70 anni fa il processo De Gasperi-Guareschi. Ecco come andò
L’atomica scoppia settant’anni fa: il 24 gennaio 1954. Una data che potrebbe sembrare voluta perché a quasi dieci anni esatti di distanza, Giovannino Guareschi pubblica sul “Candido” una lettera dattiloscritta a firma Degasperi (all’epoca il futuro onorevole si firmava così), datata 19 gennaio 1944, e redatta su carta intestata della Segreteria di Stato di Sua Santità Pio XII; lettera che, indirizzata al tenente colonnello A.D. Bonham Carter, della “Peninsular Base Section” di Salerno, richiede il bombardamento della periferia di Roma, dell’acquedotto e di altri obiettivi segnalati: «Ci è purtroppo doloroso, ma necessario, insistere nuovamente, affinché la popolazione romana si decida ad insorgere al nostro fianco, che non devono essere risparmiate azioni di bombardamento nella zona periferica della città nonché sugli obbiettivi militari segnalati. Questa azione, che a cuore stretto invochiamo, è la sola che potrà infrangere l’ultima resistenza morale del popolo romano, se particolarmente verrà preso, quale obbiettivo, l’acquedotto, punto nevralgico vitale. Ci urge inoltre, e nel più breve tempo possibile il già sollecitato rifornimento, essendo giunti allo stremo.»
Il commento di Guareschi è durissimo. «Quando […] definisco De Gasperi un politicante spietato, non mi baso su mie personali impressioni. E quando dico che De Gasperi è un uomo che non si ferma davanti a nessuno e a niente, mi baso su qualcosa di concreto. Qui, per esempio, si vede il De Gasperi che, ospite del Vaticano, scrive tranquillamente su carta intestata della “Segreteria di Stato di Sua Santità” delle lettere contenenti richieste di bombardamento! Non è un gesto incosciente e stolto: è un vero e proprio sacrilegio. Non è un semplice gesto di uno che tradisce l’ospitalità, è il gesto nefando di un cattolico che tradisce il Santo Padre. È un foglio di carta da lettere sottratto, sì: ma in mano ai nemici della Chiesa avrebbe potuto diventare una potentissima arma di denigrazione.» Questa storia, Giovannino la raccontò sulle pagine del suo “Candido” nell’arcinoto “Ta-pum del cecchino” che ebbe come conseguenza una levata di scudi in favore del presidente De Gasperi da parte della stampa nazionale e costò a Guareschi una querela, un processo lampo e una condanna per diffamazione che gli fruttò 409 giorni di carcere e sei mesi di libertà vigilata. Una storia che non stiamo a ripercorrere, dal momento che sono stati versati fiumi di inchiostro sulla vicenda e quasi tutto ciò che ci fosse da dire in proposito è già stato detto (chi volesse, per curiosità, ripercorrerne le tappe può leggersi l’autobiografia di Giovannino Guareschi curata dai figli Alberto e Carlotta, edita da Rizzoli con il titolo “Chi sogna nuovi gerani?”). C’è un punto che, però, all’interno della veridicità o meno delle lettere pubblicate da Guareschi (ne comparve un’altra su “Candido”, questa volta totalmente autografa, datata 26 gennaio 1944, che era indirizzata a un esponente del CLN) vale la pena di riprendere: la critica iniziale che molta stampa fece al contenuto della prima lettera, fu che mancava assolutamente di acume politico, ovvero non era plausibile che uno statista come De Gasperi avesse scritto quelle cose. Quest’affermazione fece in modo che il giudice respingesse la richiesta del P.M. di una ulteriore perizia sulle lettere, oltre quella che le accompagnava, redatta da Umberto Focaccia, perito calligrafo del Tribunale stesso di Milano che ne attestava l’autenticità. Nessuna affermazione perciò della falsità dei due documenti. Guareschi il 15 aprile 1954 viene condannato a dodici mesi per diffamazione. Non ricorre in appello e il 26 maggio entra nelle carceri di San Francesco a Parma. Nell’agosto Giovannino apprende della morte di Alcide De Gasperi e scrive alla moglie: «Io son qui, muto e solitario, seduto sulla riva del fiume. Ma non aspetto che passi il cadavere del mio nemico. Non considero nessuno mio nemico. Io non polemizzo coi morti. Il “Premio Bancarella” mi ha colmato di soddisfazione! Mi ha invece rattristato la morte improvvisa di quel poveretto. Io, alla mia uscita, avrei voluto trovarlo sano e potentissimo come l’avevo lasciato».
Da quel momento Guareschi non parlerà più di De Gasperi, sino a quando ne rivaluterà assolutamente la figura: «Non voglio rivangare vecchie storie che sono diventate polvere di tribunale e di galera: voglio semplicemente rendere omaggio alla verità e riconoscere che, al confronto dei campioni politici di oggi, De Gasperi era un gigante». Delle lettere, facenti parte del famoso “Carteggio Mussolini”, si tornò a parlare nel 1956 nel corso del processo intentato in contumacia contro Enrico De Toma, consegnatario del carteggio del Duce e fornitore delle lettere a Guareschi. Il tribunale di Milano affidò a un collegio di tre periti l’esame delle due lettere, negato due anni prima a Guareschi, e la conclusione fu che «non esistevano prove tali da stabilire inequivocabilmente la falsità delle lettere». Il commento che fece Giovannino sul Candido fu amaro: «La complicatissima faccenda del Carteggio è finita. De Toma è stato assolto. I documenti del Carteggio in possesso dell’Autorità competente verranno bruciati perché, essendo falsi, è meglio siano tolti dalla circolazione. Tutto finito in un po’ di fumo».
Fumo che, sul Carteggio Mussolini, continua ad aleggiare anche 70 anni dopo…
Nelle foto De Gasperi e Guareschi a Cortemaggiore nel 1952 e Guareschi quando si consegna al carcere di Parma
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