Umberto Gabbi, il medico cremonese che "inventò" le colonie montane in Sicilia per curare le malattie polmonari
Mentre continua l’assedio del Covid-19, vogliamo ricordare la figura di un medico cremonese che nel secolo scorso si distinse in modo particolare nella battaglia contro il colera, le pandemie influenzali come la spagnola ed encefalitica e la lotta contro le malattie tropicali. Si tratta di Umberto Gabbi, nato a Casteldidone il 19 aprile 1860 e morto improvvisamente in treno presso Firenze la sera del 6 marzo 1933, mentre ritornava da Roma diretto a Parma, dove risiedeva con la famiglia. Membro di numerose società scientifiche italiane e straniere, Gabbi fece parte del comitato scientifico dell'aviazione militare, dell'Istituto coloniale fascista, del comitato di vigilanza delle terme di Salsomaggiore, del comitato medico del Consiglio nazionale delle ricerche. Fu presidente della International Society of medical hydrology di Londra e del Fascio medico parlamentare. Per i suoi studi sulla brucellosi e sul kala-azàr ricevette il premio Santoro dell'Accademia dei Lincei. Fu grande ufficiale della Corona, commendatore dell'Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro, dell'Ordine Coburgo-Gotha e dell'Aquila rossa, della stella al merito coloniale.
Ma Gabbi, che fu anche deputato e senatore, oltre che vicesegretario del direttorio provinciale e membro del consiglio federale del Partito Nazionale Fascista di Parma, ha goduto di una certa notorietà negli ambienti medici del tempo soprattutto per una sua originale teoria sulla possibilità che focolai di determinate patologie esotiche potessero nascere anche entro i confini nazionali, a causa delle condizioni degli ambienti di vita che determinano la stabilità dei caratteri di una razza. Gabbi, che dal 1903 era direttore della cattedra di clinica medica dell'Università di Messina, ricorse alle teorie dell'antropologo Giuseppe Sergi sull'origine delle razze italiche (a lungo strumentalizzate come precorritrici del razzismo fascista) per spiegare come in alcune provincie meridionali fossero presenti patologie specifiche del sud del Mediterraneo. Sergi riteneva che le popolazioni settentrionali e meridionali d'Italia non avessero un'origine comune, ma appartenessero a due razze distinte, quella ariana di derivazione nordica e quella camitica di derivazione africana. Gabbi andò oltre fino a ritenere che la vicinanza tra l'Africa settentrionale e l'Italia meridionale non fosse solo una questione geografica e climatica, ma si ripercuotesse anche sul piano biologico con la circolazione e diffusione di malattie tra popolazioni razzialmente simili. Tuttavia in seguito Gabbi attenuò questo concetto e finì con il riconoscere che la diffusione delle malattie tropicali fosse favorita piuttosto dallo sviluppo dei traffici e dei commerci internazionali: “Come sia avvenuta questa diffusione delle malattie in discorso dai paesi caldi ai temperati non è possibile dimostrarlo con rigore scientifico. Certo egli è che i rapporti commerciali trai paesi in contatto si sono da un trentennio in qua fatti notevoli per il grande e rapido sviluppo della marina mercantile. Nessuna meraviglia quindi che per questo accresciuto contatto umano, per questo accresciuto scambio di prodotti commerciali o naturali, sia anche avvenuto lo scambio di agenti morbigeni” (U. Gabbi, Malattie tropicali dell'Italia meridionale e della Sicilia, 1911).
Proprio grazie a questa teoria sulla continuità tra nord e sud del Mediterraneo Gabbi divenne uno dei più ferventi sostenitori della politica imperialista in Cirenaica e Tripolitania con i relativi progetti di colonizzazione demografica e di popolamento, ponendo tuttavia l'accento sulla necessità di prendere tutti i provvedimenti adeguati per rafforzare le difese sanitarie dell'Italia meridionale, ed allo stesso tempo perchè diventasse operativo anche nelle nuove colonie d'oltremare un sistema di vigilanza e controllo sanitario.
