Popoli aspiranti genocidi. Ognuno si sente giustificato a sterminare altri popoli
Eventi che si susseguono in questo convulso e tristissimo fine anno 2023 e primo mese del 2024 mi hanno richiamato ricordi, letture, suggestioni che desidero mettere in comune come riflessione sulle origini – e il destino – della nostra civiltà. Perché di questo si tratta. Del resto, che male si fa a pensare ad alta voce?
Quante volte nella storia ci si è chiesti: il fine giustifica i mezzi? John Dewey, il più grande filosofo statunitense, vi dedicò nel 1939 un’attenta riflessione che a mio parere ci aiuta a districarci, con calma e razionalità, su quanto sta avvenendo a Gaza dopo il 7 ottobre e come orientarci per formulare un giudizio e avanzare proposte sensate per la soluzione di una situazione alquanto intricata, nella quale trovo assurde le stragi a Gaza (come quelle in Ucraina, del resto) e fuorvianti le giustificazioni che si portano da una parte e dall’altra.
Hamas e molti governi islamici nascondono la strage spaventosa compiuta il 7 novembre per scaricare tutta la responsabilità della guerra sul nemico, e continuano a sostenere che Israele va totalmente distrutto, proponendosi dunque come “aspiranti genocidi” e trascinando su questa posizione stati decisivi per l’equilibri mondiali come la Turchia (facente parte della NATO!?) e l’Iran, pur coscienti del fatto che questa loro dichiarazione alimenta le paure dell’intera comunità israeliana (anche quella contro la guerra) e la volontà di Israele di usare ogni mezzo per salvarsi. Il fine giustifica i mezzi?
A Gaza, d’altro canto, non è possibile ignorare che in seguito all’operazione militare israeliana i bambini rappresentano il 40% delle morti, che migliaia di essi sono stati amputati senza anestesia, che 2/3 dei palestinesi sono di fatto rifugiati. Decine di migliaia di famiglie sono senza cibo, acqua e servizi igienici, sono intrappolate nelle proprie abitazioni oppure costrette ad un esodo biblico – questa volta provocato dalle truppe israeliane – nel tentativo di fuggire ai bombardamenti e alla guerra senza quartiere. Il governo israeliano sostiene che ciò è necessario per la salvezza di Israele. Si calcola che dall’inizio dell’operazione si sono avute 250 vittime palestinesi al giorno il che significa più di 100.000 vittime palestinesi se la guerra, come sostiene Netanyahu, si protrarrà per tutto il 2024. Anche Israele si candida a diventare un paese genocida. Il fine giustifica i mezzi?
Dewey, sulla questione del fine che giustifica i mezzi, era partito ironicamente dalla lettura di una storiella di Charles Lamb (1775-1834) apparentemente assurda sull’origine del “Roast Pig”, nella quale si racconta dell’incendio di una casa in cui erano ammassati dei maiali. “Mentre rovistavano fra le rovine, i proprietari toccarono i porci che erano stati arrostiti dal fuoco e si scottarono le dita. Portando impulsivamente le dita alla bocca per raffreddarle, sperimentarono un nuovo sapore. Trovandolo gustoso, da allora in poi si misero a costruire case, a rinchiudervi dei maiali e quindi a farle bruciare”, per gustare l’arrosto di maiale. E’ valido in un caso simile l’assunto che il fine giustifica i mezzi?
Per il filosofo americano l’assurdità della vicenda sta nel fatto che il fine buono - il Roast Pig – non giustifica un mezzo totalmente sproporzionato rispetto al fine. Se si considera assurda la storiella di Lamb significa che troviamo inaccettabile ogni valutazione di “fini in sé” separati dai mezzi utilizzati per raggiungerli. Nella situazione concreta mezzi e fini non possono essere valutati separatamente, ma componenti di un’azione unica che va giudicata globalmente. La bontà, plausibilità, appropriatezza, del mezzo contribuisce in modo decisivo alla valutazione positiva del fine. La separazione in astratto tra fini considerati in sé buoni e i mezzi usati è totalmente assurda, non essendoci valori assoluti da conseguire ad ogni costo, né mezzi considerati come elementi neutri, privi di valore. Al contrario, la bontà di un fine si può giudicare solo in relazione ai mezzi adeguati a realizzarlo.
