18 maggio 2025

Un comandamento per imparare ad amare

L’evangelista Giovanni apre il racconto dell’Ultima Cena dicendo che Gesù, avendo già mostrato amore per i suoi discepoli, ora li ama fino a giungere alla pienezza del compimento della volontà del Padre. Questa frase può essere intesa come l’introduzione al gesto della lavanda dei piedi che viene descritto subito dopo, gesto attraverso il quale Gesù anticipa in un segno il suo donarsi fino a spogliarsi della sua vita, oppure può essere meglio compresa come il “titolo” della passione che sta per essere raccontata, all’interno della quale ci sono i discorsi di addio che Gesù pronuncia, dei quali in questa quinta domenica di pasqua leggiamo le prime frasi.

Nelle parole di Gesù che oggi ascoltiamo è consegnato ai discepoli di ogni tempo il comandamento dell’amore nella forma in cui ce lo riporta l’evangelista Giovanni: “Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 13,34). L’amore che Gesù comanda ai suoi discepoli di vivere si deve ispirare a quell’amore che i discepoli vedono e toccano con mano nel cammino che Gesù stesso sta compiendo verso la piena consegna di sé nelle mani amorevoli del Padre attraverso le mani assassine degli uomini. 

Di fronte al comandamento di Gesù sorge sempre un certo imbarazzo, poiché ci viene da chiederci se si possa amare a comando. Penso che Gesù rivolgendosi ai suoi discepoli di ieri e di sempre, non abbia in mente l’amore spontaneo che sorge tra gli amici, tra un uomo e una donna, tra genitori e figli. il sentimento non si comanda, si prova e chiede di essere vissuto nella sua intensità. Ma un sentimento di amore non è il tutto dell’amore e anche nella corrente del sentimento, le azioni e i gesti giusti si devono imparare. Quando poi una relazione che nasce spontanea, diventa parte abituale di noi, in questo passaggio si insinua la possibilità dell’interruzione, lo scandalo della ripetitività, il raffreddamento degli slanci intensi dell’inizio. Ancor di più ciò vale per le relazioni che sorgono perché necessarie e non sono scelte, come i rapporti tra fratelli, con i vicini, sul lavoro. Per essere vissuto l’amore più ordinario e meno passionale ha bisogno di essere imparato, ha bisogno di ricevere il comandamento che lo apre ad una misura altissima con cui confrontarsi e che allo stesso tempo lo riporti alla concretezza di gesti semplici e ordinari con cui esprimersi affinché sia vero.

Nel racconto di Giovanni, il dono della vita che Gesù sta per compiere è anticipato nel gesto umile della lavanda dei piedi che è non meno scandaloso della morte in croce verso cui sta andando. La misura altissima della croce è concretamente espressa e rinnovata per ogni cristiano nel rivivere la lavanda dei piedi nei confronti di chi gli è accanto. Mi sembra importante che non ci dimentichiamo che il comando di Gesù è pratico, concreto. Si riferisce prima di tutto all’altro che mi è accanto, che mi sta vicino. È in questo scambio d’amore fraterno che passa la vera testimonianza cristiana. Non è difficile provare un po’ di commozione superficiale per le storie strappalacrime che ci parlano di guerra, di rifugiati, di bambini malnutriti, ma come è difficile commuoversi per chi vive gli stessi problemi sul ciglio della strada che percorriamo ogni giorno, nelle case di accoglienza della nostra città e dei nostri paesi, in chi frequenta i centri di ascolto delle nostre parrocchie. Come amare e lasciarsi amare da quest’uomo o donna concreti, che portano con sé il loro “odore”, la loro spigolosità di carattere, la propria vita non esemplare come le storie che si leggono nei libri, l’incartarsi di problemi assommati uno alla volta che ora compongono una matassa che non si sa come dipanare. Abbiamo bisogno di un comandamento che ci inviti ad amare, che ci metta spalle al muro della nostra indifferenza per darci uno scossone di umanità. Abbiamo bisogno di un comandamento che ci faccia rendere conto del bisogno che abita l’altro, affinché sorga in noi almeno una scintilla di desiderio di fare il bene, impedendoci di dare libero sfogo all’istinto che spontaneamente ci porta a voltarci dall’altra parte per non vedere. 

E se amare come Gesù comanda sembra impossibile se lo “penso” o semplicemente lo immagino, possiamo guardarci intorno. Se lo faccio vedo persone che si sposano e che nel corso della vita, a causa di malattie o incidenti, si ritrovano con uno dei coniugi diventato quasi un altro per problemi fisici o psichici, eppure continuano ad amarsi, nonostante tutto. Vedo amicizie ferite, amori traditi, ho visto gesti di sopraffazione nella vita lavorativa e ho visto compiersi gesti di perdono, azioni attraverso le quali chi è stato offeso lancia comunque un ponte verso chi gli ha fatto del male, lavando i piedi in un servizio di pace di straordinaria grandezza, vissuto in silenzio e in segreto. Mi riaffiorano alla mente racconti di tensioni tra colleghi, racconti di fatica per chi è circondato da molti che non riescono a vedere ciò che appare così chiaro, e nonostante tutto quella persona non smette di volere bene a chi gli è accanto, nonostante lo faccia soffrire. Conosco chi ha dei numeri da giocare sul lavoro e non ottiene uno scatto di carriera perché non “piace al capo”, eppure continua a mettersi a servizio della realtà lavorativa di cui fa parte, perché ama il suo lavoro. Penso a chi perdona il male subito senza sperare in una vendetta e senza invocare una giustizia che umili. 

Tanto quanto è assurdo comandare l’amore spontaneo, tanto è utile che Gesù ci mostri sé stesso per insegnarci a vivere la pienezza delle relazioni con il comando di una misura alta con cui vivere i nostri rapporti con gli altri. Una misura che quando è vissuta da qualcuno ci commuove e ci aiuta a pensare che in mezzo a tanto male c’è del bene nel cuore dell’uomo; un bene che può emergere, un bene che il comandamento di Gesù ci richiama a non soffocare dentro di noi.  

 

Francesco Cortellini


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