Verso Tokio 2021, Pino Guindani primo olimpionico del ciclismo cremonese trionfatore della classica Milano-Cremona e pilota d'auto ad Asmara
Giuseppe “Pino” Guindani fu il primo olimpionico del ciclismo cremonese, primo di una lunga teoria, dato che sulle sue orme (fu protagonista ad Anversa nel 1920) arrivarono Pierino Favalli nel 1936 a Berlino, Alfo Ferrari e Silvio Pedroni nel 1948 a Londra, Marino Morettini nel ’52 ad Helsinki, Roberto Ceruti nel ’76 a Montreal, Marco Villa nel 2000 a Sidney e Ivan Quaranta nel 2004 ad Atene.
Fu il più forte tra i protagonisti di quel ciclismo che, appena dopo la Grande Guerra, stava cambiando pelle perdendo qualche accento eroico che ne aveva caratterizzato le origini, ma avviandosi sempre più sulla strada della ricerca e del progresso, soprattutto tecnico. Cambiavano le strade, (qualcuna era già asfaltata) si perfezionavano le biciclette, migliorava il modo di correre e di allenarsi, anche di alimentarsi.
Si chiudeva l’epoca del ciclismo epico anche di casa nostra e Pino Guindani fu il migliore interprete di questo cambiamento. Fu il primo corridore allenato dal nonno Cesare Castellani che le corse aveva abbandonato, da atleta, prima della Guerra e che, al ritorno dal fronte, aveva preso in mano la direzione tecnica del Club Ciclistico Cremonese 1891. L’avrebbe tenuta per trent’anni, sino alla conquista del mondiale di Alfo Ferrari nel 1947.
Guindani era nato il 15 marzo 1895: proprio per questo gli era stato affibbiato il nome di Giuseppe. Subito dopo i primi successi, corteggiatissimo dalle ragazze cremonesi, era stato soprannominato “Il bel Pino” guadagnandosi una ben meritata quanto consolidata fama non solo di ciclista, ma anche di play boy. Anche per questo, oltre che per l’innata classe ed il modo di stare in bici, trent’anni più tardi il nonno confessava di rivedere in lui lo svizzero Hugo Koblet.
Dopo qualche gara senza importanza disputata negli ultimi anni di guerra, si presentò, fortissimo, già nel 1919 vincendo una decina di corse e gareggiando mentre cresceva, nella sua ombra, un altro ciclista di valore, che portava il suo stesso cognome, Dante Guindani, pure corridore di punta del Club Ciclistico Cremonese 1891, che in quegli anni sembrava destinato a grandi cose (aveva tre anni meno di Pino e aveva vinto, giovanissimo e a sorpresa, la “Popolarissima” di Cremona oltre che la Milano-Cremona, due corse importantissime nel calendario ciclistico provinciale.
Si gareggiava ancora poco nell’immediato dopoguerra, ma quella Milano-Cremona, che si disputò il 21 settembre del ‘19 era divenuta ormai una classicissima del ciclismo nazionale, ed essendo una delle ultime della stagione agonistica, era ambitissima. Presero il via quasi tutti i migliori dilettanti italiani: speravano, vincendo o piazzandosi bene, di guadagnarsi un ingaggio tra i professionisti per l’anno seguente. Vinse Dante, con Pino al terzo posto. Tra loro era riuscito ad inserirsi il milanese Pietro Magnani. Fu l’inizio di una rivalità che divise in due non solo gli amici dei due atleti, ma tutta la cittadinanza cremonese.
Della corsa è pervenuta una cronaca completa che prende le mosse dalla sera precedente la gara e che dimostra in quali condizioni si svolgessero le corse in quegli anni, quali sacrifici i corridori fossero costretti pur di gareggiare. E per i cosiddetti “suiveurs”, dagli allenatori ai meccanici, dai direttori sportivi ai giornalisti, il disagio non era certamente minore.
“Sabato sera a Milano si parlava nei ritrovi di questa 5ª Milano-Cremona. Già erano giunti i corridori e circolavano in Hotel ed Alberghi di secondo e terzo ordine senza riuscire a trovare alloggio. I nostri hanno passato la notte sulle panche di una stazione a Milano, gli altri si sono accomodati alla meglio. Il cielo lasciava vedere una giornata pessima. Si parla della corsa. I milanesi stanno sicuri in un successo dei loro colori e noi, di converso, guardiamo i nostri, specialmente i due Guindani che sono per noi il perno delle nostre speranze. Sino a notte tarda i corridori girano per i corsi portando a lato le fide macchine, seguiti dal codazzo di amici e curiosi. Poi, quando alle due o forse più, tutto a Milano entra nel silenzio e nel sonno, per le vie non si trova che pattuglioni di guardie di città e militi in ispezione.
