13 dicembre 2022

La lunga carriera sul ring del gigante buono Penna

Vent’anni e passa di carriera agonistica sempre ad alto livello, attraverso tre generazioni di pugilatori, lo hanno portato ad essere, al di là dei risultati tecnici, che comunque sono stati sempre notevoli, il pugile senz’altro più amato dal pubblico cremonese, certamente più di altri campioni, come Pozzali e Bonetti, che pure per classe e risultati gli furono superiori. Di sicuro, il fascino della categoria, la correttezza sempre dimostrata dentro e fuori dal ring, oltre alla lunga milizia e ad un carattere particolarmente affabile e bonario in contrasto con la professione esercitata, hanno fatto di Benito Penna una delle bandiere dello sport cremonese.

Sin dai giorni in cui, a quindici anni appena, si presentò nella palestra dell’ABC in Via dei Mille, quella ricavata nella ex chiesa di San Benedetto. Era l’inverno del 1955. Aveva iniziato con l’atletica leggera, disco e peso. I dirigenti della sua società, la Velox di Castelverde, dove viveva, lo avevano convinto a frequentare la palestra per un po’ di preparazione invernale, ma qui si innamorò subito del pugilato, tanto che a primavera non lo rividero più sui prati. A quindici anni Benito faceva già segnare sulla bilancia un peso superiore al quintale e trovò subito un rivale nella stessa palestra, il colosso bresciano Renato Cicoli, veniva da Roè Volciano e aveva un paio d’anni in più e un fisico da vero colosso del ring: 110 chili distribuiti su due metri d’altezza, una velocità di braccia sorprendente e grande mobilità di gambe. Lo avevano subito battezzato come “Il gigante della Val Padana".

I due frequentarono la palestra per un anno intero prima di salire sul quadrato: Penna sempre all’ombra di Cicoli che pareva il più dotato. Paolo Colombo distribuiva insegnamenti ad entrambi e mentre le preferenze di quasi tutti andavano al gigante bresciano, Marino Faverzani che entrambi saggiava sul ring in allenamento, era il solo a preconizzare un futuro migliore per il più giovane anche se, agli inizi, a Cicoli bastava presentarsi sul quadrato con la sua mole per intimorire gli avversari ed avere partita vinta.

Debuttarono insieme in un torneo a Cremona organizzato quasi esclusivamente per loro e denominato “Primi Pugni”. Un’idea di mio padre che riproposi cinquant’anni più tardi con grande successo insieme al Presidente Bottoni e al Maestro Avosani.

Benito vinse i suoi primi due incontri; Cicoli passò come un ciclone su altrettanti avversari che se la squagliarono nel giro di pochi secondi, letteralmente terrorizzati dalla sua mole possente. Arrivarono entrambi in finale, ma si evitò lo scontro fratricida nominando entrambi vincitori e facendoli combattere, la sera delle finali, fuori torneo. Arruolato nelle Fiamme Oro a soli 18 anni, già nel 1959 poteva considerarsi tra i migliori pesi massimi in assoluto. Brillava soprattutto in quel momento l’alessandrino Masteghin che, appena diciottenne, aveva conquistato il titolo italiano assoluto battendo in finale Franco De Piccoli. La concorrenza era veramente spietata con il piemontese Biato, il gigantesco laziale Celio Turrini che già allora pesava sui 140 chili, ed un altro laziale difficile da affrontare per la notevole altezza e precisione dei suoi colpi diretti, Badalassi. Inoltre a Bologna si stava mettendo in luce Dante Canè, un altro gigantone dalla promettente carriera. Benito lo superò in un match di selezione, trasmesso in diretta dalla TV, che valeva il posto nella nazionale juniores. Era il 30 aprile del 1962 quando sentendosi ormai pronto per il debutto tra i pugili di mestiere, salì per la prima volta la scaletta del ring della Palestra Spettacolo per un match in sei riprese. Horst Herold, un veterano tedesco ormai passato al vaglio di tutti i migliori pesi massimi europei, non riuscì a sentire il gong che poneva fine al primo round. Neppure si può dire che fu un buon collaudo. Valeva solo come il primo Ko per gli amanti delle statistiche.

