L'Arciere di Crema
Quando il Principe arriva nella piazza e sale sul palco d’onore, i cremaschi rimangono colpiti dalla sua giovane età e dalla sua notevole statura. È già in divisa da generale ma non ha neppure vent’anni. E non sembra nemmeno figlio di suo padre, il Re che supera di poco il metro e mezzo d’altezza, tanto che in molti a corte evitano, per discrezione, di usare con lui il titolo di altezza reale. Umberto è un bel ragazzo, però piuttosto allampanato e dinoccolato, niente a che fare coi due cugini Savoia-Aosta, anche loro d’alta statura ma dal tratto più deciso e virile, oltre che in maggiore forma atletica. Il Principe è arrivato a Crema per partecipare all’inaugurazione del nuovo monumento ai Caduti in piazza Trieste. È una giornata di forte emozione cittadina, un sabato importante per i cremaschi, che hanno perduto molti figli, padri e familiari nella guerra conclusa sei anni prima con la vittoria italiana. Questo monumento è dedicato ai cremaschi Caduti per la Patria, perché nessuno dimentichi il loro eroismo e il loro sacrificio.
I presenti sanno che il monumento è stato eretto su volontà ed a spese di un importante personaggio di Crema, un generale di divisione, un politico di rilievo, deputato alla Camera e poi senatore del Regno, per ricordare in particolare, tra i tanti, uno di quei ragazzi morti al fronte: il suo figlio più giovane, ucciso in azione e decorato con medaglia d’argento al valor militare. I discorsi, le fanfare, le bandiere preparano il momento principale del disvelamento della statua in bronzo, posta su un alto basamento di marmo. Un momento nel quale tutta la folla, che gremisce la piazza, si ammutolisce in un silenzio commosso. Il Principe, le numerose autorità, i notabili e gli esponenti delle istituzioni si sono alzati in piedi. I militari adesso si sono messi sull’attenti. Ed ecco apparire la statua, appare l’Arciere. Lo scultore Arturo Dazzi ha creato una figura animata da una forte fisicità eppure di una compiuta bellezza classica. Una sorta di Eracle che può sembrare scultoreamente immobile nella sua posizione ma che pare al tempo stesso impegnato in un proteso, energico movimento dinamico. Impugna l’arco e la sua mira è rivolta a un punto preciso. È il 17 maggio del 1924. Una giornata in cui Crema onora, con questo monumento, i suoi Caduti, la sua bellezza urbana e la sua memoria storica.
Ancora oggi, l’Arciere del Dazzi e i due monumenti di Vittorio Emanuele II e di Garibaldi, opera del Barzaghi, costituiscono tre poli scultorei e figurativi fondamentali nell’impianto estetico urbanistico cittadino. Ogni tanto qualcuno tenta di rimuoverli, di trasferirli, mentre qualcun altro li fa rimanere dove sono, magari li restaura. Si sa, le dinamiche ideologiche collettive influenzano non solo le tasche e le scarselle ma anche gli emblemi e i simboli. Nulla di nuovo, nelle vicende istituzionali che nascono da quelle dinamiche. In questo, anche Crema non fa eccezione. E vista l’assenza di opere scultoree più recenti degne di questo nome, è normale che proprio simili esempi aviti di monumentalità pubblica possano dividere i detrattori dagli estimatori dei significati e dei valori che tali opere scultoree, così pubblicamente visibili, rappresentano e testimoniano. Si veda il precedente articolo sul monumento di Vittorio Emanuele II, dello scorso 11 gennaio. Sia pure in misura meno grave, qualcosa del genere è accaduto anche per l’Arciere. Ma procediamo con ordine. Partiamo dal principio.
