L'inquisitore cremonese e le streghe di Valcamonica
Cinquecento anni fa, tra il 1518 ed il 1521, in Valcamonica si consumò una delle più grandi persecuzioni dell'età moderna contro i valligiani accusati di stregoneria: in pochi anni vennero arse sul rogo tra 62 e 80 streghe con le accuse più varie, dall'aver portato la siccità all'aver fatto ammalare uomini e bestiame con i loro sortilegi. Nel condurre questa persecuzione si distinse in particolare per la sua inflessibilità l'inquisitore cremonese Giorgio da Casale, frate domenicano che dal 1502 al 1511 aveva già svolto il suo ruolo nel convento cittadino di San Domenico e che papa Giulio II nell'agosto di quell'anno aveva incaricato di raggiunger la Valcamonica, dopo aver svolto una missione l'anno precedente anche a Como. L'inquisitore cremonese non dovette aver vita facile nelle valli bresciane se qualche anno dopo papa Adriano IV, nel suo Breve Dudum, uti nobis del 10 luglio 1523, si sofferma sulle difficoltà incontrate dall'inquisitore nel portare avanti i processi "nei detti luoghi deputati al suo ufficio" a causa dell'opposizione di "taluni, tanto ecclesiastici quanto laici": «In alcune parti della Lombardia e soprattutto in quei luoghi in cui detto Giorgio svolgeva il ruolo di inquisitore, furono trovate molte persone di ambo i sessi che, dimentiche della propria salvezza e allontanandosi dalla fede cattolica, avevano formato una setta, rinnegato la fede abbracciata con il sacro battesimo, calpestato la santa croce con i piedi e perpetrato su di essa atti ignominiosi. Avevano poi abusato dei sacramenti e soprattutto dell'eucarestia, eletto il diavolo come loro signore e protettore, prestandogli obbedienza e venerandolo; con i loro incantesimi, formule magiche, sortilegi ed altri nefandi atti superstiziosi avevano in molte maniere danneggiato le bestie e i frutti della terra.»
Giorgio Cacatossici da Casale era nato circa nel 1455 a Casale Monferrato e viene spesso segnalato semplicemente come Giorgio da Casale. Era entrato nell'ordine dei frati predicatori probabilmente nel convento di S. Domenico a Bologna, centro principale della Congregazione osservante della Lombardia. Durante la fine degli anni Settanta e Ottanta del Quattrocento studiò teologia allo Studium Generale Bolognese. Il 13 marzo 1482 fu ordinato sacerdote. Nel 1490 era nel convento di S. Marco a Firenze ma poi tornò a Bologna e nel 1499 fu promosso magistrato di teologia. Successivamente fu iscritto alla facoltà di teologia dell'Università di Bologna e ne divenne decano nel 1504. Il 25 aprile 1502 il Maestro Generale dell'Ordine dei Predicatori Vincenzo Bandelli lo nominò inquisitore di Piacenza (sede primaria) e Cremona (sede secondaria). Questi due sottodistretti erano stati allora ritirati dalla giurisdizione dell'Inquisizione di Pavia. Il nuovo inquisitore aveva immediatamente cercato di avviare processi alle streghe nel suo distretto, incontrando una forte opposizione delle élite locali, soprattutto dopo aver bruciato come strega a Piacenza una giovane donna nel 1503, mentre i suoi problemi a Cremona attirarono anche l'attenzione di papa Giulio II. In una Breve non datata Giulio II diede pieno appoggio agli sforzi di Cacatossici, che nel primo anno in carica condannò a Piacenza cinque streghe al fuoco e altre due all'esilio. A Cremona Giorgio da Casale istituì la Società della Santa Croce e ottenne per essa alcuni privilegi dal Papa Giulio II nel gennaio 1507.
Il 5 agosto 1511 Cacatossici fu nominato inquisitore di Brescia e Cremona, mentre Piacenza fu annessa all'inquisitore di Milano Silvestro Mazzolini da Prierio. Il 19 giugno 1512 il distretto inquisitorio di Cacatossici fu ulteriormente ampliato con l'aggiunta della diocesi di Bergamo. Allo stesso tempo, negli anni 1512-1514 fu anche Vicario Generale della Congregazione della Lombardia. Rimase anche membro della Facoltà teologica dell'Università di Bologna e più volte ne fu maestro reggente. Probabilmente intorno al 1515 Cacatossici fu privato dei distretti di Brescia e Cremona, ma conservò il distretto di Bergamo. Si sa che già nel 1512 il comune di Bergamo protestò contro l'unificazione di questi tre comparti sotto un unico inquisitore e sembra che queste proteste alla fine abbiano avuto successo. Nel maggio 1515 Cremona fu riunita di nuovo a Piacenza sotto l'inquisitore Crisostomo Iavelli e nello stesso periodo anche Brescia ottenne un proprio inquisitore, mentre a Bergamo Cacatossici prestò servizio come inquisitore fino al 1520, presumibilmente l'anno della sua morte.