Alle 6,30 di domenica mattina, andiamo a Rogoredo, nella fresca landa di verde e di quiete. I caffè si aprono pigramente e risuonano i fiacchi discorsi dei nottambuli. Anche il Caffè Sport, ove si preparano le ultime operazioni per il “via” conserva la sua traccia di monotono ritrovo popolare. Poi giungono i corridori a portare una nota gaia di vita e nell’ambiente è tutto moto, è tutto chiacchierio insistente e vivace. Fuori, sotto la nuvolaglia, cade una leggerissima pioggia. La partenza è ritardata di 40 minuti. Le “toilettes” dei corridori richiedono tempo.
Nel locale si spande un acre odore di “embracation” e di canfora che gli uomini usano per i loro massaggi. Alle 9 si comincia ad allineare i corridori sulla strada, ora fatta bianca dalle prime sfere di un timido sole. Guindani Dante e Giuseppe stanno cambiando i “palmers” alle macchine, poi, alle 9,10 il via…. A Melegnano giungiamo alle 9’30 e tutto il popolo del paese è riversato sulla piazza e lungo la strada. Attorno è tutta festa e giocondità per la Sagra di S. Matteo.
Guida la corsa Giuseppe Guindani con passo sostenuto…Fuori da Melegnano prende la testa Dante Guindani…. Siamo in vista di Lodi, Giuseppe Guindani è in testa al gruppo e guida con scioltezza d’azione…A Codogno passa primo ancora Giuseppe Guindani e primo passa anche a Maleo… A Pizzighettone i corridori si danno a percorrere quel “tourniquets” a pazza andatura sollevando lo stupore dei presenti.
Dopo il veloce passaggio dei due ponti in legno i corridori sono fuori dell’abitato, ma ad una svolta, essi trovano la via sbarrata da un passaggio a livello chiuso. Può bene, il guardiano in gonnella smontare la bandiera del segnale. I corridori passano dai cancelli sollevando le macchine a scavalcando l’inferriata; e quando l’ultimo esce sulla via, passa a tutto vapore il treno in corsa. A Cremona il passaggio è segnato alle 11,55. A Porta Venezia i corridori passano al controllo a timbro. Si ritira il cremonese Superti, mentre Denti passa dopo pochi minuti. Allora si verificano tentativi di fuga di Giuseppe Guindani e di Scrivanti, i due guadagnano terreno, ma poco perseverarono nell’azione e vennero raggiunti.
Denti a Pieve San Giacomo riacciuffa i compagni ed ha la soddisfazione di condurre gli uomini da San Giovanni in Croce a Piadena, passando così tra le ovazioni del suo pubblico…. Un pubblico enorme è assiepato ai lati della strada per oltre trecento metri. Le teste si sporgono, cessano i brontolii. L’attimo dell’ultima fase è solenne. I corridori sono annunciati in lontananza. A un chilometro dal traguardo sono in testa Denti e il piccolo Ferrario, ma non riescono ad evitare la collisione delle loro macchine. Questo avviene ad ottocento metri e la loro caduta scompagina il gruppo.
I Guindani, che erano nelle posizioni antistanti, balzano in testa e tirano immediatamente. A 400 metri essi sono in prima posizione seguiti a due macchine da Magnani. Un istante d’incertezza di Giuseppe Guindani è fatale per Magnani che gli balza addosso e lo passa di mezza macchina e tenta di avvicinarsi a Dante Guindani. Ma questi resiste. Questo sorretto, incitato dal pubblico nello sforzo spasmodico da tutto se stesso e riesce a passare il traguardo primo meritatamente.”
All’inizio della stagione successiva, i due Guindani, ormai più che compagni di squadra acerrimi rivali, si schieravano alla partenza di un massacrante Giro delle Marche che Dante riuscirà ad aggiudicarsi arrivando al traguardo con ben 17 minuti di vantaggio sul secondo, mentre Pino riuscirà ad agguantare ancora una volta il terzo posto, ma questo sarà proprio l’anno della sua piena esplosione, mentre, al tempo stesso già apparivano in calo le azioni di Dante dopo lo sfolgorante inizio del Giro delle Marche.
Nel mese di giugno i due prendevano parte, a Novi Ligure, alla selezione per le Olimpiadi di Anversa. Pino riuscì ad impressionare a tal punto il tecnico federale Eberardo Pavesi con una condotta di gara tanto generosa e battagliera che questi, nonostante fosse arrivato soltanto settimo, lo convocò per i Giochi Olimpici. Dante rimase in ombra e dovette rinunciare a quel sogno olimpico che riuscì invece a realizzare la figlia Luciana, in canoa, quarant’anni dopo a Roma.
