la storia li farà incontrare. Sono a buon punto. Anzi, ho già messo la parola fine. Il titolo? No, quello non si dice”.
Non è fermo, altrettanto ovviamente, nemmeno il Furgada viaggiatore. “Sto pensando di tornare in Bosnia e attraversarla a piedi. Stavolta non sulle tracce di altri, ma di me stesso”.
Nelle foto Furgada con il suo libro, alcune immagini dei viaggi in Patagonia, poi la cartina e il libro di Chatwin
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