Un secondo elemento non trascurabile nella critica dei “fini buoni in sé” risiede nel fatto che per valutare desiderabile il fine scelto come obiettivo primario, spesso si trascurano dalla nostra valutazione tutte le conseguenze secondarie del nostro agire, spesso assai importanti, numerose e imprevedibili. Secondo Dewey, è possibile accettare la bontà di un fine, solamente quando tutte le conseguenze della nostra azione sono altrettanto buone ed accettabili. Focalizzandoci solo sul fine togliamo volutamente dalla nostra attenzione le conseguenze a volte terribili delle azioni compiute e prendiamo in considerazione solamente l’obiettivo principale. Tale comportamento è inaccettabile non solo “eticamente”, ma anche “scientificamente”.
Per rendere più intuitiva la questione, immaginiamo che alcuni ricercatori testino un farmaco, che sì rivela efficace, senza considerare gli effetti secondari che provoca nel resto dell’organismo, che possono essere dannosi o letali. D’altra parte, in un’operazione di polizia, se è un fine buono eliminare un feroce assassino, che si è rifugiato in un condominio, è accettabile distruggere l’intero condominio con tutte le famiglie che ospita, vecchi, donne e bambini compresi, per conseguire questo fine?
Le argomentazioni così apparentemente astratte di Dewey “calzano a pennello” se si intende commentare e valutare quanto sta accadendo a Gaza. Hamas compie una strage totalmente ingiustificata di israeliani innocenti il 7 ottobre scorso, infierendo sui corpi e usando molti ostaggi come arma di ricatto. Cosa si dice al mondo? Noi intendiamo combattere Israele che ha occupato le nostre terre (il fine buono). Ma quali mezzi hai usato? Una strage di innocenti. E le conseguenze dell’azione intrapresa quali sono? Invasione della striscia di Gaza, esodo di centinaia di migliaia di palestinesi, fame e disperazione per tutti gli abitanti della zona. Era prevedibile? Se sì, devi assumerti anche tu, insieme agli Israeliani, una parte di responsabilità in tutto questo.
Per gli Israeliani non è diverso il ragionamento. In nome della propria salvezza come popolo (il fine buono), si sta annientando un altro popolo, come se tutti i Palestinesi fossero terroristi. A Netanyahu e ai suoi sostenitori andrebbero ricordate alcune coso essenziali. Ora stai distruggendo case, scuole, infrastrutture, ospedali, provochi carestie, morti e malattie. Ogni giorno si comunica trionfalmente: “Abbiamo eliminato cento terroristi”. Quanti innocenti, però, hai sacrificato per realizzare queste “vittorie”? E sei sicuro che degli ostaggi in mano ad Hamas, almeno una parte non sia stato ucciso dai tuoi attacchi? A rendere più terribile la vicenda c’è quanto scritto dal “New York Times” secondo il quale Israele sapeva dell'attacco del 7 ottobre già un anno prima che accadesse. Perché non lo ha prevenuto? Sottovalutazione o calcolo spregiudicato? Ipotesi terribili si affacciano alla mente, ma le vie del male sono infinite.
