Il Covid e la peste: gli archivi ci raccontano le pandemie lombarde tra terrore e reazione
Diceva Federico Zeri che la curiosità del passato aiuta a capire il presente, e la storia della dinamicità lombarda è costellata ahinoi di epidemie, che hanno falcidiato a più riprese questa terra di mezzo tra Mediterraneo ed Europa cui deve il suo nome la nostra “capitale”, Milano (Mediolanum, la città nel mezzo), crocevia inevitabile di commerci e operosità, conquiste regali e scorribande soldatesche.
E gli archivi, le cancellerie e le biblioteche, ancora oggi ci narrano reazioni, comportamenti e psicosi che sorprendono per la loro attualità. La peste, il grande flagello, compare ad Atene intorno a V° secolo a.C. uccidendo perfino il suo “sindaco” Percile, e ritorna periodicamente nell’Impero per mille anni, salvo sparire misteriosamente intorno a V° secolo d.C cedendo il passo alla lebbra per sette lunghi secoli. Riesplode poi improvvisamente in maniera spaventosa intorno alla metà del 1300: dal 1348 al 1460 circa per ben sette volte sconvolgerà l’Europa, e ben altre cinque ondate flagellano la sola Italia del centro-nord: allora come oggi, la parte forse più colpita d’Europa. La prima ondata dimezza la popolazione della Lombardia, lasciando miracolosamente quasi illesa solo Milano, che però colpirà poi nelle ondate successive: quella del 1451 sorprenderà duramente il nuovo Duca di Milano, Francesco Sforza, che proprio di lì, su impulso della grande consorte Bianca Maria Visconti, deciderà di costruire il più grande ospedale del tempo: la Cà Granda, dove attualmente ha sede l’Università degli Studi, inaugurato nel 1460 da un altro grande della storia, Papa Pio II Piccolomini, durante la Festa del Perdono istituita appositamente per l’avvenimento. Quell’ospedale è ancora oggi uno dei più grandi d’Itala, e si chiama Fondazione Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico. Anche allora, lo Sforza per salvare l’economia azzerò i debiti di artigiani e commercianti e proibì ai creditori di rivalersi sui debitori…
Come ci narra il suo meraviglioso epistolario conservato presso la Biblioteca Ambrosiana, nell’agosto del 1576, San Carlo Borromeo si trova a Lodi quando viene informato di un focolaio di peste. Come un fulmine piomba su Milano implorando i governanti spagnoli di prendere immediati provvedimenti: ma poiché è di passaggio a Milano l’Imperatore, non solo lo ignorano ma si danno grandiosi festeggiamenti pubblici la cui conseguenza è devastante. Per cinque mesi la peste ammorba una città di 150.000 abitanti arrivando a fare 500 morti al giorno, e mentre molti preti e medici si nascondo San Carlo supplisce in ogni modo finché perfino il Papa arriva a raccomandargli di non esporsi a rischi. Arrivato gennaio, la peste inizia a sciamare e San Carlo prende a celebrare messe all’aperto, segnalando ai governanti spagnoli (ovviamente anch’essi scappati da Milano) che la clausura e l’inattività nelle case dei cittadini iniziavano a produrre seri disordini: occorreva tornare alla vita.
Ma il peggio era ancora da venire: nel 1630 scoppia a Milano quella che è nota come “peste manzoniana”, così chiamata per la scelta di Manzoni di ambientarvi il suo Fermo e Lucia (I Promessi Sposi). Dei quattro milioni di abitanti del centro-nord Italia più di 1.100.000 perdono la vita in meno di un anno. Milano, illesa dalla peste del 1348, stavolta è la più devastata: dei suoi 100.000 abitanti ne moriranno oltre 50.000, tutti rigorosamente annotati su registri oggi conservati all’Archivio di Stato di Milano, sui quali è stato rinvenuto perfino il batterio della peste. Pensiamo alla tragica proporzione, che però ci dovrebbe anche rendere più saldi e consapevoli: è come se in questi giorni dopo un anno di Covid contassimo 700.000 morti nella sola Milano, anziché 40.000 in tutta la Lombardia, e sette milioni sarebbero i morti nel solo nord Italia. Una ecatombe inconcepibile. Mi si permetta un affondo: la conta dei morti è dunque una inevitabile prassi di ogni epoca, ma conoscere i drammi del passato potrebbe aiutarci a misurare un certo terrorismo pandemico attuale, a volte, a mio avviso, discutibile.
Davanti a queste tragedie, come oggi davanti al Covid, ci pare di non avere chances… Eppure, nel pieno delle ondate di peste del XIV° secolo, nel 1386, Gian Galeazzo Visconti, che di peste proprio morirà nel 1402, dona ai Fabbricieri del Duomo di Milano la cave di marmo di Candoglia: in soli 14 anni viene costruito l’intero abside della Cattedrale, affinché tutti i milanesi potessero immaginarselo finito.
E nel più freddo degli inverni europei, nel pieno di quella che viene definita la “piccola glaciazione europea” che uccise milioni di persone, un certo Stradivari, a Cremona, costruiva meraviglie che ancora oggi incantano il mondo. On est la terre on est la guerre, dove c’è terra c’è guerra… Forza!
Sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano
Docente di archivistica all'Università degli studi di Milano
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