6 ottobre 2024

Tra passato e presente della musica, tanti applausi per la magia del violoncello di Giovanni Gnocchi e del violino di Yuki Serino per la prima dello STRADIVARIfestival

Ancora affaticati dal piacevole tour de force di Cremona Musica gli stakanovisti delle sette note sono convenuti numerosissimi al primo appuntamento in cartellone per la dodicesima edizione dello STRADIVARIfestival. 

Quale migliore occasione, infatti, per verificare di persona la qualità acustica della concert hall cittadina, soprattutto dopo le recenti polemiche nate intorno alla resa sonora degli strumenti nella sala in questione! 

Il patron del festival, Roberto Codazzi, ha salutato il pubblico introducendo il tema che ha dato il titolo alla serata: la Musica come ponte tra passato, presente e futuro, impersonato dalla presenza nell’ovale di musicisti che rappresentano la tradizione ormai consolidata dell’eccellenza cremonese, come il violoncellista Giovanni Gnocchi, e un manipolo di valorosissime nuove leve riunitesi intorno a lui per eseguire uno dei capolavori del genio beethoveniano, il Settimino op. 20.

Connessioni dunque, a tutti i livelli, in questa inebriante apertura del festival: connessioni tra generazioni, accomunate dall’altissimo livello esecutivo e la frequentazione dell’Universität Mozarteum di Salisburgo, accademia in cui Gnocchi è Professore; connessioni tra stili, in un appassionante viaggio tra passato, rappresentato da Bach e Beethoven, e contemporaneità, con brani di due compositori viventi in programma, Jörg Widmann e Judith Weir, e connessioni strumentali, nell’accostamento tra liuteria moderna, con il violoncello novecentesco di Gaetano Sgarabotto suonato da Gnocchi e la liuteria classica cremonese celebrata dal risuonare del più importante dei violini del Museo: l’iconico Stradivari 1715.

Il magico rituale stasera è stato celebrato dal nuovo Conservatore Roberto Angeloni. La custodia ha rivelato il prezioso tesoro che è stato consegnato nelle mani di Yuki Serino, già nota al pubblico cremonese per aver vinto il primo premio al neonato Concorso Internazionale di Violino “Città di Cremona”.

Serino e Gnocchi hanno letteralmente aperto le danze eseguendo tre brevi miniature dai 24 Duetti per violino e violoncello del compositore, direttore e clarinettista tedesco Jörg Widmann. Rappresentante di una contemporaneità godibile, con riferimenti armonici di facile percezione e largo uso della parodia come tecnica compositiva, il suo dettato è stato reso egregiamente, per quanto irto di difficoltà tecniche notevoli. Echi molteplici, da Kodály, a Ravel, da Britten a Hindemith, con un sentore di malinconico folklore mahleriano nei frammenti di danza del Valse bavaroise. Il maestro e l’allieva hanno dialogato in perfetta sincronia; giocando con le innumerevoli suggestioni si sono districati con grande eleganza nel caos solo apparente della scrittura musicale, mantenendo saldo il controllo del suono anche in zone ostiche sovracute della tastiera, supportati dalla assoluta padronanza tecnica ma anche dalla qualità dei loro strumenti. 

Dopo un esordio così vivace e folgorante la scena è stata tutta per Gnocchi, che si è cimentato con un’opera non convenzionale: “Unlocked”, di Judith Weir, si ispira ai canti raccolti e registrati negli anni ’30 dagli etnomusicologi John e Alan Lomax tra i detenuti delle carceri americane. Il violoncellista cremonese ha messo in evidenza tutta la sua maestria, in questa trasfigurazione struggente di voci perdute nel tempo: gospels e spirituals, appena percepiti tra effetti che hanno esplorato una gamma inaspettata delle  possibilità espressive del violoncello: abbiamo ascoltato tambureggiamenti delle dita sulla cassa armonica, pizzicati della mano sinistra alternati a gettati, e ogni altra sorta di espedienti tecnici che hanno rivestito e eternato, donando grandi emozioni, le sofferenze di questi uomini dolenti, perché privati del bene più essenziale. 

