19 settembre 2021

Clemente Fracassi, il regista cremonese che settant'anni fa lanciò la giovanissima Sofia Loren nel ruolo di Aida con la voce della Tebaldi

Correva il 1951 quando un giovane regista ed un produttore giungevano a Cremona a bordo di una macchina. Si fermarono un paio di giorni, il tempo necessario per girare la città in lungo e in largo. Che cosa cercavano i due signori venuti espressamente da Roma? Un’attrice, un nuovo volto per la parte principale dell’interprete del film “Sensualità”. Fu una ricerca vana perchè, dopo aver compiuto un giro per tutte le città d’Italia, quella parte venne affidata ad Eleonora Rossi Drago. Ma come mai quel regista decise di venire fino a Cremona? Nessuna meraviglia: quel ragazzo, che all’epoca non aveva ancora 35 anni, dagli occhiali grossi cerchiati di tartaruga, dagli occhi azzurri e dai capelli biondi, era un cremonese nato a Vescovato e si chiamava Clemente Fracassi. Era venuto a Cremona perchè voleva rivedere la città ed il paese che gli aveva dato i natali. Erano molti anni che non ci veniva ed il viaggetto esplorativo per cercare una diva che fosse protagonista del nuovo film, lo aveva spinto fino in riva al Po.

Quando nel 1953 gli chiesero come avesse fatto ad entrare nel mondo del cinema ed a diventare, in pochissimo tempo, uno dei giovani registi più affermati, Clemente candidamente rispose: “Si può dire che sono nato ieri e non ho una ‘storia’, soprattutto interessante, da raccontare: ma vi potrei comunque dire che il mio destino si chiama Soldati”. Clemente Fracassi, ancora quando era un giovane studente, si trasferì con la famiglia a Bergamo. Durante gli studi liceali nell’Istituto di quella città egli collaborò alla stesura del soggetto e alla stesura di una rivista studentesca. La rivista ottenne un grande successo e gli applausi compensarono le fatiche di quelle giornate. Il ricavato della recita se ne andò tutto in una gran bevuta, e la passione per gli spettacoli si fermò per alcuni anni. Passato agli studi universitari Clemente seguì nuovamente la sua famiglia questa volta a Roma, nella mecca del cinema. Per lui, che aveva sempre conservata nel cuore la segreta speranza di intrufolarsi nel mondo dei cinematografari, era come toccare il cielo con un dito. Invece provò delle profonde amarezze.

Il cinema non era come se lo aveva immaginato e non esistevano strade precise per arrivarvi. C’erano un mestiere, degli industriali e molta gente che girava per gli stabilimenti di Cinecittà agghindata in fogge buffissime. Fracassi, mentre frequentava gli studi universitari, faceva una corte sfacciata ed adulatrice ad un suo compagno di studi, figlio di un pezzo grosso del cinema. Si prestava a fargli tutti i piaceri del mondo pur di ottenere da lui un permesso per entrare a Cinecittà e vincere il cerbero che c’era davanti ai cancelli. E la dea bendata lo aiutò. Proprio nel palazzo dove Clemente aveva preso alloggio abitava al piano superiore un aiuto regista di Mario Camerini, autore anche di parecchie sceneggiature. Questo aiuto regista era nientemeno che Mario Soldati, che in quel tempo, siamo nel 1939 alla vigilia dello scoppio della guerra, stava compiendo il salto di qualità per passare dietro alla macchina da presa. Per Fracassi quella era la buona occasione attesa e non bisognava perderla ad ogni costo. Gli stette addosso come avrebbe fatto un mocone, gli tolse la pace finchè Soldati gli promise un posto. Fracassi poteva già dirsi soddisfatto e diventò chiacchista, il primo gradino nella scalata al tirocinio cinematografico, in un film decisamente bruttino che si intitolava “Due milioni per un sorriso”, diretto da Mario Soldati e Carlo Borghesio. Il compito del ciacchista è semplice, non c’è bisogno di una competenza specifica: si tratta di tenere tra le mani due tavolette di legno che vengono battute all’inizio di ogni scena del film, provocando il rumore “ciak” che viene registrato sulla colonna sonora, sul quale risultano segnati il numero delle scene, il nome del regista e via dicendo in vista del montaggio finale quando le riprese sono finite. 

Fracassi, però ci rimase male: egli, che si era preparato sulle teorie di Pudovkin, di Bela Bàlàzs, di Spottiswoode, rimase disorientato. Gli sembrava che un film dovesse nascere dalla confusione, dai contrordini di cento persone, e tutti comandavano e non riusciva a capire come il film potesse saltare fuori. Soldati lo capì e gli fece alcune confidenze. Anche lui aveva provato le stesse delusioni, forse più gravi perchè era già sposato con figli e con sulle spalle l’esperienza e la gloria di un passato letterario, quando si vide di punto in bianco travolto da questa confusione con due tavolette in mano da battere ogni volta che il regista gli impartiva un ordine. 

Da queste confidenze nacque tra i due una profonda amicizia. E Fracassi lavorò con lui per altri film come aiuto regista, passando quindi sotto la regia di Camerini e di Poggioli. Ma la guerra interruppe tutto. Nel dopoguerra tutto era cambiato, anche le persone. Non fu facile ricominciare per sbarcare il lunario e Clemente si adattò a fare il giornalista occasionale, il ripetitore di greco e latino, lingue che ormai aveva già quasi dimenticato. Finchè un giorno il produttore Carlo Ponti, che dipendeva dalla Lux, la migliore casa di produzione italiana, gli propose di occuparsi dell’organizzazione delle riprese di alcuni film. Portano la sua firma di organizzatore generale “Vivere in pace” di Zampa del 1947 con Aldo Fabrizi e Arnaldo Foà, “Senza Pietà” del 1948 e “Mulino del Po” del 1949 di Lattuada, entrambi con la sceneggiatura di Federico Fellini, “Fuga in Francia”del 1948 di Mario Soldati con la collaborazione alla sceneggiatura di Emilio Cecchi e Cesare Pavese e “Mio figlio professore” del 1946 di Renato Castellani con Aldo Fabrizi.