In Belgio, però, Pino non trovò la sua giornata migliore: la competizione olimpica prevedeva una durissima prova a cronometro sui 175 km (niente a che vedere con le cronometro dei nostri tempi che hanno percorsi molto più brevi) con arrivo al Velodrome Zuremborg di Anversa e fu vinta dallo svedese Harry Stemqwist in 4h40’01” davanti al sudafricano Henry Koltenbrun e al francese Fernando Canteloube.
Guindani arrivò trentaduesimo in 5h21”50, vittima dell’inesperienza (non aveva mai disputato una cronometro su una simile distanza) e di una pesante crisi di fame nel finale. Nella prova a squadre la cui classifica era determinata dalla somma dei tempi dei quattro partecipanti all’individuale, la formazione italiana (Gay, Bestetti, Arduino, Guindani) fu quarta col tempo di 20h 24’44” alle spalle di Francia, (18h19’55”) Svezia e Belgio, sfiorando così la medaglia di bronzo.
L’esperienza olimpica portò a Guindani la carica per l’anno seguente che fu senz’altro il suo miglior periodo, quando si mise in tasca alcune vittorie sensazionali, come la Coppa Giovannini di Bologna e una spettacolare Milano-Cremona, la corsa alla quale, naturalmente, teneva in modo particolare.
Fu proprio quella vittoria a dargli fama in città in quanto, su suggerimento del nonno che contava sulle doti di scalatore del suo corridore più forte, il percorso era stato cambiato rispetto ai precedenti con l’introduzione del Passo del Penice al posto del percorso tradizionale completamente pianeggiante, che portava a San Giovanni in Croce dopo il transito da Cremona.
Pino Guindani ottenne, con una concitatissima volata in Viale Po, la più bella vittoria della sua carriera. E allora vediamo come venne commentata quella strepitosa vittoria su un giornale satirico dell’epoca, Va ‘l biroch: “Cesare Castellani ha toccato il cielo con un dito! La vittoria del suo Pino lo ha fatto aumentare di peso. Non ha dormito nella notte pensando di essere un giornalista e con tanto di cartelle in mano scribacchiò per mezz’ora sui paragoni tra Girardengo e Pino. Volle misurare alla distanza Girardengo e Pino e trovò che questi supera l’altro. Allora, si volse al torace che racchiude i capaci polmoni: “Gira era in vantaggio. La “Scheena”, come si sa, è tutta a vantaggio di Pino. I polpacci delle gambe davano un vantaggio al “Gira”. Rimaneva da misurare un certo arnese, ma tutti convennero, seduta stante, che Pino l’aveva più lungo di almeno un metro. Gli scongiuri della vittoria dovevano assicurare la vittoria al Bel Pino.. . E Pino Vinse!”
Sembrava destinato al professionismo, ma i casi della vita avevano predisposto un altro destino per lui. Se ne andò, improvvisamente, in Africa, dove trovò lavoro ed una discreta fortuna in Asmara, ma non tralasciò la sua passione sportiva continuando a gareggiare non solo in bicicletta.
In Asmara correva in macchina con la Bugatti, faceva equitazione e si cimentava col fucile, tanto che divenne campione eritreo di tiro al volo in tutte le specialità. Con la Bugatti entusiasmava gli spettatori che affollavano il mitico Ippodromo di Campo Polo.
“Le sfide, - racconta Franco Caparotti su “Voglia di corse”- le emozioni venivano fornite dai vari Pazzè su Bugatti 1500 (era meglio come cacciatore?), da Salvatori (il dottore) su Maserati Testa Fissa 1100, da F. Franciosi su Lancia Astura, da Nicolosi su Lancia, da E. Cornara su Alfa, da Maurizi su Bugatti prima e Maserati poi.”
Ad Asmara il Bel Pino, che laggiù era conosciuto da tutti col soprannome “l’Olimpionico” si spense, improvvisamente e prematuramente, il 30 ottobre del 1957, proprio alla vigilia della Asmara-Nefasit, una corsa in salita per auto e moto che percorreva in tutta la sua lunghezza la pericolosissima quanto famosa Valle del Diavolo. La si doveva proprio alla sua esperienza organizzativa: era considerata, infatti, la più importante gara motoristica in salita che si fosse mai svolta in quelle regioni sino ad allora. Lo accompagnò al cimitero un lungo corteo di motociclisti, tutti i partecipanti alla gara, che, proprio per rendergli omaggio, posticiparono di un giorno la corsa.
Era tornato in Italia pochi mesi prima ed era venuto a salutare il nonno: mi fece una certa meraviglia vederlo finalmente. Il “Bel Pino” che mi ero immaginato dalle descrizioni di chi l’aveva visto da corridore, come un aitante giovanotto alto e slanciato, era un signore simpatico, grassoccio e pelato, purtroppo tanto diverso da come me lo ero immaginato.
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