24 aprile 2025

Una croce nella campagna tra Cella e Cingia, che racconta la storia del Patriota Giovanni Azzali, ucciso a nemmeno vent'anni con altri commilitoni, tra i campi di grano, il 25 aprile del 1945

Una croce di cemento, tra l’erba che rende un tutt’uno il campo con il fosso, lungo la stretta strada che si srotola seguendo le curve tra la cascina Boschetto (a Dosso de’ Frati, frazione di Cella Dati) e il nucleo di Gurata e Vidiceto, piccoli borghi che segnano l’inizio del territorio di Cingia de’ Botti e con esso del casalasco.

Un nome quasi cancellato dal tempo e difficile persino da decifrare, una storia che va riportata alla luce prendendola dagli archivi, cercando un nome sui documenti e sulle lapidi commemorative, passando nel cimitero per trovare una foto che permetta di dare un volto a quel nome.

Quella croce si vede bene solo quando viene tagliata l’erba; semplice, defilata, senza decorazioni né fronzoli, con i bordi a rilievo, si erge un po’ precaria su una base quadrata di cemento; accanto, un piccolo cespuglio di rose selvatiche sui cui rami iniziano a spuntare timidamente alcuni boccioli.

E viene subito alla mente ‘La canzone di Piero’ di Fabrizio de Andrè “Dormi sepolto in un campo di grano…”. Chissà se chi passa di lì si è mai accorto di quel luogo in cui probabilmente una madre, una moglie, un fratello, un amico hanno versato lacrime; chissà se qualcuno negli ultimi anni si è mai fermato a chiedersi quale storia ci sia dietro quel manufatto.

Quella croce veglia sui campi di grano da ormai 80 anni e per questo il nome che vi è riportato sopra quasi non è più leggibile: non venne inciso, forse non ce ne fu possibilità, per questo venne scritto con la vernice nera su un fondo bianco, di cui rimane qualche traccia qua e là; oggi quel nome è logorato dal tempo trascorso, quel tempo che porta ogni storia all’oblio. Poche lettere restano aggrappate a quella croce e lasciano intravedere i segni che scrivono il nome “VANNI”, ma guardando meglio, si nota -appena percettibile- anche l’ombra delle altre lettere che compongono il nome “Giovanni” e accanto la data 1945. Per il cognome la faccenda si fa più complicata perché si intravede a fatica, e sembra essere “ASSALI”. 

Giovanni Assali parrebbe essere. 

Siamo in territorio di Cella Dati, quindi partiamo a cercare dai caduti legati al comune, ma nessun Giovanni Assali compare tra i caduti di Cella; allora bisogna fare qualche ricerca storica in più, scrutare tra le storie dei partigiani del territorio e capire chi è morto in quel lembo di terra e magari riuscire a dargli un volto.

Facciamo così due scoperte: per prima cosa, il cognome esatto: non “Assali” (come scritto sulla croce), bensì “Azzali”, Giovanni Azzali. La causa di questa difformità probabilmente non credo sia da imputare ad un errore di scrittura, bensì ad una trascrizione diretta dal in dialetto, con la ‘z’ che viene pronunciata come una ‘s’, e che quindi porta Azzali ad essere pronunciato proprio così come lo troviamo scritto, “Assali”.

E così, si svela piano piano la storia di questo uomo, di cui troviamo menzione su un’epigrafe posta all’ingresso del camposanto di Cingia de’ Botti, dove il ‘Patriota’ Giovanni Azzali è sepolto accanto ad altri due commilitoni. 

Cerchiamo la sua tomba e presto la troviamo: accanto al nome ed alla data di nascita e di morte, ecco la sua foto, oggi un po’ sbrecciata, il suo viso è quello di un bel ragazzo che sorride appena, i suoi occhi vivaci guardano avanti, verso un futuro che invece non avrebbe mai vissuto. Non invecchierà mai, Giovanni, i suoi 20 anni non ancora compiuti resteranno per sempre impressi in quella foto, la sua storia finirà in un campo di grano poco lontano dal suo paese. Di lui sappiamo che era nato a Sospiro il 9 settembre del 1925, dunque era poco più che ragazzino quando la guerra aveva sconvolto la vita della gente anche nelle nostre terre. 

La storia della sua tragica fine è purtroppo simile a quella di tanti altri giovani in quegli anni.

Siamo alla fine dell’aprile del 1945 e anche Giovanni è tra le file dei partigiani; si sono organizzati per istituire posti di blocco sulle strade delle campagne rivierasche, quelle su cui transitano i mezzi tedeschi che, dopo aver attraversato il Po, cercano di risalire verso Cremona e Brescia. Sono giorni convulsi di attacchi, imboscate, combattimenti tra soldati in ritirata e partigiani; tutti sono armati e la tensione è altissima da entrambe le parti. 

Quel giorno, il 24 aprile, da S. Giovanni a Cella e Motta Baluffi, i patrioti di Cingia danno il via all’insurrezione espugnando la caserma della GNR e istituendo posti di blocco sulle principali strade, tendendo imboscate ai militari tedeschi. Anche la campagna tra Dosso de Frati, Gurata e Vidiceto è il posto perfetto per tendere agguati agli autocarri tedeschi: il mezzo arriva tra campi ed alberi e scatta l’imboscata. 

Il primo assalto risulterà vincente per i partigiani, anche se tra di loro si conta già una vittima: è Pierino Tonna, 42 anni, colpito da un colpo in piena fronte che non gli lascia scampo; anch’egli è ricordato tra i patrioti di Cingia: “Qui cadde Tonna Pierino mentre porgeva aiuto al nemico morente”. 

Ma la morte di Tonna non sarà l’unico dramma di quei giorni: solo un giorno dopo, quel 25 aprile che sarebbe diventato il simbolo della Liberazione, sarà proprio Giovanni Azzali, in località Gurata, a cadere sotto i colpi nemici durante un combattimento.

“Cadesti a terra senza un lamento, e ti accorgesti in un solo momento che la tua vita finiva quel giorno. E non ci sarebbe stato un ritorno” prosegue il canto di de Andrè.

Non ha ancora compiuto 20 anni Giovanni quando cade in quell’angolo di campagna che chissà quante volte aveva percorso in bicicletta o di corsa con gli amici, da bambino. Su quel tratto di strada poi verrà issata quella semplice croce in cemento da cui è partita la nostra ricerca, sulla riva di un fosso e proprio sul bordo del campo poco lontano da casa sua. E purtroppo quel giorno la stessa sorte toccherà anche a Mario Gerelli, pure lui ricordato da una lapide posta nel centro di Vidiceto. 

Un destino invece ancora peggiore sarebbe toccato ad Armando Di Mascio, di 23 anni, ferito, catturato e legato al cofano di un autocarro di una colonna tedesca, come ostaggio: il suo corpo verrà ritrovato il 28 aprile, crivellato di colpi ed abbandonato vicino ad Isola Dovarese. 

Storie di vite spezzate dalla follia della guerra, storie riportate dalle cronache del tempo o che vengono ricostruite attraverso le memorie dei testimoni ancora in vita. Storie drammatiche da leggere, che diventano ancora più crudeli quando si guardano le foto dei volti di chi perse la vita, le foto di ragazzi e uomini chiamati alle armi quando invece avrebbero voluto vivere la propria quotidianità in pace. Volti da non dimenticare, come non sono da dimenticare le loro storie, i loro nomi e anche quelle lapidi e croci poste ad imperitura memoria di come la guerra sia sempre e solo portatrice di morte, lacrime e vite spezzate.


Michela Garatti


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