Ma il vero colpo di fortuna gli arrivò ancora una volta con Mario Soldati. Siamo nel 1950 e Soldati, che ha allentato il suo gusto artistico, ha preso una serie di lunghi impegni e non può realizzare “Romanticismo”, organizzato da Clemente Fracassi e lo prega di sostituirlo. “Restai titubante – scrisse più tardi – mi ero disabituato all’idea che avrei mai diretto un film; mi ero adagiato sul mio successo di organizzatore e avrei dovuto giocarmi una posizione raggiunta”. Ma Clemente accettò e in quindici giorni fu scritta la sceneggiatura e in altri venti venne realizzato il film. Tratto dal dramma di Gerolamo Rovetta, aveva come interpreti Amedeo Nazzari e Clara Calamai.

Fu il primo film girato da Clemente. Del 1952 è “Sensualità” con Marcello Mastroianni e Eleonora Rossi Drago, che gli valse, però nel 1953 la regia di “Aida”, una grandiosa produzione a colori tratta dall’opera verdiana con migliaia di comparse ma, soprattutto, interpretata da una giovanissima Sofia Loren nelle vesti di protagonista, doppiata dal soprano Renata Tebaldi. Amneris è cantata da Ebe Stignai ma sullo schermo il ruolo è appannaggio dell’attrice canadese Lois Maxwell, futura Miss Moneypenny nei primi film di James Bond. Sophia Loren aveva allora solo diciotto anni e doveva recitare il ruolo che la Tebaldi aveva rifiutato, limitandosi a registrare la colonna sonora. Renata Tebaldi si prodigò più volte in lodi sincere per la professionalità della Loren i cui movimenti labiali erano apparsi in perfetta sintonia con il canto del soprano: «Sophia era molto bella genuina... Quando vidi il film in cui le avevo prestato la voce, rimasi stupita anche per la sua bravura. Nemmeno nei primi piani ci si accorgeva del playback» . Recentemente, Sophia Loren vissuta con una madre pianista ed a sua volta madre del direttore d’orchestra Carlo Ponti jr. è stata intervistata sulle sue propensioni per la Musica, dichiarando di aver iniziato il suo percorso musicale al top: con la voce di Renata Tebaldi in Aida, concludendo con un bel sorriso: «E che si potrebbe desiderare di più?». 

“Aida” è tratto dall’opera in 4 atti (1871) di Verdi e Ghislanzoni. La trama: trionfatore sugli etiopi, Radames ottiene dal faraone la liberazione della schiava Aida di cui è innamorato e di suo padre Amonasro, re degli etiopi. Costretta dal padre, Aida induce Radames a rivelare il segreto delle future mosse dell’esercito egizio. Per intervento di Amneris, figlia del faraone, Radames scopre il tranello, si costituisce e viene condannato per tradimento a essere sepolto vivo. Aida si cela nella tomba e muore con lui. E’ il fim‐opera di Sophia Loren (con la voce di Renata Tebaldi) dopo La Favorita (1952) da Donizetti, interpretata come Sofia Lazzaro. Con la pelle color cioccolato fece una splendida figura e, sulle ali delle arie verdiane, il film fece il giro del mondo. Messinscena imponente con scene di Flavio Mogherini, costumi di Maria De Matteis e musiche dirette da Renzo Rossellini. Dalle note di regia: “La lirica rappresenta un patrimonio di storie e di emozioni che il cinema sfrutta poco, e l’animazione non lo ha mai fatto. Si tratta di storie avvincenti che si raccontano in musica e coreografia, di cui poi la gente ricorda poche arie e romanze. L’opera poteva essere una buona strada: è venuta così l’Aida di Verdi, che si svolge attraverso conflitti chiari e semplici, conflitti di mondi, di personaggi, di temi morali, ma anche amorosi e personali”. “Primo saggio di opera filmata a colori, questa ‘Aida’ assolve onestamente al suo compito di mettere una famosa opera lirica alla portata del pubblico di ogni categoria. (...) Il colore è buono, la messa in scena appariscente, e il movimento della macchina abbastanza agile, compatibilmente con e‐ sigenze teatrali (...). Ottima la registrazione sonora”. (Alberto Albertazzi, “Intermezzo”, 1, 15 gennaio 1954). Distribuito dalla Cei Incom, il film uscì nelle sale cinematografiche italiane il 23 ottobre 1953. Il film fu distribuito l’8 ottobre 1954 negli Stati Uniti dall’I.F.E. Releasing Corporation, il 21 gennaio 1955 nei Paesi Bassi dalla Standaard Films. Uscì in seguito anche nel Regno Unito (1956), Norvegia (24 maggio 1956), Portogallo (13 settembre 1956), Finlandia (26 marzo 1957), Svezia (10 febbraio 1958). Ne venne fatta una riedizione che, negli USA, fu distribuita dalla 21st Century Film Corporation nel 1982 mentre in Francia, uscì ancora il 19 dicembre 1984. 

Fabrizio Loffi


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