Questa situazione diventata ogni giorno più intollerabile mi richiama un episodio di storia antica narrato da Giulio Cesare. Un collegamento, questo, che è stato compiuto anche da Siegmund Ginzberg su “Reset” del 27 novembre, “Rileggendo Giulio Cesare a Gaza”, anche se da parte mia intendo evidenziare un aspetto diverso. Dopo immani stragi contro le popolazioni della Gallia e del Belgio, il condottiero romano stringe Vercingetorige in assedio ad Alesia e costruisce un’amplissima fortificazione lunga 15 chilometri intorno alla città per respingere eventuali sortite e per impedire ogni tentativo di fuga degli assediati. In attesa dei rinforzi da tutta la Gallia, il capo dei Galli per salvare le sue truppe dalla fame deve decidere cosa fare di molte migliaia di civili presenti in città. Indice un Consiglio, nel quale “parlò Critognato, il cui discorso merita di non essere trascurato per la singolare e aberrante crudeltà: “qual è il mio consiglio? Di fare come fecero i nostri antenati nella guerra contro i Cimbri e i Teutoni, quando, respinti nelle città e costretti da simile carestia, si cibarono dei corpi di coloro che per età non erano adatti alla guerra e non si arresero ai nemici” (Cesare, De bello gallico).
Respinta la proposta, Vercingetorige e l’intero consiglio decisero di spingere fuori dalle mura donne, bambini e vecchi, sperando che Cesare li lasciasse passare o li sfamasse. Ciò non avvenne. Così tra le mura della città e le linee fortificate romane furono lasciati morire migliaia di civili, nell’indifferenza sia dei Galli sia dei Romani. A Cesare Plinio il Vecchio muove l’accusa di aver massacrato 1.200.000 Galli nella conquista di quel territorio, e formula per la prima volta nella storia un’accusa di genocidio: “Io non posso porre tra i suoi titoli di gloria un così grave oltraggio da lui arrecato al genere umano”. Un altro grande storico, Plutarco, riconosce la cifra «tonda» di un milione di vittime e un milione di prigionieri nell’intera campagna di Gallia del grande Cesare.
Non vi sembra che quanto sta accadendo a Gaza abbia qualche somiglianza con quanto avvenuto nel 52 a. C. ad Alesia e nel “De bello gallico”? Con una differenza: che in quel tempo non c’era ancora stato il messaggio cristiano, né si parlava di diritti umani inalienabili, né di istituzioni nate per difendere i diritti dei popoli. Cose che dopo duemila anni l’umanità ha conquistato, eppure sembrano non contare nulla in Ucraina, in Palestina, e in più di un centinaio di altre parti del mondo.
Aveva allora ragione l’Adelchi di Manzoni, quando in punto di morte pronuncia queste parole terribili: “loco a gentile / ad innocente opra non v'è: non resta / che far torto, o patirlo. Una feroce / forza il mondo possiede, e fa nomarsi / dritto; la man degli avi insanguinata / seminò l'ingiustizia; i padri l'hanno / coltivata col sangue, e omai la terra / altra messe non dà. (vv. 30 - 37)? Oppure Quasimodo, quando scrisse: “Sei ancora quello della pietra e della fionda, / uomo del mio tempo… / T’ho visto: eri tu, / con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio, / senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora, / come sempre, come uccisero i padri… E questo sangue odora come nel giorno / quando il fratello disse all’altro fratello: / “Andiamo ai campi”.
Per queste ragioni, non mi sento di partecipare a iniziative e manifestazioni pro o contro l’uno o l’altro contendente, abbarbicati ognuno sulla formulazione del “fine giustifica i mezzi”, sul perseguire obiettivi nascondendo le conseguenze disumane che si vengono realizzando giorno dopo giorno. Né condivido la posizione di testate giornalistiche o televisive, che riportano i dati solo a favore di una parte. Coloro che si affannano a sostenere questo o quello, mi pare che corrano il rischio di schierarsi al fianco di potenziali o attuali genocidi, di alimentare gravissime manifestazioni di antisemitismo e di islamofobia, che sollecitano inaccettabili posizioni di scontri di civiltà. La logica binaria – da una parte o dall’altra – è una trappola nefasta.
A chi si schiera in questo modo sconsiderato, mi viene da chiedere, sorridendo: “Sei sempre disposto a costruire e incendiare case, per gustare l’arrosto di maiale?”
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