Nel febbraio del 1519 Giorgio da Casale chiese invano alle autorità veneziane l'assistenza nei processi alle streghe. Il Consiglio dei Dieci, infatti, preoccupato per l'inaudita violenza della persecuzione, aveva già cercato di intervenire per fermare la carneficina, imponendo il blocco dell'inquisizione nella valle il 31 luglio 1518. Sarebbe riuscito però a fermarla definitivamente solo due anni dopo, il 27 luglio 1520. Ma intanto si era consumata una delle più grandi tragedie della fine del Medioevo.
Le popolazioni alpine della Valle Camonica, in virtù del loro isolamento, della loro condizione sociale e delle abitudini che da questa derivavano, unitamente alle infermità e alle deformazioni fisiche dovute alle malattie, avevano da tempo attirato l'attenzione degli inquisitori e dei demonologi, particolarmente sensibili alle informazioni venute dai visitatori caratterizzate da sospetto e paura e impregnate di pesanti pregiudizi. Nelle valli, inoltre, dove il cristianesimo si era diffuso in modo superficiale e non prettamente ortodosso, erano sopravvissute gran parte delle credenze e delle usanze popolari che conservavano l'impronta degli antichi miti pagani che gli inquisitori comprendevano, inevitabilmente, nel vasto repertorio magico-diabolico. In una lettera datata 1º agosto 1518 Giuseppe da Orzinuovi, funzionario veneto di Terraferma, descrive così la Valle Camonica a Ludovico Querini: “Luogo però più montano che pianura, luogo più sterile che fructuoso, et abitato da gente per la mazor parte più ignorante che altramente, gente gozuta, quasi tutta deforme al possibile senza alcuna regola del vivere civile”, anche se poi richiama l'attenzione sul fatto che errore e apostasia siano causati dalle difficili condizioni di vita che trascinano spesso alla disperazione: “Noe è dubio che li desperati, vedendosi prometere dil bene, assai richeze et a piaceri bontempo, prometono di fare tutto”. Questo determina un costante aumento dell'eresia: “Et pare che da quel tempo in qua siano trasferite le strigaria de albania in questa valle camonica; tanto che li è moltiplicata de tempo in tempo la maledizione, che se ora non se li feva condigna provisione, el morbo de tale peste andava tanto avanti che tutta quella valle, monte e piano, quei poveri sacerdoti et secolai, fati i fedeli parte di le Maestà divina et de loro senza più baptesimo che baptizzati et consequenter dediti ad opere diaboliche, dotti da fascinar li omini, strigar fantolini”. Già dal 1445 l'inquisitore della valle aveva chiesto istruzioni a Venezia su come ci si dovesse comportare, ma è quarant'anni dopo, il 9 dicembre 1485, che l'inquisitore domenicano Antonio da Brescia denuncia al Senato veneziano l'esistenza di streghe a Edolo, e ottiene in seguito dal Consiglio dei Dieci l'approvazione per iniziare il procedimento inquisitorio. Sempre nel dicembre del 1485 la Serenissima sollecita il sostegno del capitano e podestà di Brescia nei confronti di Antonio; frattanto il vescovo della città rivendica il diritto di sanzionare le sentenze di condanna. L'anno successivo i magistrati laici bresciani si oppongono all'operato del frate inquisitore. Nel 1499 tre sacerdoti camuni, Martino Raimondi di Ossimo, Ermanno de Fostinibus di Breno e Donato de Buzolo di Paisco Loveno vengono condotti a Brescia con l'accusa di recarsi al Tonale con l'olio santo e le ostie consacrate per le messe nere senza impartire l'estrema unzione. Il 23 giugno 1505 nei pressi di Cemmo, frazione di Capo di Ponte, vengono arse sul rogo sette donne e un uomo e nel 1510 a Edolo, su condanna del vescovo di Brescia Paolo Zane, vengono bruciate 60 streghe accusate di aver portato la siccità e fatto ammalare uomini e animali con i loro sortilegi.