Nel 1910 Gabbi fu a Tripoli, dove organizzò la lotta contro l'epidemia di colera che vi infieriva ricevendo un encomio solenne, e nel 1911 in Grecia, nelle isole Egee, a condurre importanti studi di patologia tropicale. Già membro della commissione reale per la lotta contro la malaria in Sicilia nel 1906-08, nel 1912 fu presidente della commissione per lo studio e la lotta contro le malattie tropicali.
Negli stessi anni esportò in Sicilia l'esperienza delle prime colonie montane destinate all'assistenza dei bambini debilitati dalle malattie, che contemporaneamente a Cremona un altro grande pediatra, Pericle Sacchi, stava applicando per la realizzazione di uno stabilimento balneare sul Po. Gabbi aveva scelto la foresta di Camaro nei pressi di Messina per realizzarvi un sanatorio antimalarico. L’opera di assistenza da lui iniziata durò fino allo scoppio della prima guerra mondiale. Il Sanatorio aveva ricevuto il sostegno della Regina Margherita di Savoia e l'aiuto di benemeriti cittadini e di enti che concorrevano insieme a garantire l’assistenza per coloro la cui vita era messa ogni giorno a repentaglio dalla malaria. L’incuria e l’abbandono durante il periodo bellico fecero però scempio di quello che era stato un piccolo, ma fiorente Istituto. Al termine delle guerra, un altro illuminato medico, il dottor Giuseppe Spagnolìo, che aveva lavorato nel Comitato Antimalarico insieme al maestro Umberto Gabbi, ebbe il merito di far risorgere a Messina l’Opera di Beneficienza offrendo al patronato scolastico, nel 1920, tutto il materiale necessario per l’istituzione di una colonia montana. Malgrado gli innumerevoli ostacoli, nell’estate di quell’anno il sanatorio, raccolti venti fanciulli delle Scuole comunali, gettò le basi per la costituzione della vera e propria colonia. Si dovette però, in seguito ai danni arrecati da un incendio, scegliere un altro sito più idoneo all’istituzione della colonia. La scelta ricadde su una località esistente nella parte bassa della foresta in prossimità della casa degli agenti forestali del Comune, non molto distante dal villaggio di Camaro; era fornita di acqua potabile e vi si poteva accedere sia dal torrente che dalla via provinciale e militare. Non potendo più utilizzare i padiglioni Dockers, rimasti nella parte alta della Foresta al limite della strada militare per Dinnammare, si pensò, in sostituzione delle baracche, all’utilizzo delle tende, piccole e smontabili, fornite in numero sufficiente dall’Ufficio sanitario del Comune, più convenienti alla salute e all’igiene dei fanciulli. Fu stabilito che la casa delle guardie forestali fosse destinata a direzione e a refettorio, mentre sotto le tende si sarebbero posti i letti per i bambini, per gli insegnanti e per il personale di servizio, messi a disposizione dal Ministero dell’Interno, che aveva aderito alla richiesta del comitato direttivo, insieme alla biancheria e due grandi tende da campo di quelle in uso alla Croce Rossa, che però non trovarono impiego a causa della mancanza di ampi spazi in pineta. l primo attendamento risultò composto di 10 tende, in ciascuna delle quali furono disposte due brande. Per la sorveglianza dei bambini e per la necessaria disciplina fu disposto che all’estremità dell’attendamento prendesse posto l’istitutore da un lato e il personale di servizio dall’altro. Ogni branda fu fornita di un materasso con cuscino, quattro lenzuola e una coperta di lana. All’esterno della tenda era posto un cartello con l’elenco dei bambini ricoverati. Nel primo anno di attività il professor Spagnolìo eseguì nei locali della direzione dell’Orfanotrofio Lombardo la scelta dei bambini bisognevoli di cura. Erano alunni delle scuole elementari comunali di Messina, appartenenti a famiglie povere e bisognose di aiuto. La scelta fu fatta tra i bambini non affetti da malattie contagiose; si trattava quasi sempre di convalescenti di malattie pregresse e di bambini gracili che presentavano una debole