24 novembre 2023

Trent'anni fa il restauro del coro di San Sigismondo, tornato a splendere grazie al prezioso lavoro di Vincenzo Canuti, l'ultimo grande ebanista cremonese

Il coro della basilica di San Sigismondo è senza dubbio una delle opere più esaltanti di quel Cinquecento cremonese che fu il secolo di maggiore fioritura dell'arte locale, che pur estrinsecandosi soprattutto nel ciclo di affreschi, può vantare in questo meraviglioso gioiello d’arte una perla di inestimabile valore. Se oggi possiamo ancora contemplarne la straordinaria bellezza, lo dobbiamo al prezioso lavoro di restauro iniziato dall’indimenticato Vincenzo Canuti trent’anni fa, il 23 novembre 1993. Canuti, l’ultimo grande ebanista cremonese che aveva il laboratorio in via Zaccaria del Maino, scomparso nel 2009 a 48 anni, ci ha lasciato nel coro un esempio della sua straordinaria bravura e competenza, insieme ad altri suoi grandi lavori come il restauro dell’armadio del Platina e quello del Carroccio al museo civico Ala Ponzone.

A realizzare il coro è stato l’intarsiatore cremonese Domenico Capra che aveva assunto il lavoro nel 1590 e i suoi due figli Brandimarte e Gabriele, che lo portarono a termine nel 1603. Nel 1993, quando si era deciso di mettervi mano, il degrado era talmente grave da averne fatto diventare urgente il restauro: molte erano le sconnessioni, i tarli avevano devastato gli stalli, che a loro volta si presentavano sconnessi in più punti, con gli schienali staccati, alcune delle cimase erano ormai inesorabilmente perdute, mentre un incendio aveva in pratica semidistrutto il primo stallo a destra. La godibilità stessa delle pregiate tarsie era di fatto impossibile, coperte com'erano di sporcizia al punto da non riuscire neppure a leggere i più evidenti segni geometrici. E le difficoltà da superare erano tantissime, anche se la principale era proprio quella di comprendere il singolo oggetto che ci si trovava in mano, verificarne la conformazione, studiare il trattamento più idoneo, schedarne le caratteristiche.

Quattro anni di lavoro di Vincenzo Canuti, divisi in quattro lotti, hanno riportato il coro al suo splendore originario. Le due ali del coro di San Sigismondo sono impostate secondo la tradizionale partizione del doppio ordine di stalli distribuiti su un piano inferiore e uno superiore, con schienali, testiere, braccioli, postergali, fianchi, strutture divisorie, tetto e cimase secondo la composizione canonica tipica dei cori lignei. La successione dei postergali è ritmata dall'alternanza delle erme, che fungono da principali elementi di sostegno alla trabeazione del tetto, e degli ovali, comprendenti i rilievi dei santi e delle imprese ducali.

Le ventisei erme, tredici per ciascuna ala del coro, sono costituite da figure maschili intagliate a tutto tondo, con l'intero busto scoperto e le braccia levate in atto di reggere delle basi scanalate di forma cubica, su cui poggiano le mensole a voluta della trabeazione superiore. Le teste, dalle capigliature assai folte e mosse, appaiono orientate in modo differente, anche se nella maggior parte dei casi le direzioni degli sguardi paiono convergere due a due. Alcune figure, dalla bocca chiusa o semiaperta, appaiono un po' assorte o perse in espressioni quasi di mestizia. Altre invece hanno l'aria ridente, tanto da mostrare il profilo della dentatura, hanno pigli beffardi, modi quasi da fauno. Anche le fattezze dei volti sono ben diversificate. La parte estrema del busto e gli arti inferiori sono mascherati da una lunga base rastremata verso il basso e decorata da un cherubino alato e da un'ornamentazione a squame variamente disposte e lumeggiate da dorature. Dall'estremità inferiore della lorica fuoriescono i piedi che poggiano su una base modanata. Insieme con le erme costituiscono le parti intagliate di maggiore rilevanza scultorea i rilievi dei santi e delle imprese viscontee e sforzesche, compresi negli ovali delle spalliere superiori.

La rientranza del piano di fondo degli ovali, rispetto al piano delle specchiature dove sono inseriti imprime alle figure un senso più marcato di profondità spaziale. Le colorazioni di fondo degli ovali, azzurre per i santi e verdi per le imprese, creano inoltre un deciso stacco con i piani intarsiati dei tergali, conferendo alle immagini un risalto ancora maggiore. Ogni santo ha come corrispettivo un altro santo nell'ovale di fronte sull'ala opposta del coro a cui si rapporta per analogia, rimarcata dalle similitudini dell'atteggiamento. Ad esempio i primi due santi che compaiono nell'ordine degli stalli, San Sigismondo e San Girolamo, a cui sono dedicati la chiesa e l'ordine monastico, si raffrontano in modo simmetrico, uno con la corona, l'altro con un grande copricapo, a sottolinearne la solennità.

Nella maggior parte dei casi le figure dei santi si caratterizzano per un sostanziale equilibrio delle proporzioni e per la resa sciolta delle forme. A corollario dei santi i bassorilievi degli emblemi viscontei e sforzeschi: il levriero sotto il pino, la colomba in mezzo alle fiamme, la spazzola, i morsi del cavallo. Le immagini dei sovrani Filippo III e Margherita d'Austria e dei duchi milanesi Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti si richiamano agli esempi più diffusi della ritrattistica di rappresentanza: Filippo III, il cui potere è sottolineato dalla presenza della corona regale e del toson d'oro, è rappresentato con una mano appoggiata sul fianco e l'altra sull'elsa della spada; Francesco Sforza con lo scettro ducale e con indosso alcuni elementi d'armatura che evocano il suo passato di condottiero; la regina spagnola e la duchessa milanese hanno entrambe in mano un fazzoletto, uno degli attributi più comuni nelle raffigurazioni femminili del tempo, e la prima, con una accuratissima acconciatura, è rappresentata con la mano destra rivolta verso il coniuge, l'altra con un mano premuta sul petto a sottolineare la sua devozione religiosa e la dedizione alla chiesa di cui era stata la fondatrice.

Purtroppo questo splendido capolavoro è oggi visitabile solo il 1° maggio e la terza domenica di settembre.

Fabrizio Loffi


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commenti


Michele de Crecchio

24 novembre 2023 11:04

Grazie per avere ricordato la bella persona di Vincenzo Canuti che, come il padre Armando (che aveva coraggiosamente iniziato la battaglia, tuttora in corso, contro gli inquinamenti che così tanto mortificano la qualità della vita nella nostra città), molto contribuì all'interesse pubblico di Cremona.

claudio

26 novembre 2023 18:42

Mi associo completamente alle giuste e belle parole dell' arch. de Crecchio