Nato il 1° novembre 1894, il tenente Ottaviano Marazzi, del 2° reggimento di fanteria, ha ventidue anni. “Per riconoscere posizioni nemiche e dare utili informazioni ai comandi superiori, seguiva volontariamente una pattuglia, portandosi sin sotto i reticolati nemici. Scoperto dalle vedette, invece d’appiattarsi, impegnava con esse la lotta difendendosi a colpi di rivoltella, finché, colpito in fronte, cadeva eroicamente”. È la motivazione della medaglia d’argento assegnatagli sul campo dal duca d’Aosta, come si legge nel bollettino ufficiale, emesso lo stesso giorno del suo decesso in azione, l’8 gennaio 1917, in località Castagnevizza, sul Carso oggi sloveno, a sette chilometri dall’attuale confine italiano. Ottaviano è l’ultimo figlio del conte Fortunato Marazzi (1851-1921), il generale che entra per primo in Gorizia nell’agosto del 1916, liberandola dal nemico, al comando della sua 12° divisione.
Il 4 aprile 1917 il conte Marazzi chiede alla giunta municipale di Crema l’autorizzazione ad erigere a proprie spese un monumento ai Caduti, anche a ricordo del figlio, e ottiene parere positivo per la sua edificazione nella piazza San Domenico, in prossimità del palazzo in fase di acquisizione da parte del generale. L’immobile è allora adibito ad albergo con trattoria, detto del Pozzo Nuovo per distinguerlo dall’altro del Pozzo Vecchio in contrada Serio. Il conte acquista l’edificio da Carolina Lucchini vedova Genzini pochi giorni dopo la sua predetta richiesta al municipio, con atto del 28 aprile 1917, numero 2163 di repertorio, rogato dal notaio Cristoforo Agnesi. Le due operazioni sono quindi cronologicamente coincidenti. Negli anni successivi il palazzo viene ristrutturato per riportarlo all’originaria destinazione di residenza signorile. Gli ultimi interventi di sistemazione strutturali avverranno a metà degli anni Cinquanta. Intanto, dopo la dodicesima battaglia dell’Isonzo e la rotta di Caporetto (24 ottobre - 12 novembre 1917), il generale Marazzi pronuncia una severa requisitoria nella seduta segreta della Camera, convocata d’urgenza dal governo dopo la disfatta al fronte, e mette a nudo le leggerezze e le insufficienze degli alti comandi. Per questo, subisce le reazioni negative dei vertici militari, che lo isolano e limitano i suoi poteri nell’ultima fase della guerra. Fortunato Marazzi, che prima abitava nella sua villa di Capergnanica, risiede solo per breve tempo nella dimora cittadina di recente acquisizione. Viene infatti a mancare il 7 gennaio 1921, poco dopo essere stato nominato senatore. Non riesce quindi a vedere realizzato il monumento ai Caduti, da lui così fortemente voluto.
Nel frattempo, il consiglio comunale di Crema, nel clima di tribolate vicissitudini politiche e istituzionali che caratterizza quell’immediato dopoguerra, riesamina la precedente autorizzazione ad edificare il monumento e riconsidera le modalità della sua realizzazione. I tempi si allungano anche perché la giunta socialista, guidata tra il 1920 e il 1922 dal sindaco Francesco Boffelli, non è particolarmente sensibile ai blasoni comitali. Si arriva così al dicembre del 1922, con un cambio di amministrazione e un nuovo sindaco, il conte Alberto Premoli. L’avv. Premoli succede al commissario prefettizio insediato nei mesi precedenti, dopo le dimissioni anticipate della giunta socialista, affossata dalla propria débâcle amministrativa e finanziaria, oltre che dal clima politico generale, foriero del governo Mussolini. L’iter autorizzativo del monumento si conclude allora rapidamente, con un’ultima verifica delle operazioni di esecuzione dell’opera e con la definizione del testo delle epigrafi da apporre alla base del piedistallo. La famiglia Marazzi, in particolare l’ing. Mario, figlio di Fortunato, segue le fasi della progettazione del monumento. Come autore è stato scelto Arturo Dazzi (1881-1966), scultore di fama nazionale e già molto affermato. L’artista collabora a Roma e in altre città d’Italia con l’architetto Marcello Piacentini, per cui esegue statue ed elementi di decorazione architettonica. Notevole rilievo hanno avuto, poco dopo la fine della guerra, il suo monumento a Enrico Toti a Roma, quello dedicato ai Caduti ferrovieri, pure nella capitale, e altre opere che riscuotono un grande successo di critica e di pubblico.
