25 febbraio 2023

Storie di archivi segreti e guerre di spie

Il 25 febbraio è una data dimenticata ma importante giacchè in questo giorno del 1991 a Budapest i ministri degli Esteri e delle Difese di URSS, Bulgaria Cecoslovacchia, Polonia, Romania, e Ungheria decisero, quali ultimi membri rimasti, lo scioglimento dell'Alto Comando Unificato del Trattato di amicizia, cooperazione e assistenza reciproca dei paesi del blocco sovietico. Era la fine del Patto di Varsavia, l’alleanza militare dei paesi socialisti dipendenti dall’URSS e nata in contrapposizione alla NATO o al cosiddetto Patto Atlantico, che invece legava militarmente i paesi dell’Europa Occidentale all’influenza Americana.  

Entrambi gli organismi erano formalmente di natura difensiva rispetto alle possibili minacce di attacchi di un blocco verso l’altro, ma nella continua ed altissima tensione che la Guerra Fredda generava  finirono per divenire delle gigantesche strutture burocratiche attorno alle quali (e soprattutto con il supporto delle quali…) per 40 anni fiorirono apparati di spionaggio e controspionaggio protagonisti della cosiddetta “Guerra delle spie”, che vide i servizi di intelligence di tutte le nazioni europee guerreggiare fuori e dentro i proprio confini sotto l’egida i soldi e le pesantissime interferenze del KGB russo e della CIA americana.

Questa guerra segreta fu combattuta soprattutto in Italia, il paese dove come ebbe a dire una partigiana e collaboratrice dell’ OSS “ogni paese del mondo aveva le sue spie: stavano tutte, ma proprio tutte, qui da noi”.  E come non avrebbe potuto essere così? Siamo stati per anni il baluardo geografico degli Stati Uniti sul Mediterraneo e davanti alla Cortina di Ferro, il Paese con il Partito Comunista più grande e forte di tutto l’Occidente e al contempo la nazione che contiene il Vaticano, capitale morale di oltre un miliardo di cattolici sparsi nel mondo: un incredibile intreccio di enormi interessi contrastanti che sembra, neanche a dirlo, nato da un romanzo di spionaggio e che certamente può spiegare tanti dei nostri misteri irrisolti.  

E infatti proprio in Italia la storia dei Servizi Segreti si intreccia con le pagine più nere della nostra cronaca, con narrazioni e addirittura sentenze di tribunali che hanno condannato la nostra intelligence alla associazione con l’aggettivo “deviati”, con lo stragismo organizzato, la strategia della tensione e decine di morti ancora oggi senza veri colpevoli o con colpevoli piuttosto discutibili e quasi sempre condannati quando ormai erano da un pezzo arrivati ben altro giudizio, quello del Padre Eterno.

Da Piazza Fontana alla Stazione di Bologna, dall’omicidio Moro fino al disastro di Ustica o al Mostro di Firenze non c’è orrore in Italia nella cui narrazione non siano state tirate in ballo frange “deviate” dei Servizi.

“Silendo ut audeam nescio” è il loro motto: tacendo imparo ad osare tutto. E col senno di poi il motto in effetti sembra prestarsi veramente alle peggiori elucubrazioni… nascondendosi osare tutto, perfino l’illecito o la strage di innocenti? La questione è talmente annosa e complessa che ne sono stati scritti migliaia di articoli e libri, e non si può certo ignorare che la marcata strutturazione antisovietica dei nostri Servizi li abbia per decenni resi odiosi e odiati da quasi tutta la sinistra italiana, la cui Intellighenzia ne ha anche costruito con grande successo una vera leggenda nera con dossier giornalistici e film di ogni genere. La Guerra Fredda si combatteva anche così, a colpi di narrazione mediatica da un lato, a colpi di propaganda costruita e mistificata dall’altra. In ogni film politico che si rispetti, ad un certo punto appare un agente dei servizi che salva dalla giusta punizione i peggio delinquenti per poi utilizzarli ai propri fini dietro il paravento della sicurezza nazionale.

