4 dicembre 2022

Don Gnocchi, don Camillo e il Pope ortodosso

Chi non ricorda la scena del film «Il compagno don Camillo», quando il parroco di Brescello, entrato nella chiesa ridotta a un deposito e visto il Crocifisso appoggiato mestamente a un muro, s’infiamma e, preso per la collottola il malcapitato Pope ortodosso, gli insegna a tirare di boxe, in modo che, quando il torpedone con a bordo gli «eletti» guidati da Peppone esce da «Brezwiscewsky», lo stesso Pope sta orgoglioso sulla porta della chiesa riconquistata, mostrando i pugni, mentre il capo kolchoz si massaggia il mento, sconsolato? Ebbene, Giovannino, che scrive la sceneggiatura del film, poi comunque modificata dal regista Luigi Comencini e dai suoi collaboratori, doveva aver letto un libro particolare: «Cristo con gli alpini», scritto da don Carlo Gnocchi, il santo sacerdote del cui 120.mo anniversario della nascita (caduto quest’anno) pochi si sono ricordati.

Proprio nel capitolo intitolato «Civiltà orizzontale», dedicato alla Russia e alla drammatica campagna degli alpini, don Gnocchi scrive: «Un giorno a Slobin in Russia Bianca, misurai quanto grande e prezioso sia il dono di un altare e di un rito. Come quando si arrivava in un paese abbandonato dal nemico o conquistato combattendo, il nostro Comando dette tosto alla popolazione il consenso di riaprire al culto la chiesa ortodossa (le chiese che il bolscevismo aveva trasformato in granai del popolo, in locali di divertimento o di adunanze popolari). E, in poche ore, donne, vecchi, bambini, con fervore quasi frenetico, riportarono la chiesa al suo stato antico. Paramenti sacri, calici, messali e icone balzarono fuor da dove Dio solo sa. E, con essi, il vecchio Pope».

Poi l’Armir concluse tragicamente la campagna di Russia, ma Guareschi non si scordò di questi episodi, riportandoli ai primi anni ’60, quando nonostante si fosse alzata la «Cortina di ferro», a don Camillo bastò dare qualche lezione di pugilato.

Don Gnocchi scrisse questo libro ricordando quella tremenda esperienza fra i soldati e, riguardo le rare lettere che dall’Italia giungevano al fronte, don Carlo scriveva: «Alla povertà e primitività dei mezzi espressivi, in tutta questa corrispondenza, si contrappone la ricchezza degli affetti! Temi e motivi obbligati, essenziali, sinfoniali. La casa, la terra, Dio e la Patria»: temi che oggi, purtroppo, sembrano esclusi da qualsiasi dibattito. Il «prete dei mutilatini» chiuse la sua vita con un ultimo atto d’amore: donò i propri occhi a due mutilatini. Una provocazione per la società di allora, spesso indifferente, propensa a voltarsi dall’altra parte piuttosto che soccorrere i più deboli. Il gesto di don Gnocchi accese un forte dibattito, in quanto illegale a quel tempo. Se sul piano morale ci pensò papa Pio XII ad approvare la decisione di don Carlo, questo, che fu il suo testamento spirituale, spronò finalmente il Parlamento a promulgare le prime norme sui trapianti d’organo.

Le foto di don Gnocchi e alcune scene da “Il compagno don Camillo”

Egidio Bandini


© RIPRODUZIONE RISERVATA




commenti