Successivamente al monumento di Crema, l’importanza di questo scultore, che è anche pittore, diventa sempre più riconosciuta. Sono innumerevoli le testimonianze da lui lasciate nelle città italiane, anche riguardo ai temi dei Caduti, della Vittoria e di altri soggetti tipici di quei decenni. Espone in numerose rassegne come la Biennale di Venezia e la Quadriennale di Roma. Viene nominato Accademico nel 1937. Dopo il secondo conflitto mondiale la sua produzione artistica continua positivamente, anche se per un certo periodo la sua pregressa attività durante il ventennio fascista viene criticata da una certa parte politica. Ciò nonostante viene poi progressivamente rivalutato fino a ottenere quella rilevanza nel panorama artistico del Novecento che giustamente merita. Le fonti su Arturo Dazzi sono numerose e facilmente accessibili, per cui ad esse si fa rinvio per maggiori informazioni. Ma torniamo al monumento ai Caduti di Crema e al momento in cui si sta edificando il basamento in marmo e si sta fondendo in rame la statua dell’Arciere. Siamo ormai prossimi all’inaugurazione.
Nei mesi che precedono l’inaugurazione del monumento, viene fissato il punto preciso della sua collocazione, si predispone la cancellata in ferro a perimetro quadrato che lo deve circondare e si installano la pedana e il plinto in marmo che devono sorreggere la soprastante fusione in bronzo. La pedana misura m. 4,20 x 4,20, il plinto 2,20 x 2,46. L’alta base a piani rientranti, sulla quale appoggia la statua, ha sul fronte una scultura ad altorilievo raffigurante una schiera di soldati, sempre opera del Dazzi. Sotto questo altorilievo, è incisa nel marmo la scritta “AI CREMASCHI CADUTI PER LA PATRIA – MCMXV-MCMVIII”. Sul retro del basamento si incide la scritta “A PERENNE RICORDO DEI FRATELLI NELLE ARMI E NELLA MORTE DI SUO FIGLIO OTTAVIANO – QUESTO SIMBOLO DEL VALORE ITALICO – DONAVA A CREMA – IL GENERALE FORTUNATO MARAZZI – MCMVIII”. La statua in bronzo raffigura un Arciere nell’atto di scoccare una freccia. La direzione è grosso modo a nord-ovest, verso il palazzo Marazzi, allora di recente acquisizione. L’interpretazione di questa scelta è stata, per taluni commentatori, quella del dardo scagliato a colpire la famiglia del committente, orbandola della giovane vita del figlio, anche se non si tratta di un’interpretazione univoca e pacifica, soprattutto a distanza di un secolo dal compimento dell’opera. Nel suo complesso, il monumento è alto m. 6,50 circa, una misura più contenuta rispetto ai monumenti di Vittorio Emanuele II e di Garibaldi.
Sin dal giorno della sua inaugurazione, avvenuta come si è detto il 17 maggio del 1924, l’Arciere incontra il sincero apprezzamento della popolazione cremasca e resta poi nel tempo un punto di riferimento essenziale per le ricorrenze e le celebrazioni riguardanti la commemorazione dei Caduti, le festività riferite alla Vittoria e, più in generale, l’appartenenza nazionale e l’amor patrio. Ancora oggi vi si svolgono diversi eventi di questo genere, a partire dalla cerimonia cittadina del IV Novembre, con le pubbliche autorità, i rappresentanti d’arma, le società combattentistiche e le associazioni patriottiche del territorio. Le forme della statua sono plastiche, classiche ed essenziali, come in genere nello stile del Dazzi. L’arco è impugnato con forza nella mano sinistra, mentre il braccio destro si piega naturalmente come per scoccare la freccia. Le gambe mostrano, nella muscolatura tesa, lo sforzo dell’azione e il tronco poggia nella parte posteriore su una sorta di roccia lasciata grezza. Il dinamismo muscolare della statua sembra contrapporsi alla massiccia staticità dei soldati, dei “fratelli nelle armi e nella morte”, raffigurati nell’altorilievo sottostante, fissati nelle loro pesanti divise, con i loro elmetti, i fucili, la mitragliatrice. Anche in questo monumento Arturo Dazzi riesce a fondere sapientemente e con misura la tradizione con l’innovazione, materializzando nella statua il proporzionato fulcro e il perno della piazza, così che al monumento vengano a rapportarsi e a fare riferimento gli elementi architettonici circostanti, esteticamente e spazialmente.
