28 maggio 2025

"Gli operatori di pace sono i primi collaboratori di Dio". Il ricordo di Fabio Moreni

La guerra è sulla bocca di tutti, sulle prime pagine dei giornali, nelle copertine dei tg. Gaza e l'Ucraina, ma anche i conflitti dimenticati: dal Congo al Myanmar passando per il Sudan. Sono almeno 56 quelli in corso oggi, in questa terza guerra mondiale a pezzi che sta squarciando il nostro secolo. Le immagini che arrivano sono strazianti, quasi insopportabili. Ma ogni tanto, in mezzo a tanto orrore, ecco qualche piccola luce. Il parroco che a Gaza non abbandona la piccolissima comunità cristiana scegliendo di restare sotto i bombardamenti; il giovane Khalil che sceglie di rimanere a sfornare il pane ad Aleppo e di mettere su famiglia "perché un giorno il mio Paese andrà ricostruito e noi vogliamo essere le braccia che lo faranno". O la piccola Katja, che una sera – sentendo sua madre raccontare a una giornalista del padre disperso nel conflitto tra Kiev e Mosca – la implora di smettere. "Di cosa vorresti sentir parlare?", le chiede la giornalista. "Del bene", risponde lei.

Ed è anche per questo che il bene va narrato, e ricordato. Come quello fatto da Fabio Moreni, un giovane imprenditore cremonese rimasto ucciso il 29 maggio 1993 a Gornij Vakuf, nell'attuale Bosnia, durante una missione umanitaria. Con lui caddero anche due amici bresciani, Sergio Lana e Guido Puletti. Non era uno sprovveduto, Fabio: una laurea con lode alla Normale di Pisa, di famiglia benestante, aveva 39 anni e una carriera ben avviata quando sceglie di lanciarsi in una avventura umanitaria che lo porterà su e giù per i villaggi dell'ex Jugoslavia dilaniata dalla guerra. Non fu un'azione folle dettata dal sentimento del momento. Fu il gesto di amore di un ragazzo di grande fede, profondamente cristiano, che aveva chiaro (e non mancava di raccontarlo) che servire quella gente provata dalle violenze era servire Cristo. Partecipava quotidianamente alla santa messa, era cresciuto all'oratorio di "Cristo Re" ed era un mix incredibile di allegria e profondità: si chiedeva sempre il perché delle cose, sapeva che una vita è buona se spesa bene. Il suo ultimo viaggio in Bosnia, dopo altre 15 missioni, aveva come obiettivo portare in salvo una sessantina di bambini e vedove di guerra. Aveva trentanove anni, cadde in un'imboscata. Eppure quel piccolo seme di bene ha generato tantissimo, se dopo oltre trent'anni la Fondazione che porta il suo nome ancora compie viaggi umanitari (basti pensare ai camion di aiuti verso l'Ucraina) ed è accanto ai più fragili, come documenta la splendida realtà di Cascina Moreni. Attenzione però: la vicenda umana di Fabio non è una lezioncina morale da dimenticare in qualche angolo. Lo ricordiamo - e lo faremo anche giovedì 29 maggio, alle ore 18.30 presso Cascina Moreni con una messa presieduta dal vescovo di Cremona, mons. Antonio Napolioni -perché anche i più giovani tra noi sappiano che si può vivere così, all'altezza del desiderio del proprio cuore. Fabio ci ha insegnato che tutti noi, ciascuno dove è chiamato ad essere, possiamo vivere così. Orientati al giusto, al vero. Pronti a donare la vita magari non sotto i colpi di un kalashnikov ma scegliendo il bene nelle fatiche quotidiane: la scuola, l'università, il lavoro, i figli, il collega antipatico, il vicino che c'ha l'erba più verde. Come ebbe a dire cardinal Vinko Puljic, arcivescovo emerito di Vrhbosna-Sarajevo parlando di Moreni: "Gli operatori di pace sono i primi collaboratori di Dio. E la vita di Fabio, si è consumata, è stata donata per la realizzazione della pace". Auguriamoci di poter vivere così, di poter dire non solo a parole o sventolando bandiere che anche noi, ogni giorno nel nostro piccolo, costruiamo la pace.

Maria Acqua Simi


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