Niente di nuovo sul fronte...orientale. Qualche riflessione sulla Russia di Putin
A volte la storia, con un poco di letteratura, ti aiuta più di altre conoscenze ad orientarti nelle complessità del presente, nelle sue continue e inaspettate tragedie. Impressionante, anche per un non specialista, la possibilità di cogliere l’essenziale dell’attuale conflitto russo-ucraino e delle linee della politica estera di Putin, andando a rileggere qualche pagina del passato e qualche testo letterario.
Sempre a caccia delle novità, dell’ultima “sparata” di questo o di quel grande, di questa o di quella star magari coi capelli biondi, si perdono di vista le costanti nella storia, in questo caso della “santa Russia”. Sappiamo che questo grande paese costituì il perno centrale di due immense realtà statuali ormai scomparse: l’impero zarista (1721-1991) con alle spalle una grande storia e l’URSS (1922-1991), diventando il centro politico-militare della Federazione russa. Ma tali realtà del passato sopravvivono nel profondo del tessuto politico e culturale fino ad oggi, indicandone spesso le linee di sviluppo anche per il futuro.
Ogni nazione - popolo o stato o movimento politico - si è data, spesso inventandola, una propria identità più o meno rigida. Sappiamo ad esempio che molteplici analisi storiche hanno mostrato che la figura di Alberto da Giussano è totalmente inventata, ma ha contribuito a cementare un’identità politica molto solida. Il mito ha funzionato, a dispetto della storia documentata. Così è anche per il popolo ebreo, fino alle aberrazioni attuali che rasentano il genocidio del popolo palestinese.
Quando l’identità nazionale si esprime in forma positiva, cioè articolata e aperta, si manifesta nel patriottismo, amore per la propria patria, che si caratterizza come orgoglio nazionale, amore per il proprio paese e la sua storia complessiva, amore per la propria lingua. Purtroppo, spesso nei periodi tensione e anche di guerra, si trasforma in nazionalismo, o peggio, in sciovinismo, quando genera la convinzione che il proprio paese è superiore a tutti gli altri, quasi con diritto di predominio sulle altre comunità.
Fortunate quelle nazioni che hanno alle spalle un’identità nazionale ricca, articolata, portatrice di valori positivi, come l’Italia, che, provenendo da una lunghissima storia che ha le sue radici nella Magna Grecia e nella tradizione romana, si fissa in maniera non chiusa, ma aperta (“la nazione dalle cento città” veniva chiamata), cementata da una lingua letteraria creata da Dante, Petrarca e Boccaccio, a cui si aggiunge la grande tradizione artistica da Giotto a Leonardo, Raffaello e Michelangelo e da qui fino a Caravaggio e al Barocco, per non parlare di Machiavelli e Guicciardini, Ariosto e Tasso.
Meno fortunati i Russi. La prima costante della storia russa si riferisce alla rigida difesa della propria identità nazionale, culturale e religiosa, che si può definire come ideologia del pansalvismo russo-cristiano, con la pretesa di rappresentare tutta l’identità, la cultura, l’anima slava, esaltandone la superiorità assoluta e negandone la molteplicità, la complessità, le plurime e sfaccettate componenti. La sua prima manifestazione compiuta si realizzò attraverso gli scritti del monaco Filofej, antico priore del Monastero a Pskov. Fin dal XV secolo scrisse testi che celebravano la successione di Mosca come capitale di un impero universale dopo Roma e Bisanzio. Tali ideologie, contenute specialmente in una sua “Epistola” dove esponeva il principio “Due Rome sono cadute, Mosca è la terza, una quarta non ci sarà”, influenzeranno la nascita dell’Impero Russo nel 1721, promosso da Pietro il Grande, il quale si proclamerà Zar (da Caesar, con riferimento a Roma). E’ in un contesto come questo che si elaborò la tesi del passaggio del potere imperiale per eccellenza, quello romano, da Roma a Bisanzio e infine a Mosca, voluto e favorito dalla volontà divina.
Passano i secoli ma l’idea di una “Terza Roma”, come guida spirituale (e naturalmente politico-militare) del mondo, viene ancora enunziata e ampliata, con lo zar che diviene “piccolo padre universale”. L’Imperatore e il Patriarca di Mosca sono due aspetti di uno stesso potere. Dopo la mitica vittoria dei Russi su Napoleone (1812), addirittura lo zar cercò di trasformare lo slogan “Dio e Zar per il popolo”, in un ben più ambizioso “Dio è lo Zar”, centro reale e simbolico dell’unità della “santa Russia”, con un popolo servo della gleba di radicata fede cristiana. Ma tale progetto troverà notevoli resistenze. Tuttavia la formula “Dio e Zar per il popolo” rimase e guiderà ogni conflitto successivo.