E' in questa escalation di fanatismo religioso che viene nominato inquisitore a Brescia e Cremona Giorgio da Casale a cui nel 1518, con la ripresa delle persecuzioni vengono affiancati cinque inquisitori per ognuna delle cinque pievi della Valcamonica: don Bernardino de Grossis a Pisogne, don Giacomo de Gablani a Rogno, don Valerio de Boni a Breno, don Donato de Savallo a Cemmo e don Battista Capurione a Edolo, coordinati dal vice inquisitore Lorenzo Maggi. Tra giugno e luglio vengono arse tra le 62 e le 80 streghe, tra cui venti uomini. Subiscono la condanna a morte anche tre personaggi di spicco: tale Agnese "capitana delle fattucchiere", messer Pasino "cancelliere del Tonale" e un tale anonimo che era il corriere del primo in Francia e Spagna, fino a quando, il 31 luglio, la Repubblica Veneta impone il blocco dell'inquisizione nella valle. Un paio di mesi dopo, il 25 settembre, il vescovo di Pola e nunzio pontificio a Venezia Altobello Averoldi porta un certo Bretin, reo confesso di stregoneria, che, davanti al collegio, testimonia l'esistenza di sabba presso il monte Tonale, fornendo il pretesto per una ripresa in grande stile della caccia alle streghe. Il monte Tonale si trova tra la Valcamonica e la Val di Sole, tra la Lombardia ed il Trentino. Si tramanda che su questo monte, durante il mese di giugno, nei giorni di giovedì e sabato, venissero praticati degli incontri tra streghe, descritti nel 1518 dal castellano di Breno Carlo Miani al dottor Marino Zorzi veneziano: “a Breno alcune donne tormentate confessarono di haver fatto morir homini infiniti mediante polvere avuta dal demonio, la quale sparsa in aria facea sorgere procelle e con essa una asserì d’aver ucciso 200 persone”. Allo stesso modo racconta di fanciulle che, spinte dalle loro stesse madri, disegnate delle croci a terra ci sputavano sopra urlando disgustose parole. Questo rito faceva apparire il demonio a cavallo che le scortava sulla vetta del monte, sul quale prendevano parte a orge. In cambio del loro ripudio del cristianesimo ottenevano bellezza e giovinezza. Nel corso dei processi del 1518 una donna di cinquant'anni, chiamata Onesta, confessò di essersi più volte recata al Tonale cavalcando una capra. Lassù la donna avrebbe imparato a scatenare le tempeste e, dopo aver reso omaggio al demonio assiso in trono, avrebbe ricevuto una polvere magica per far morire le persone. Onesta raccontò poi di banchetti antropofagi ai quali partecipava una gran quantità di gente. Il 29 giugno 1518 salì sul rogo in piazza della Loggia a Brescia Benvegnuda la "Pincinella", una donna sessantenne di Nave, processata e condannata a morte per stregoneria per aver affermato davanti ai suoi inquisitori di recarsi ai sabba che si tenevano lungo le sponde del Mella e sul monte Tonale. Benvegnuta Pincinella fu denunciata dal suo dirimpettaio, il quale aveva fatto ricorso ai suoi medicamenti a base di erbe selvatiche, che a fra Lorenzo Maggi rivelò di abitare di fronte ad una strega. E bastò quel gesto di viltà, per innescare un incendio che scosse tutta la Valcamonica. C'era però anche chi, più smaliziato, mostrava di non credere all'esistenza dei sabba sul Tonale, come Francesco Rovello da Clusone che, dopo aver assistito ai processi, scriveva il 17 dicembre 1518 a Girolamo Querini: “Invero difficil cosa da credere (...) imaginandomi più tosto che 'l para cussì a queste femine per forza del diavolo, et che siano illusioni”. Ma altri testimoni oculari dei processi del 1518, come il giurista bresciano Alessandro Pompeio non avevano dubbi che “Queste bestie eretiche hanno electo uno monte, el qual se chiama Monte Tonale, nel qual se reduseno ad foter e balare, qui afirmano che non trovano al mondo nihil delectabilius et che onzendo un bastone, montano a cavalo et eficitur equus, sopra il quale vanno a ditto monte et ibi inveniunt el diavolo, quale adorano per suo Dio et signore, et lui ge dà una certa polvere, con la quale dicte femene et homeni fanno morir fantolini, tempestar, et secar arbori et biave in campagna, et altri mali, et butando dicta polvere sopra uno saxo, si speza”.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
commenti