La “Spettacolo” cominciò a riempirsi ad ogni riunione, le richieste degli organizzatori a fioccare da più parti, gli avversari a crollare uno dopo l’altro. Andò a Roma, nel Palazzone dell’Eur, per superare in meno di cinque round un Celio Turrini sempre più pesante, quindi, a Piacenza, dove Werner Weigand, un olandese dal passato importante (40 vittorie all’attivo e incontri sostenuti con gente del calibro di Cavicchi, Brian London, Ingemar Johanson) finì atterrato da un diretto destro alla seconda ripresa. Ancora a Piacenza, dopo avervi superato, sempre per Ko il biondo tedesco Engelbrecht a Bologna, si ritrovò tra le corde con Reneè Goubelle. Stavolta non diede scampo al francese che incappò in un destro fulminante al secondo round. Stesso risultato contro Erwin Hack a Brescia. Benito chiuse il suo secondo anno da professionista con un gancio sinistro di quelli che passano alla storia, forse il migliore che abbia mai estrinsecato la sua potenza (era tra l’altro un mancino che boxava in guardia ortodossa). Ne fu vittima l’iberico Josè Gonzales, un muscoloso colpitore che era stato più volte campione di Spagna. Benito dedicò la vittoria alla memoria del padre, il suo primo tifoso che aveva perduto pochi giorni prima.

Arrivò anche la prima sconfitta, inattesa. Il 24 gennaio del ‘64 si trovò tra le corde con il possente mancino bresciano Piero Tomasoni che saliva dai mediomassimi e della categoria possedeva la velocità. Si chiuse il 1965 con una vittoria straripante su Wim Snoek, antico talento, ma con le polveri ormai bagnate che non udì il gong finale della seconda ripresa.Il quadro dei pesi massimi italiani, nel frattempo, era cambiato. Scomparsi Amonti, Tomasoni e De Piccoli, ora dominavano il campo Righetti, un bel tecnico da cui Benito aveva perduto ai punti prima di smettere, il solito Canè, Zanon e Bepi Ros, due pugili completamente diversi tra loro, ma entrambi di grande valore internazionale, tanto che Zanon arrivò a battersi per il mondiale con Larry Holmes e Ros fu campione d’Europa.

La seconda carriera di Penna iniziò a Cremona il 12 giugno del 1974, stavolta contro il pugliese Pasquale Rizzardo, fisico da palestrato, non altrettanto dotato sul piano tecnico, che aveva esordito battendo due ex campioni d’Italia dei dilettanti, il bresciano Visini ed il napoletano Scala. Benito ne fece un sol boccone dopo un paio di riprese di assaggio mettendolo in difficoltà con uno spostamento laterale ed un gancio sinistro alla mascella che lo pose in ginocchio. Tentò di riprendere, ma l’esperienza di Benito non gli diede scampo. Dopo otto vittorie consecutive, la possibilità di ottenere una chance per il titolo italiano sembrava avvicinarsi ancora una volta, a dieci anni di distanza dal match con Amonti, ma Zanon continuava a nicchiare per poi, come s’è detto, lasciare il titolo nelle mani di Canè.

Convincere la Federazioni a concedergli una nuova possibilità, a 37 anni suonati, non era facile anche se, in fin dei conti il campione in carica aveva la stessa età. Benito, a 38 anni lasciò il pugilato attivo, non la palestra: per un’altra ventina d’anni si preoccupò della preparazione dei ragazzi che la frequentavano fino a quando le condizioni di salute glielo permisero. Così la nostra collaborazione è durata altri vent’anni, senza mai una discussione, senza uno screzio mettendo sempre la nostra competenza ed esperienza al servizio dei ragazzi che si sono avvicinati al pugilato negli ultimi anni.

Benito è stato un esempio per tutti, soprattutto un amico che il mondo della boxe ha sempre riconosciuto e rispettato per la corretezza dimostrata nei tanti anni di pratica sportiva.

Penso che qualche soddisfazione in più avrebbe potuto togliersela, soprattutto da dilettante se non avesse avuto la sfortuna di affrontare Canè sempre sul suo terreno, a Bologna e Modena, e se avesse avuto un briciolo di mordente e di cattiveria agonistica in più.

Nella foto la festa per i settant'anni di Benito Penna con gli amici di sempre Oreste Perri ed Emiliano Mondonico e poi una serie di immagini della carriera sul ring del "gigante" di Cremona

Cesare Castellani


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commenti


Pierpiero

14 dicembre 2022 06:33

Aspettavo di leggere un ricordo di Castellani, sicuramente fra le persone con più titolo, storia e passione per ricordare un cremonese buono che ha certamente lasciato ricordi positivi a tutti quelli che ne hanno anche solo incrociato lo sguardo.
Bravo Cesare!