15 anni fa moriva don Franco Tantardini, il monsignore per eccellenza
L'11 luglio di quindici anni fa, in Cattedrale si tenevano le esequie di Mons Franco Tantardini. Aveva 88 anni. Per il Duomo, per i fedeli, per il clero era una istituzione, un gigante della fede, della storia e della liturgia. Quando morì, mons. Giuseppe Perotti allora parroco del Duomo e rettore della Cattedrale disse: “Monsignor Tantardini è stato un monumento di fedeltà alla Chiesa nel servizio quotidiano eseguito con grande competenza, con amore sacerdotale. Sacerdote attento ai segni dei tempi, di grande carità, studioso appassionato della storia della Chiesa, in particolare quella di Cremona e della sua Cattedrale. Cerimoniere del vescovo per ben 57 anni, non è mai stato un rubricista, cioè uno ossessionato dalle minuzie, ma contribuiva ad infondere alla liturgia un’anima, segno del suo amore zelante alla Chiesa.”
Don Alberto Franzini portato via lo scorso anno dal Covid così lo ricordava: “Gli sono molto riconoscente per la sua testimonianza di vita sacerdotale caratterizzata persino dal buon umore. Non esito a dire che gli ho voluto bene anche perché tutto cattolico. Dietro la sua passione per il latino ed i Padri della Chiesa (gli feci avere - su sua richiesta- il testo latino del “De Civitate Dei” di sant’Agostino) celava la sua ansia di purificazione della Chiesa. Nelle foto ricordo di tutti i sacerdoti della Diocesi compare sempre anche lui, figura famigliare nelle ordinazioni sacerdotali. In merito alla liturgia ricordo una sua definizione: “La liturgia è teatro, è una grande scena, che non va banalizzata, ordinata da regole ben precise che vanno perciò rispettate. Al di fuori della sua funzione, era di una facondia e di una natura, ripeto, libera. Tale era la sua precisione, che misurava, in anticipo, il percorso della processione del Corpus Domini e con andatura processionale. Se qualcuno gli rivolgeva la parola, portava l’indice alla bocca imponendo il silenzio. Tale era la stima della sua funzione di cerimoniere! Amava la natura, il mare delle Cinque Terre frequentate con mons. Balossi in una 500 bianca”.
Nato il 20 dicembre 1917 nella parte estrema di via Palestro all’angolo di via Dante (a destra verso la stazione ferroviaria), suo padre è stato uno dei primi mecca- nici-riparatori d’auto in Italia. Non esistendo le scuole guida, questi meccanici davano lezioni private agli acquirenti. Originari di Milano, lontani parenti di un Tantardini scultore (suo l’altare di destra nel Duomo di Milano e tanti altri spersi nel Lecchese e Comasco), al quale è dedicata una via nella Metropoli, erano di cultura laica-socialista. Un fatto importante questo, a riprova che la famiglia non esercitò alcuna influenza su Franco, ragazzo di 10-12 anni, che frequentava l’oratorio di San Luca a due passi da casa, animato da grandi sacerdoti vocati all’educazione dei giovani, numerosi nelle famiglie di allora. San Luca segnò la sua esistenza per sempre. In seminario a 12 anni, sacerdote a 23. A questo punto il dramma: in base ai Patti Lateranensi, per essere sacerdoti, era troppo giovane, occorreva un permesso speciale della Santa Sede.
Dovendo il vescovo Cazzani andare dal Papa “ad limina”, gli ha presentato anche il caso Tantardini: se poteva ordinarlo sacerdote anzitempo per preservarlo dal servizio in guerra. Ottenuto il consenso, don Tantardini venne ordinato il 16 giugno del ‘40, una settimana dopo la dichiarazione di guerra.
Secondo dramma, questa volta casereccio: la chiesa dove il novello sacerdote avrebbe dovuto celebrare la sua prima messa doveva essere san Pietro al Po, dato che la famiglia Tantardini aveva traslocato all’angolo via del Sale/ via Giordano di rimpetto alla Madonnina dei Pescatori. Parroco era mons. Brasca una delle vette del clero cremonese. Le due parrocchie si contendevano la celebrazione della prima messa di un sacerdote novello, perché accendeva sempre altre vocazioni. “Vinsero” i fraticelli di sant’Ambrogio, ma mons. Brasca ebbe, in compenso, don Franco come vicario.
Amabile e sereno con gli altri ragazzi, giocava e si divertiva a san Luca portandovi a spalle il fratellino Giampietro (di nove anni in meno). Una volta entrato in seminario, sparì dalla famiglia: da settembre a giugno, i seminaristi in genere godevano solo di pochissimi giorni di vacanza, perché nelle solenni liturgie delle grandi solennità dovevano essere presenti in Cattedrale. Lo studio, la formazione spirituale erano rigorosi ed impegnativi. Il piccolo Franco amava il “suo” seminario, i rettori ed i direttori spirituali, ammirava il suo Vescovo considerandone l’immensa sua importanza come successore degi Apostoli. Cazzani aveva posto gli occhi su questo giovane modello in tutti i sensi, comprese le eccezionali rese scolastiche (le pagelle finivano prima nelle mani del parroco e da qui alla famiglia!) ma soprattutto la sua devozione all’Eucarestia.
Tutto questo spiega perché, appena ordinato sacerdote, don Franco è diventato cerimoniere del Vescovo al posto di don Alberto Bianchi, finito a Caravaggio per poi fare ritorno come parroco a san Pietro al Po. Nel 1965, in occasione del suo XXV di messa, don Franco divenne canonico della cattedrale acquisendo il titolo di monsignore. E’ entrato così a far parte del Capitolo con la stessa consapevolezza lucida, con la quale ha svolto la sua funzione di sacerdote e cerimoniere. Esemplare anche nel Capitolo: approfondì vieppiù gli scritti dei Padri della Chiesa, fonte di ogni autentico rinnovamento della Chiesa. Appassionato del latino e del greco antico, che leggeva e scriveva speditamente, mons. Tantardini era aggiornato sui profondi rinnovamenti che stavano maturando nella Chiesa del Concilio. Nel servire con devozione ben sei Vescovi, fu non solo il loro cerimoniere, ma anche il loro consigliere, quando veniva richiesto di una valutazione su qualche questione o ”caso”.
Il ”Monsignore” per antonomasia, da mesi si era ritirato a villa Flaminia. Non celebrava più in Duomo la “sua” messa delle 10. Poi il ricovero e la morte il 9 luglio 2006.
(da uno scritto di Giovanni Borsella)
La fotografia è di Antonio Leoni
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