Tanto che sarà resuscitata da Stalin nel momento della massima penetrazione nazista, con le divisioni tedesche alle porte di Leningrado, Mosca e Stalingrado (1941). Comprendendo di aver bisogno di tutte le energie del popolo russo, lui ateo convinto, distruttore di chiese e persecutore dei fedeli, riattivò tutti i contatti con le massime autorità religiose rimaste. Si diffusero voci che egli si fosse recato a pregare alla Santa Matrona di Mosca, ricevendone la promessa di una grande vittoria sulla Germania. Si diffuse anche la favola che Mosca si fosse salvata in conseguenza di un miracolo, operato dalla veneratissima icona della Vergine di Tikhvin, che in aereo venne fatta volare sulla città. I capi religiosi ortodossi, ridiventati importanti, gli scrissero che la Chiesa russa lo venerava, “sentendo che il vostro cuore vive accanto al popolo russo, con la volontà di vittoria e il sacro dovere di sacrificare qualsiasi cosa per il bene della Patria”.
Passano ancora molti anni e come sempre la Russia è in guerra. I missili atomici vengono considerati guardie spirituali dello stato di Putin. Così il 25° Concilio mondiale del popolo russo, presieduto dal Patriarca Kirill, tenutosi nel marzo scorso, approva un documento in cui si sostiene l’invasione putiniana all’Ucraina, presentandola come guerra santa, nella quale il popolo russo difende l’unico spazio spirituale dell’antica tradizione russa, proteggendolo dall’assalto del globalismo e dell’occidente caduto nel satanismo. “I confini del Mondo russo come fenomeno spirituale e culturale-civile sono significativamente più estesi dei confini statali sia dell’attuale Federazione russa sia della grande Russia storica”. Sancendo, con queste parole, la continuità nella storia dell’ideologia del panslavismo cristiano come cemento dell’identità russa da cinque secoli a questa parte, che ora ha saputo recuperare una mai tramontata dimensione nazionalista, unendo personalità politiche come Putin, e ideologiche come Aleksandr Dugin.
La simbologia dell’oro ha sempre accompagnato, sostenuto, potenziato tale progetto imperialistico, in modo che le iconografie auree ci portano direttamente al cospetto del divino non solo nelle chiese, ma anche nelle stanze del potere. Le rappresentazioni iconiche di Cristo, di Maria, dei Santi, nelle cattedrali ortodosse, non sono solo un segno del divino in terra, ma il divino stesso che appare nella sua luminosità. Nell’oro si realizza ontologicamente la presenza del trascendente nel mondo. E il potere, soprattutto se assoluto, ama circondarsi di oro. Non è un caso che Putin al momento della sua quinta elezione come Presidente, attraversi la “porta d’oro” del Cremlino, dopo aver percorso una lunga scalinata, che lo porta non casualmente “in alto”, al culmine della quale la guardia d’onore gli spalanca “le porte d’oro” che portano nella folgorante sale di Sant’Andrea, dove l’oro non manca.
Si giunge così alla seconda continuità secolare della storia russa, che riguarda la politica di espansione, che dura ormai da qualche secolo. Se uno scorre qualsiasi racconto della storia di quel paese, si rende conto che l’Impero zarista è sempre stato in guerra (più di un centinaio di conflitti dal ‘700 ad oggi), conquistando via via nuovi territori, in tre direzioni strategiche, soprattutto:
a) verso l’Oriente, la Siberia, le grandi steppe dell’Asia, fino al Pacifico e oltre, giungendo all’occupazione dell’Alaska, venduta poi agli USA (1866);
b) verso i paesi baltici, col loro mare, fino alla Polonia e la Finlandia;
c) verso il mar Nero, la Crimea e i paesi caucasici.
La letteratura russa è piena storie belliche. Si pensi a “Taras Byul’ba” (1834), romanzo giovanile di Gogol, un racconto terribile e crudele ambientato in Ucraina e in Polonia del ‘700. Poi “La figlia del capitano” di Puskin del 1836. Non trascurando “I racconti di Sebastopoli”, di Tolstoj dove il grande scrittore registra le sue esperienze militari duranti la guerra di Crimea (1854-1856), maturando una convinta posizione pacifista. Guarda caso si parlava già allora di Polonia, Ucraina, Crimea.
