Trionfo e tragedia in musica: le superstar Capuçon-Soltani-Fujita travolgono Cremona con un programma d’eccezione
La seconda serata autunnale dello Stradivari Festival 2025 porta sul palco dell’Auditorium Giovanni Arvedi tre interpreti di assoluto prestigio internazionale: Renaud Capuçon, Kian Soltani e Mao Fujita. Un trio d’eccezione, riunito in un programma di intenso valore emotivo e musicale, che unisce due vertici della letteratura cameristica ottocentesca: il Trio n. 1 in re minore op. 49 di Felix Mendelssohn e il Trio in la minore op. 50 di Pëtr Il’ič Čajkovskij (“dedicato alla memoria di un grande artista”, l’amico e pianista Nikolaj Rubinstein).
Accanto al talento e alla sensibilità dei tre solisti, risuoneranno due strumenti leggendari, custodi della tradizione liutaria cremonese: il violino Guarneri del Gesù “Panette” (1737), appartenuto ad Isaac Stern e ora affidato a Capuçon, e il violoncello di Stradivari “London ex Boccherini”(1694), che porta nel nome il retaggio del grande compositore e violoncellista lucchese. Un connubio di arte esecutiva e patrimonio storico che trova nella cornice dell’Auditorium Arvedi la sua naturale dimora acustica.
La serata si è aperta con un brano amatissimo del repertorio per trio, ricorrente in molti programmi di sala: il Trio op. 49 di Mendelssohn, lavoro apostrofato molto positivamente da Robert Schumann. Il trio si è adattato subito alla raffinata ed ariosa scrittura mendelssohniana, plasmando una massa sonora aristocratica e calibrando con intelligenza fraseggi, dinamiche e timbri per adeguarsi a un’opera dai richiami classicheggianti, che però cela una scrittura davvero magistrale. Un brano che, pur muovendosi entro un linguaggio formalmente equilibrato, si distacca dall’estetica Biedermeier, rivelando una tensione drammatica e una vitalità espressiva che toglie a Mendelssohn la patina di compositore troppo legato alla tradizione, restituendone invece la modernità e l’impeto romantico.
I tre esecutori hanno dato prova di grande intelligenza musicale e ricercatezza, cesellando ogni frase con la grazia che in genere si dedica ai classici. Le melodie del primo movimento, Molto allegro agitato, non hanno mai perso il loro tono cantabile e composto, e i piani sonori sono stati sempre molto equilibrati. Il secondo movimento, Andante con moto, ha fatto emergere le qualità timbriche individuali e collettive: il trio ha sfruttato ogni espediente per impreziosire questa pregiatissima pagina, un vero e proprio lied strumentale, in cui si rivelano i tratti più sinceri della scrittura del compositore.
Sbarazzino lo Scherzo, giocato per lo più su piani sonori molto flebili, altro stilema mendelssohniano che ricorda certe fantastiche e incantevoli (in tutti i sensi) pagine del Sogno di una notte di mezza estate. Il Finale, in forma di rondò, ha animato il pubblico grazie ai suoi ritmi danzanti e ai virtuosismi appariscenti.
26 anni fa, al 23º piano di un hotel di Tokyo, la grandissima pianista Martha Argerich si scaldava le dita su un pianoforte dotato di silent system, eseguendo i passaggi più complessi del Trio di Čajkovskij, producendo un effetto sonoro – o, per meglio dire, non sonoro – alquanto stravagante. “È un pezzo veramente difficile, è come un concerto solistico”, disse a poche ore dalla sua prima, memorabile esecuzione di questo lavoro, assieme a due compagni di viaggio di assoluto prestigio: Gidon Kremer e Mischa Maisky.
I tempi passano, le generazioni cambiano, ma le impressioni spesso rimangono inalterate: i tre virtuosi di stasera si sono imbarcati in un’impresa che ha qualcosa di eroico, affrontando un brano talmente impegnativo da mettere in difficoltà anche dei “mostri sacri” della musica come i tre sopracitati. E lo hanno fatto con straordinaria efficacia.
Dalla densità emotiva del primo movimento, Pezzo elegiaco, si sono levate tre voci coese ma dalla forte individualità: la voce del violoncello nelle mani di Soltani ha tornito il primo, languido tema, esaltandone le linee tragiche e al contempo eroiche – un vero e proprio epitaffio musicale.
Non meno impressionante il timbro robusto e caldo, a tratti quasi tenorile, di Capuçon, capace di tenere testa alle due enormi casse armoniche con cui ha condiviso la scena. A sostenere e dialogare con i due strumentisti ad arco, il fenomenale Fujita, che ha saputo conferire ai grandi e appassionati temi di questa composizione una qualità sonora lirica, quasi vocale.
Secondo alcuni musicologi, il Tema con variazioni che costituisce il secondo e ultimo movimento del Trio è una sorta di equivalente cameristico delle celebri Enigma Variations di Edward Elgar: entrambi i brani, infatti, sono animati da intenti descrittivi.
Nel caso di Čajkovskij, l’avvicendarsi di variazioni caratteristiche – mazurke, valzer, melodie che richiamano il canto popolare, carillons, fugati, ecc. – pare voler tratteggiare affettuosamente alcuni dei tratti distintivi del dedicatario dell’opera.
Proprio in questa pagina è emersa l’originalità interpretativa del trio, che ha saputo far trasparire, dal genuino tema iniziale fino all’ultima grandiosa variazione, ogni espediente musicale con grinta e trasporto, chiudendo la serata con lo stesso nobile spirito con cui si era aperta.
Se le ultime sinfonie – in particolare la Patetica – rappresentano il testamento sinfonico del compositore, si può affermare che questa grande opera, unica nel suo genere (Čajkovskij non amava unire il timbro degli archi a quello del pianoforte nella musica da camera), costituisca il suo testamento cameristico.
Bissato lo Scherzo di Mendelssohn dopo le numerose e sentite ovazioni del pubblico cremonese.
Prossimo appuntamento del festival domenica 26 ottobre alle 21 con due artisti carissimi alla città di Cremona: il duo formato da Fazil Say e Sergey Krylov.
Foto di Francesco Sessa
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