costituzione e i caratteri tipici del linfatismo, rachitismo, comunque predisposti alla tubercolosi, per i quali si rendeva indispensabile la cura montana. Nel primo anno di attività furono scelti 22 bambini, con età compresa tra i 6 e i 12 anni, scarsamente nutriti e pallidi, molti dei quali rivelavano qualche ereditarietà di malattie vascolari, nervose e dell’apparato respiratorio. Successivamente nel 1926, il Comitato di amministrazione del Patronato deliberò il trasferimento della Colonia dalla Foresta di Camaro Castanea, nella pineta Quisisana, in contrada Calamarà, in una proprietà privata ubicata sul bivio della strada Castanea–Campo Inglese, messa a disposizione dal proprietario, il cavalier Cappello, grazie all’intercessione del delegato municipale di Castanea, il cav. Riccardo Costarelli, insieme ad una casa colonica diruta e una vasta zona di terreno idoneo all’attendamento,
Il prefetto Porro, presidente del Consorzio antitubercolare provinciale, non solo autorizzò il contratto per l’acquisizione del terreno, ma offrì il suo contributo straordinario per la ricostruzione della casa. Sulla zona di terreno così ceduta, il Comitato costruì in quell’anno una comoda ed ampia sede per la colonia, oltre che la cucina e il refettori, dedicando la colonia ad Elvira Crisafulli, nobildonna messinese perita nel terremoto del 28 dicembre 1908. Recentemente il Comune di Messina ha deciso di riqualificare la foresta di Camaro con interventi per oltre un milione di euro.
Il terremoto del 1908 distrusse anche un'altra creazione del dottor Gabbi, la clinica medica dell'università di Messina, inaugurata solo l'anno prima. Nel terremoto Gabbi perse anche una figlia; nella tragedia, tuttavia, mirabile fu l'impegno del clinico nel recare soccorso ai feriti e ai bisognosi, tanto che gli fu conferita la medaglia d'argento per la sanità pubblica. Rimasto privo di sede, fu allora ospitato nell'università di Roma da Guido Baccelli, che gli offrì la disponibilità di alcuni locali della sua clinica per ricoverare i malati e organizzare un laboratorio di ricerche e di analisi cliniche, alla cui dotazione contribuì la Direzione della sanità pubblica. Per consentirgli il proseguimento dell'attività didattica e scientifica, particolarmente in relazione agli studi su importanti argomenti di infettivologia, Gabbi. fu comandato per gli anni accademici 1908-09 e seguenti, fino al 1916-17, a impartire presso l'università di Roma un corso complementare di malattie tropicali. Arruolatosi volontario allo scoppio del primo conflitto mondiale, Gabbi fu consulente medico del VII e IX corpo d'armata con il grado di maggiore generale, quindi ispettore per incarico della Direzione generale di sanità dei focolai di malattie infettive esotiche che si manifestavano nelle retrovie, infine direttore della clinica medica militare di Roma e consulente di corpo d'armata fino al 1919. Durante il periodo bellico fu tra i primi a individuare clinicamente le pandemie influenzale ed encefalitica fra le truppe in linea. Per la sua attività medico-militare ricevette un encomio solenne e la medaglia d'argento al merito sanitario. Nel 1918 il medico cremonese assunse la direzione della clinica medica dell'università di Parma, ove concluse la sua carriera. Nella nuova sede organizzò corsi di crenoterapia e di istologia per medici, fondò l'Associazione amici dell'università di Parma, istituì borse di studio per studenti indigenti. Nel 1930 organizzò e diresse una spedizione scientifica in Eritrea. Nel campo delle malattie infettive i risultati più importanti ai fini dottrinali e pratici furono raggiunti da Gabbi con una serie di ricerche cliniche, epidemiologiche e sperimentali relative alla brucellosi e alle leishmaniosi, nel corso delle quali riuscì a dimostrare, rispettivamente, che Brucella abortus di Bang, agente etiologico della brucellosi bovina, è patogeno anche per l'uomo.
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