Se si vanno a controllare i conflitti armati della Federazione Russa dal 1991 ad oggi, ne possiamo contare più di una decina, con partecipazione diretta o indiretta delle truppe russe: Georgia, Transnistria, Tagikistan, Abkhazia, Cecenia 1 e 2, Ossezia, Caucaso settentrionale, Crimea, Dombass, Siria, Repubblica Centrafricana, invasione dell’Ucraina in corso. Nei momenti di difficoltà per le truppe russe in Ucraina, si aggiunge l’annuncio che l’attenzione russa verso la Finlandia e i paesi baltici (Estonia, Lettonia e Lituania) è sempre notevole. Ora è stata annunciata anche una esercitazione militare nel Baltico. Vi ricordate la semplice “esercitazione militare” ai confini dell’Ucraina tre anni fa?
A tutto ciò si aggiunge un’ulteriore costante nella storia della Russia, che si riferisce alla politica di repressione interna, condotta dal vertice dello stato, con uno zar, che si definisce un “autocrate” dal potere assoluto e illimitato, da cui dipende una burocrazia onnipotente, estesissima, che consolida il potere con mezzi spietati, una polizia segreta onnipresente, infiltrata nelle più intime componenti della società e nella comunità civili e politiche di quel paese, la quale si giustifica proprio partendo dalle tesi: “siamo in guerra” e “la missione della Russia è voluta da Dio”. Dagli Zar a Stalin a Putin, su questo terreno pare che niente sia cambiato nella vita della società russa. Chi disturba il potere viene controllato, emarginato, perseguitato, in molti casi eliminato.
Si pensi ad un genio assoluto della letteratura non solo russa ma mondiale, come Fjodor Dostoevskij. Alla fine di aprile 1849 fu arrestato per aver partecipato come ascoltatore incuriosito ad una riunione di un circolo politico d’opposizione. Arrestato, fu condannato alla fucilazione. Quando era già sul patibolo, il 22 dicembre, gli fu comunicata la revoca della condanna a morte e la trasformazione della pena in lavori forzati: «ci hanno fatto baciare la croce, hanno spezzato sopra la testa le spade e ci hanno fatto la toeletta del condannato (camicie bianche». Per un giovane che soffriva di epilessia un trauma tremendo Il 24 dicembre fu inviato in Siberia per poi essere carcerato nella fortezza di Omsk. Da questa terribile esperienza nacque una delle opere più sconvolgenti, “Memorie della casa dei morti”. Qui i soli suoi amici furono un’aquila ferita e un cane tignoso, e un libro, la Bibbia. Liberato per buona condotta nel 1854, scontò il resto della pena come soldato semplice per due anni al confine con la Cina.
Un poco diverso il destino di Ivan Sergeevič Turgenev. Nel 1852 pubblicò sulla Gazzetta di San Pietroburgo un necrologio in onore del suo idolo Gogol: «Gogol' è morto! [...] quale cuore russo non è scosso da queste tre semplici parole? [...] egli se ne è andato, quell'uomo che ora noi abbiamo il diritto, l'amaro diritto conferitoci dalla sua morte, di chiamare Gogol' il Grande». La censura di San Pietroburgo non approvò una simile forma di “idolatria”. Turgenev ne rimediò una condanna ad un mese di carcere e da due anni di esilio forzato.
Un’altra vita travagliata fu quella di Vasilij Grossman, ebreo russo convinto comunista, corrispondente di guerra per oltre mille giorni, nelle battaglie di Mosca e Stalingrado, fino alla conquista di Berlino. Scrisse un “Libro nero” sul genocidio nazista nei territori sovietici dal 1941 al ’45, descrivendo l’entrata delle truppe sovietiche nel capo di sterminio di Treblinka. Ma la censura staliniana non approvò tale denuncia e la sua opera sparì, in quanto in URSS si diffuse un’ampia campagna antisemita dal 1949 al 1953. Continuò la sua opera di scrittore con due grandi opere, “Stalingrado” e “Vita e destino”. Quest’ultimo capolavoro venne sequestrato da agenti del KGB, che trafugarono tutte le copie, le veline a carta a carbone, le minute e i nastri della macchina da scrivere. Lo scrittore venne emarginato in patria. Non cito casi recenti degli ultimi decenni, perché ritengo che siano da tutti conosciuti.