Gnocchi ha lasciato la scena fischiettando, come da partitura, ma il viaggio nel tempo ha subito dissipato il velo di tristezza che aleggiava, perché è giunto il momento clou che tutti attendevamo: l’esecuzione da parte di Serino di uno dei pilastri del repertorio violinistico, ovvero la Seconda Partita di Bach per violino solo.

Accostarsi a Bach rappresenta sempre una dimensione sacra nell’esperienza dei musicisti: non si tratta di eseguire passi più o meno difficili, e neanche però di attingere alla propria personalità per delineare un’interpretazione convincente. Bach ha una sua assolutezza che pretende di essere rispettata e riportata nel rito comunicativo del concerto. 

Serino è interprete eccezionale dal punto di vista della prassi esecutiva, della brillantezza del suono e della padronanza tecnica della mano sinistra. La sua scelta di staccare tempi nervosi è stata evidente sin dall’Allemanda. L’arco non si concede affondi, così come nella Sarabanda, monumento dalle profondità oscure e travagliate. Ma è nella celeberrima Ciaccona che questa tendenza della giovane musicista ad enunciare il discorso musicale tutto sull’asse orizzontale della linea melodica diventa preponderante. Questo brano rappresenta, con le sue variazioni, una vetta da scalare con pazienza e introspezione. La durata di un normale movimento di suite si dilata a dismisura, e quando la stanchezza e la concentrazione cominciano a farsi sentire lo spartito richiede un supplemento di fatica e di approfondimento della struttura, per poterle restituire senso narrativo e destinazione verso la meta.

Un percorso mistico insomma, che necessita per compiersi al meglio di una polifonia che invece ci è un po’ mancata, quella sovrapposizione di voci che scaturisce dall’elaborazione delle cellule motiviche originarie ed edifica, variazione dopo variazione, la magnifica cattedrale che è questo brano. Serino sceglie di accantonare la verticalità per dipanare un filo invisibile che serpeggia galleggiando per tutto il tempo sulla superficie, e non indaga le fondamenta. 

Il suo suono fresco e spumeggiante è invece perfettamente appropriato per la temperie culturale in cui si inscrive il Settimino di Beethoven. 

Attorniata dai valentissimi musicisti selezionati per l’occasione da Gnocchi, tutti outsider del loro strumento, Serino conduce il gioco con sicurezza e impeto. Il gruppo mostra grande compattezza e impasto timbrico calibrato. L’eleganza un po’ démodé di questa composizione è resa appieno da Sara Marzadori (viola), Roberto Di Ronza (contrabbasso), e i bravissimi musicisti della sezione fiati: Lorenzo Dainelli (clarinetto), Giulia Cadei (fagotto) e Stefano Rossi (fagotto), sempre impeccabili e cesellatori di suoni levigatissimi. Ancora, il ponte tra passato e futuro è rappresentato dal contrasto tra i musicisti che si affidano al cartaceo e voltano le pagine con le mani e quelli più audaci che hanno ormai compiuto il salto nel futuro dotandosi di pedaliera e tablet. 

Sarebbe facile se la Musica, come anche l’acustica, fosse una scienza esatta, e inserendo i giusti parametri potessimo ottenere l’esecuzione perfetta. Ma per sfortuna, o chissà, per grande fortuna, non è e non sarà mai così. 

Il futuro della Musica è scritto di sicuro nel DNA di questi bravissimi musicisti, salutati da convinti applausi, che hanno aperto con un concerto di altissimo livello un’edizione dello STRADIVARIfestival che promette appuntamenti spettacolari, con una passerella di star di caratura internazionale. Prossimo imperdibile concerto venerdì prossimo con il Gidon Kremer Trio

Fotoservizio di Gianpaolo Guarneri (FotoStudio B12)

Angela Alessi


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