Nei decenni successivi, le vicende dell’Arciere sono in buona parte le stesse della piazza in cui si trova, che a detta di molti è la più bella di Crema. Di sicuro, insieme a un paio di altre piazze, è una delle più belle del centro storico. Diciamo qualcosa in proposito. Nel Quattrocento si chiama piazòl di San Domenico, per via della chiesa domenicana di San Pietro Martire presente sul lato a levante. Questa chiesa, già sede dell’Inquisizione locale, passa poi attraverso varie destinazioni d’uso, da edificio di culto a cavallerizza militare, magazzino, cinema, scuola, palestra, oggi infine teatro cittadino. Nel 1485 è trasferito in questa piazza il mercato del pescato, in precedenza posto dietro il Duomo, e il luogo comincia a chiamarsi piazòl del Pesce o de la Pescarìa. Nel 1870 ritorna la denominazione di piazza San Domenico. Dal 1918 viene denominata piazza Trieste. Nel 1970 diventa piazza Trento e Trieste. Il contiguo piazòl de l’Erbe, così chiamato dal 1487 per il mercato ortofrutticolo che vi si svolgeva, diventa piazza Trento nel 1918. Dal 1970 si chiama piazza Istria e Dalmazia. Nel 1923 il municipio intesta al generale Fortunato Marazzi l’antica contrada dei Ciabattini (cantòn de Zavatini, già cantòn che va al Piazòl), che sbuca nella piazza in cui si trova l’Arciere, sia nel suo tratto verso ponente, sia nella parte che risale fino alla piazza Duomo, dove si trova l’ingresso al palazzo Marazzi.
Sullo sbocco di questa via verso l’allora piazza Trieste viene collocata una lapide in marmo, che riporta la data di esecuzione del 1922, con un busto in altorilievo del generale Marazzi e con una dedica a memoria dei suoi meriti. Nel 1951 la parte di questa via verso ponente è intitolata al pittore Giovanni Battista Lucini, apponendo una targa viaria errata e mai corretta (il Lucini non vive nel XVIII ma nel XVII secolo). Oltre alla chiesa di San Pietro Martire, oggi teatro San Domenico, posta a levante, la piazza è chiusa a mezzogiorno dalla massiccia ed esteticamente ingombrante mole dell’austriaco “Mercato dei grani e dei lini” del 1842. A settentrione si trova uno dei palazzi più importanti di Crema, oggi Donati e in precedenza Benzoni, poi Scotti e quindi Martini, probabilmente il palazzo più bello del centro storico insieme a un altro, molto diverso per lo stile architettonico, il palazzo oggi Terni de Gregory, in precedenza Bondenti e poi Porta Puglia, in via Dante Alighieri. A ponente della piazza si colloca il fronte di edifici già facenti parte del complesso urbano incentrato sul retrostante palazzo Vimercati Sanseverino, oggi in fase di frazionamento immobiliare.
Nell’immediato secondo dopoguerra, in particolare nel periodo del referendum costituzionale e dell’elezione dell’assemblea costituente, anche l’Arciere deve patire il clima ideologico del momento, che a Crema provoca gravi situazioni di intolleranza e intimidazione. Contrariamente a quanto accade al monumento di Vittorio Emanuele II, la statua non viene colpita con ordigni esplosivi. Però, nella notte tra il 22 e il 23 giugno 1946, il monumento viene lordato di fango e insozzato da una notevole quantità di sostanze organiche dall’inequivocabile significato spregiativo. La popolazione ne resta amareggiata e scandalizzata. Le associazioni reducistiche e d’arma reagiscono duramente. Purtroppo, come in tutti gli altri casi di intemperanza e prepotenza politica di quegli anni, anche i colpevoli di questa azione biasimevole non vengono puniti perché le indagini ufficiali non portano alla loro incriminazione.