Qui si apre una grande questione politico-storiografica: il ruolo della burocrazia russa, in particolare della polizia segreta, dopo la rivoluzione sovietica e il suo rapporto con il vertice del partito. Si sa che i Bolscevichi che conquistarono il potere erano una piccola élite, soprattutto rispetto all’immensità del paese e alla gestione anche solo amministrativa della vita delle comunità, delle regioni, dello stato: rivolte interne, lotte fratricide, invasione straniera di ben 14 paesi dal 1918, che tentò di soffocare il primo governo proletario del mondo. E’ altrettanto naturale pensare che il governo di Lenin e poi di Stalin dovette prendere decisioni drammatiche e avvalersi dell’organizzazione burocratica ereditata dallo stato zarista. A tutti mancava, certo, una cultura liberaldemocratica con il rispetto dei diritti individuale e una concezione di divisione dei poteri.
Perché non mettere allora a tema che non fu tanto il PCUS ad assorbire la polizia segreta e i grandi posteri burocratici, ma che avvenne il contrario, in una specie di perversa simbiosi? Chi lo capì più rapidamente fu proprio Stalin, che se ne avvalse per eliminare via via tutti i capi bolscevichi che avevano fatto la rivoluzione, fino al terribile 1937, con l’eliminazione politica e poi fisica di importantissimi quadri dell’esercito, fino a toccare anche il pupillo di Lenin, Bucharin.
Se questa ipotesi interpretativa regge, si comprende bene che Putin è la sintesi perfetta del connubio tra funzionari dell’ex-KGB e i vertici del potere politico, che è ossessionato dall’allargamento della NATO ai paesi confinanti con la Russia. Lo sostiene anche Prodi: “E’ tuttavia convinto [Putin] che non si possa ricostruire l’Unione Sovietica, ma la Russia degli Zar sì. Forse gli occidentali hanno sempre sottovalutato questa componente sacrale del potere putiniano, che si accentua nel tempo a mano a mano che il Patto Atlantico a trazione anglo-americana assume una linea sempre più assertiva”, nei confronti dei paesi che sono al confine con la Russia.
Qui si apre un bel dilemma. Mi sembra chiaro che un allargamento progressivo della NATO non faccia che alimentare la linea di repressione interna del potere putiniano e la volontà di riattivare un controllo politico-militare sui paesi un tempo appartamenti all’Unione Sovietica, spingendo Putin nelle braccia della Cina. D’altra parte anche il rimanere inerti davanti alla progressiva occupazione di territori e stati ex-sovietici non è servito a nulla, anzi ha convito l’attuale vertice del Cremlino che ormai l’Occidente europeo è debole e corrotto. E allora? Esiste una terza via, dato che le prime due hanno fallito?
Non sarebbe più conveniente a tutti perseguire con grande tenacia e organizzare un confronto tra diversi – Unione Europea e Federazione Russa in primo luogo - rispettando le opposte posizioni politiche per individuare qualche interesse comune, su cui convergere? Tra l’altro coloro che “sparano” sugli organismi internazionali, a cominciare dall’ONU e dalla UE, sostenendo che ormai non contano più nulla, e sulle Corti di giustizia che emettono sentenze basandosi sul “diritto internazionale”, si dimostrano ciechi e sordi di fronte alle condizioni attuali dei rapporti internazionali, che scivolano a mano a mano verso un conflitto permanente. Spero in qualcuno che dica, parafrasando un famoso discorso, “nel mentre rispettiamo i trattati, non siamo insensibili al grido di dolore che da tante parti si leva verso di noi!” Stavolta per aprire vie non di guerra ma di confronto, di dialogo e di pace.
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commenti
Marco
1 giugno 2025 07:18
L'analisi di Carmine Lazzarini è molto condivisibile. Dugin, uno dei principali ideologi di Putin, da anni rilancia la prospettiva geopolitica di Eurasia anche in termini identitari. Questo però rischia di allontanare la Russia dall'UnioneEuropea tanto più se l'identità europea coincide con quella atlantica.
Manuel
2 giugno 2025 07:51
Pure noi viviamo in Eurasia!
Le differenze culturali tra i tre oceani sono notevoli, ma le comunicazioni non sono più quelle dei Romani o anche dei tempi di Marco Polo.
Proprio per questo le politiche euro-atlantiche degli ultimi trent’anni risultano incomprensibili (mi limito) e la guerra in Ucraina è l’apice di tale ottusità.
Pierpa
1 giugno 2025 13:33
Interessante excursus storico-culturale nonché politico. Aspetto la prossima puntata, con qualche nota sulla vocaxione impetiale della Gran Bretagna e su tutte le guerre che l'hanno vista interprete, sul suprematismo americano dalla dottrina Monroe in poi, sulla compiacenza europea che vede "atlantici" anche noi che in realtà siamo mediterranei.
Antony
2 giugno 2025 09:53
Russia = guerre, morti, distruzione e ubriaconi.