Una storia della Bassa: Piero Carolfi tra tabarri, Verdi e scienza
Piero Carolfi è un veterinario con tre specializzazioni, è uno dei pionieri della tecnica “embryo-transfer” in Emilia Romagna, con tanto di corsi di aggiornamento in Francia e in California, ha partecipato e vinto numerosi concorsi, come veterinario condotto, veterinario provinciale e direttore di istituti, ma ha sempre rinunciato per dedicarsi alla libera professione e alla sua azienda: “I Ronchi” in quel di Baselicaduce, provincia di Piacenza, un tiro di schioppo da Busseto e alla sua grande passione, la tradizione contadina della Bassa. Ma non solo. «Sono orgoglioso delle mie origini contadine – dice Piero mentre versa gutturnio biologico in una tradizionale scodella da osteria – mio padre, giovanissimo, si innamorò della figlia dei vicini di podere che aveva sedici anni e, anticipando la “legge” del chilometro zero, la sposò appena possibile, indossando al matrimonio questa camicia, che oggi indosso io: quella delle grandi occasioni, lunga, a tre bottoni, bianca e con ricamate le spighe di grano. Era del mio bisnonno, poi di mio nonno, di mio padre e, infine, la porto io, rigorosamente con la cravatta a fiocco e il “bustén” (il gilè con l’orologio Roskoff nel taschino ndr.)».
Piero è un fiume in piena, quando racconta della sua famiglia, dello zio che riusciva, utilizzando il grasso di scarto dalle macellazioni casalinghe dei maiali, a far produrre 30 litri di latte al giorno alle sue vacche. E siamo negli anni ‘50/’60, ben prima dei nutrizionisti.
Racconta dell’altro zio calzolaio, che faceva scarpe indistruttibili: «Sono quelle che porto ancora oggi, quando rievochiamo le straordinarie usanze di campagna: hanno sessant’anni, ma sembrano nuove!».
Piero si laurea giovanissimo (è tutt’ora il più giovane veterinario piacentino ad essersi iscritto all’ordine) e inizia a fare tirocinio, recandosi anche ai “Ronchi”, la tenuta del futuro suocero Mario Bassi. È qui che, nel 1971, s’innamora di Mariarosa, proprio quando il padre di lei morirà improvvisamente. La futura signora Carolfi, però, ha un carattere forte e, nonostante la giovane età, prosegue nell’amministrazione dell’azienda agricola, coadiuvata anche da Piero che, otto anni dopo le dirà: «Ormai sono tanti anni che lavoro a casa tua. A questo punto, o mi paghi, o mi sposi!». «Va da sé – dice sorridendo Piero - che lei scelse il matrimonio di interesse che, però, dura da più di 40 anni…».
Oggi, con qualcosa come 1200 capi bovini in allevamento, la tenuta “I Ronchi” è una delle più prestigiose della nostra regione e non è tutto: «Grazie alla genomica – dice Piero – da decenni non acquistiamo un solo capo di bestiame. Facciamo una rimonta selettiva, grazie alla fecondazione artificiale (una delle sue specializzazioni ndr.) e alla genealogia dei riproduttori».
Piero e Mariarosa hanno due figli: Virginia, con due lauree in discipline umanistiche e Mario che si occupa a tempo pieno della tenuta di famiglia, assieme alla mamma e al papà. Nel 2017 Piero Carolfi entra a far parte dell’Accademia dei georgofili, la prestigiosa istituzione che ha lo scopo di divulgare e tutelare i valori dell’agricoltura e dell’ambiente, promuovendo il progresso delle conoscenze, lo sviluppo delle attività tecnico-economiche e la crescita sociale.
«Fu il dottor Michele Stanca a proporre la mia candidatura – dice Piero – e dopo la nomina ad accademico ho avuto l’onore di ricevere qui, nella stalla dei “Ronchi” l’allora presidente Giampiero Maracchi». E non finisce qui, perché il dottor Carolfi decide di fondare, con numerosi amici del parmense e del piacentino, l’associazione “Amici del Tabarro”, che rievoca ogni anno mercati antichi, sagre e iniziative, partecipando agli anniversari verdiani di Busseto.
«Con l’amico e collega Giancarlo Contini teniamo vive queste tradizioni, assieme ai componenti delle “Terre traverse” – conclude Piero – rievochiamo addirittura le “aste contadine” a Bore, andiamo in bicicletta a ricordare il Maestro Verdi e a dorso di mulo alla messa di mezzanotte». E ne avrebbe tante ancora da raccontare, Piero, ma il lavoro lo chiama e ci diamo appuntamento per un’altra volta: «Così ti racconto dei soprannomi e di come mio padre avesse già intuito l’importanza della genetica nei bovini, nel 1960. Vedrai!». Si rimette il cappello e sembra Giuseppe Verdi che, uscito dalla stalla, va a controllare la sua campagna…
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