21 marzo 2025

Travolgente viaggio musicale di emozioni dal protoromanticismo alla contemporaneità con gli allievi della Stauffer

Un viaggio. Bellissimo. Affascinante, intrigante e originale dall’apice del classicismo preromantico e alle idee musicali ironiche e pungenti della nostra contemporaneità. È stato tutto questo il secondo appuntamento de ‘I concerti della Stauffer’: la rassegna primaverile dell’Accademia cremonese in cui gli allievi suonano al fianco dei loro Maestri.

Sul podio del Museo del Violino, un ispiratissimo Kolja Blacher ha guidato, in questo vorticoso vortice di emozioni e di arditezze tecniche, lo Stauffer & Euyo Ensemble. Proprio a partire dalla Sinfonia n.49 (La passione) di Haydn. Un vero punto di passaggio della scrittura del compositore austriaco dallo stile classico alle sonorità preromantiche. Con un incupirsi delle tonalità minori. Con scansioni ritmiche sempre più concitate. Con strutture armoniche percorse, con frequenza, da tensioni e dissonanze. Curatissima è stata la amalgama del suono nei due movimenti ‘veloci’ a sottolineare i repentini mutamenti ritmici e i chiaroscuri tra i ‘piano’ e i ‘forti’.

Solo apparentemente, con la mozartiana Sinfonia concertante per violino, viola e orchestra in Mi bemolle maggiore, si è tornati nell’orizzonte più sereno del classicismo. Un universo però già ampiamente cosparso di bagliori ‘sinistri’ con la presenza di frammenti che si troveranno nell’ouverture dell’Idomeneo. Opera praticamente coeva, (come numero di catalogo) a questo mirabolante dialogo a tre: violino, viola e orchestra. Un lavoro del genio di Salisburgo ben utile e completo nel far ascoltare gli insegnamenti dell’accademia ai futuri solisti di violino e di viola. E contestualmente nel far apprezzare la loro acquisita capacità di esprimersi nell’articolata e matura scrittura di Mozart; creata dopo la sua conoscenza e frequentazione dell’orchestra di Mannheim. Brillanti Hulda Jònsdçttir (violino) e Annika Starc (viola). Brave nel dialogo tra loro, indiscutibili nella tecnica, ma attente a sottolineare la cantabilità dei passaggi più lirici; soprattutto nel sontuoso Andante. Impeccabili nella lunga cadenza del primo movimento.

E la chiusa del concerto, come in una prosecuzione ideale nelle forme trado settecentesche, è stata riempita dal Divertimento per orchestra d’ archi BB 118 di Béla Bartók. Il lavoro, scritto appena prima della partenza per gli Stati Uniti del compositore ungherese alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, è la sintesi perfetta della trasformazione della struttura in chiave contemporanea degli antichi stilemi. Una composizione ricolma di lampi. Di arditezze. Di ironiche e oniriche tecniche strumentali. Anche qui suono pressoché perfetto con una prestazione maiuscola delle ‘prime parti’ orchestrali dei violini, delle viole, dei violoncelli e dei contrabbassi. Tutto ciò a dimostrazione di quanto la qualità, anche orchestrale, degli allievi sia ormai altissima. Il risultato è stato spumeggiante. Ha scolpito dai temi ‘popolari magiari’. Ai fugati in ‘antico stile’. Fino ad arrivare alle invenzioni ritmiche di una scrittura contemporanea. E tutto fatto con estrema naturalezza, con il sorriso e la passione per quei ritmi travolgenti e così semplicemente complicati. 

Blacher si è dimostrato direttore non accademico. Quasi mai ha scandito il tempo, ma ha dato un’impressionante forza all’interpretazione, partecipando, quasi istrionicamente, all’andamento delle partiture.

Applausi all’esecuzione. E un profondo omaggio all’opera didattica e artistica della Fondazione. 

Roberto Fiorentini


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