Per la verità, le attività dei servizi hanno per loro natura poco a che vedere col piazzare bombe o con il paracadutarsi in smoking sparando raffiche come James Bond: è, prevalentemente, una attività di analisi e archiviazione di informazioni, raccolte dagli agenti attraverso due canali “civili” che sono i collaboratori e le fonti, persone che danno informazioni circa i proprio ambiti sociali o lavorativi a volte a pagamento, altre per dubbie convenienze, altre ancora per vero spirito di collaborazione patriottica.

Il “dossieraggio” e gli archivi sono dunque il vero tesoro di ogni Intelligence, e fin da quando il primo servizio segreto americano, la OSS del generale Donovan, vinse la sua battaglia con il primo servizio segreto italiano, l’OVRA di Mussolini, si è parlato di archivi. La caccia ai dossier reciproci è la più peculiare caratteristica della guerra di spie, e questa in particolare fu vinta dagli americani grazie alla collaborazione di un uomo che è poi entrato nella leggenda (anche nera) della nostra intelligence, il J. Edgar Hoover italiano, Federico Umberto d’Amico. Per sua mediazione buona parte degli archivi dell’OVRA finirono probabilmente a Langley in Virginia nella sede della CIA, come forse i famigerati archivi della Casa del Fascio milanese tutt’ora misteriosamente irreperibili… Chi detiene le informazioni detiene il vero potere diceva Donovan, e D’Amato amava completare questa affermazione all’italiana dicendo che “bisogna sempre far credere di sapere molto più di quanto si sa, soprattutto quando non si sa proprio un cazzo”.

Fu questore e poi prefetto al Viminale, dove diresse per anni la famigerata Direzione Affari Riservati, che tra il dramma più nero e la politica più pecoreccia ha attraversato decenni di storia d’Italia. Nel 2020 (a 15 anni dalla morte…) è stato ritenuto dal Tribunale di Bologna uno dei corresponsabili della strage del 2 agosto 1980 , ruolo agghiacciante e che pare in totale contrasto con la sua aria da paffuto bon vivant: fu umorista gustosissimo, finissimo gastronomo e saggista, oltre che amatissimo da tutti i grandi chef internazionali. Il suo libro Menù e Dossier in cui raccontava il meglio e il peggio della politica italiana a tavola è completamente sparito dalla circolazione…misteri dell’editoria, o dei Servizi. Memorabile la sua risposta all’ André the Giant della DC Tina Anselmi sul perché non avesse riferito al Presidente del Consiglio sui rapporti tra Licio Gelli ei politici:  “perché avevo una intercettazione dove il Presidente del Consiglio il giorno prima di essere nominato diceva a Gelli – Licino Licino mi hanno promosso!- E io a chi cacchio lo dovevo andare a riferire???”.

Un intelligentissimo servitore dello Stato secondo alcuni, una delle menti della strategia della tensione secondo altri. Fu rinviato a giudizio negli anni ’90 ma l’inchiesta venne avocata da talmente tanti gradi di magistratura da finire nel nulla: due giorni dopo la sua morte gli piomberanno in casa i finanzieri alla ricerca di quei famigerati archivi che ne avevano decretato la totale immunità e che avrebbero dovuto contenere tutti gli scheletri nell’ armadio del nostro Paese. Ovviamente in casa non si trovò nulla: secondo alcuni suoi amici e collaboratori, D’Amato aveva provveduto per tempo a consegnarli alla NATO, a conferma di quanto dicevamo all’inizio di questo editoriale.

Del resto, negli anni ’80 gli archivi avevano ancora una tale aura da arma letale che quelli di Giulio Andreotti, oggi custoditi all’Istituto Don Sturzo, erano ritenuti il suo vero elisir di longevità politica.

Quelli di D’Amato, o meglio quelli della Direzione Affari Riservati saltarono improvvisamente fuori qualche anno fa in un magazzino della Polizia di Stato sulla via Appia a Roma: erano in avanzato stato di deterioramento e in totale disordine, e ancora oggi non si è capito se fossero stati dimenticati sotto gli occhi di tutti per cialtroneria come in un film di Lino Banfi o se invece fossero stati abbandonati in disordine proprio per consentire alle muffe di svolgere indisturbate il compito di distruggerli, come in un raffinato piano degno dei film di 007…

(La foto del professor Martelli è di Daniele Mascolo)

Sovrintendente agli Archivi del Comune di Milano

Docente di archivistica all'Università degli studi di Milano

 

Francesco Martelli


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