Papa Leone XIV e la risposta alternativa alle miserie del mondo
Lecito supporre che destino manifesto di un pontefice che ha scelto di essere Leone XIV sia quello di dare al mondo una nuova Rerum Novarum? Forse sì. Ferma restando ovviamente l’abissale distanza fra le condizioni attuali e quelle in cui a fine Ottocento papa Pecci decise che la Chiesa doveva ormai varcare la temuta soglia della fabbrica e guardare dritto in faccia la nuova ‘questione sociale’. Cosa sopravvive di quel primo pronunciamento ecclesiastico sulla modernità economica? Non molto ovviamente. Ma basta e avanza, per chi ha orecchie per intendere, la sua perenne e universale sostanza: la ricchezza è privata quanto al possesso ma chiamata a destinazione sociale quanto all’uso. Tradotto: i profitti generati dai nuovi meccanismi produttivi non possono essere unicamente finalizzati a indefinito arricchimento della proprietà bensì convertiti in nuovi posti di lavoro e in nuovo sviluppo economico e sociale.
Come mai siamo qui a parlare di rimetter mano alla dottrina sociale, nel sottinteso che un’interruzione ci sia stata? Perché in effetti c’è stata. Papa Bergoglio ha sì espresso una propria dottrina sociale ma l’ha espressa da osservatore extra occidentale. O addirittura antioccidentale, vista la sostanziale condanna di quell’economia di mercato che, per quanto oggi afflitta da seri guai, resta, insieme all’umanesimo cristiano liberale, uno dei decisivi enzimi storici della civiltà occidentale. Cosa che nel corso del Novecento la Chiesa ha di fatto compreso. Se la povertà rimaneva infatti ai suoi occhi condizione evangelicamente privilegiata, analogo credito finalmente riconosceva anche a chi, operando nel tessuto economico, sa fare buon uso del capitale, producendo benessere e promozione umana. Ci si può insomma guadagnare il paradiso sia in quanto poveri che in quanto ricchi. Su questo apparente punto di non ritorno papa Francesco ha bruscamente sterzato. La questione sociale si è di fatto riconfigurata come confronto evangelicamente radicale fra il mondo affamato e quello sazio a cui tocca farsi “ospedale da campo” per accogliere le grandi povertà, chiamandole a condividere il suo “superfluo”. Pur nel nobile intento, ricetta consolatoria e sostanzialmente assistenziale: redistribuzione della ricchezza prodotta dal sistema occidentale ma contemporanea dissociazione morale rispetto al sistema che quella ricchezza ha consentito di produrre. Contraddizioni e nodi da far tremare i polsi, ora passati in critica eredità al nuovo ‘Papa dei tre Mondi’ . Con due aggravanti mondiali che suggeriscono di non perdere tempo.
Primo. Anche se a paragone di altri modelli, dal sovietico al cinese, quello occidentale tuttora risulta il migliore dei mondi praticabili, è pur vero che rapidamente viaggia verso l’autodistruttiva soglia dell’insostenibilità sociale. Sta infatti rimodellando a forza un assetto sociale piramidale che concentra esponenziali arricchimenti al vertice e comprime il resto verso la proletarizzazione. Il corto circuito fra selvaggio capitalismo finanziario e requisiti di una democrazia degna del suo nome è dunque dietro l’angolo. A quali condizioni e con quali strumenti capitale finanziario e capitale umano potrebbero trovare un più equilibrato assetto reciproco? Cruciale domanda a cui nemmeno la Chiesa può sottrarsi, così come non si sottrasse a suo tempo alle grandi sfide sociali del capitalismo industriale. Mise in campo una straordinaria mobilitazione di energie culturali, organizzative e formative. È realistico sperare in una replica?
Ma altro, e siamo alla seconda ‘complicazione’, sta maturando in più lontani orizzonti. La distribuzione mondiale del cattolicesimo è entrata, numericamente parlando, in fase critica. Se l’Occidente è ormai largamente secolarizzato, in America Latina e alcune zone dell’Africa è in atto quel che si definisce ormai “metamorfosi protestante del cattolicesimo” . Basti dire che nei prossimi anni ’30 in Argentina i protestanti supereranno forse i cattolici. Crescono con sconcertante rapidità chiese neo evangeliche, cioè di ceppo protestante, in Messico, Venezuela, Brasile, Bolivia, Perù, Colombia, Argentina, Africa subsahariana. Ma quale forza attrattiva sta portando milioni di poveri e diseredati ad abbracciare il verbo di Lutero e soprattutto Calvino? Per lo più il desiderio di affrancarsi dal precario e insufficiente ombrello dell’assistenzialismo di stato o chiesa per approdare a più soddisfacenti sicurezze economiche. Quel che Lutero e Calvino sostenevano in materia di ‘successo mondano’ è risaputo: datti da fare nella vita terrena e negli affari perché se avrai successo economico vuol dire che piaci a Dio e avrai salva l’anima. Secoli fa quest’idea mise il turbo alle economie dei paesi di religione riformata. Ovvio che papa Francesco guardasse al fenomeno con parecchia diffidenza come cedimento al Dio danaro e a una sorta di taroccata “teologia del benessere”. In effetti della complessa faccenda molto resta da capire. Ma tuttavia faccia il suo corso se può funzionare come risposta al fatalismo della miseria, se è in grado di scuotere energie dormienti e fare emergere latenti potenzialità imprenditoriali utili al riscatto di uomini e territori.
Ciò detto, una conclusione è innegabile: la geografia mondiale del cristianesimo è in una fase di accentuata sismicità e certa inclinazione assistenziale della componente cattolica viene sfidata con crescente aggressività numerica da un’ipotesi alternativa di risposta alle grandi miserie del mondo. Un ribollire, dunque, di tali e tante ‘Res novae’ da fare impallidire quelle che nel lontano 1891 diedero vita alla celebre “Rerum Novarum”.
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