Si arriva così ai tempi recenti, nei quali l’avversità ai monumenti cittadini e alla memoria storica non deriva da posizioni ideologiche di fazione o da attitudini politiche intimidatorie, bensì da ragioni di mero interesse economico privato e, conseguentemente, da calcoli di possibile tornaconto elettorale. Ogni epoca ha la sua etica ed estetica, anche riguardo alla monumentalità urbana. Dal 2010 cominciano ad apparire sulla stampa locale articoli che caldeggiano il trasferimento dell’Arciere fuori dal centro storico. Alcuni esponenti politici fanno presente che si sta formando una nuova commissione comunale “per il mercato austroungarico” e per una “rivalutazione dell’intera area di piazza Trento e Trieste”, lasciando intendere che pure il monumento del Dazzi sarà interessato dai cambiamenti. In un’altra occasione si dice esplicitamente di voler “spostare il monumento di piazza Trento e Trieste a piazzale Rimembranze”. Si afferma che con tale spostamento “si potrebbe recuperare uno spazio importante per tante iniziative”. Come se l’ostacolo alle eventuali “iniziative” in quella piazza fossero i pochi metri quadrati occupati dal monumento e non il totale utilizzo della sua superficie per il parcheggio invasivo e inquinante dei veicoli, che ne fanno scempio a tutte le ore. E via di seguito, anche con proposte di trasferimento dell’Arciere nell’area della ex-pompa di benzina fuori Porta Serio. Poco contano i precedenti accordi ufficiali della famiglia Marazzi col municipio, perché l’opera rimanesse sempre sotto casa, con la freccia scoccata verso la magione orbata del figlio del generale, mentre dall’ex-pompa di benzina fuori Porta Serio il dardo si indirizzerebbe idealmente verso i pensionati sulle panchine dei giardini pubblici e l’afflato simbolico patriottico andrebbe a remengo.
Sono chiare le ragioni che traspaiono in quegli anni dalle dichiarazioni riguardanti l’esigenza di questo spostamento, rese in diversi incontri, anche culturali, nei quali i vari politici corifei del trasferimento tentano di convincere i presenti. La piazza “va rivitalizzata perché non ci va mai nessuno”. Infatti lì “non ci sono vetrine, non ci sono negozi”. Si auspica un ampliamento dell’area del tradizionale passeggio cittadino dall’asse di via XX Settembre e via Mazzini alle piazze retrostanti, tra cui quella che ospita l’Arciere, che però, lì in mezzo, “diventa un ingombro”. Si esprime una visione basata sulla capillare e incessante fruibilità pubblica degli spazi comunali. E si insiste sull’aspetto del richiamo di massa, dai paesi circostanti e dagli hinterland metropolitani più vicini, di visitatori in grado di affluire, consumare e spendere. E’ una visione che esclude, nel centro storico, aree di un certo rilievo per i monumenti, trattandosi di spazi comuni da riservare integralmente all’utilizzo diretto da parte della collettività transeunte. La città come grande plateatico. Quello che conta è la circolazione di visitatori, utenti, clienti e portatori di introiti. Non ci sono dubbi sul target di clientela e sul tipo di beni e di servizi da mettere in vendita, cioè sul genere di offerta ricreativa per cui fare marketing. Ne emerge il modello di una città basata sul “pronto consumo”, da allestire per intrattenere il maggior numero di acquirenti itineranti.
Negli anni tra il 2010 e il 2013 il rischio di una rimozione dell’Arciere e di una sua ricollocazione fuori dal centro storico si fa molto concreto. L’idea di città che è alla radice di questo intendimento, trasversale agli schieramenti politici e sostenuta da esponenti locali di diversa provenienza ideologica, è molto evidente. I complessi monumentali, come l’Arciere del Dazzi, appartengono al passato. Gli spazi urbani su cui insistono non offrono alcuna resa economica immediata, soprattutto rispetto a certe valorizzazioni commerciali, ad esempio un chiosco di bibite o un esercizio di finger food. A parità di metri quadrati occupati, i monumenti non sono mai economicamente competitivi con i locali dell’happy hour. Del resto, certe pertinenze mobili di derivazione logistica, facenti capo ai locali dello spritz, non mancano certo, a Crema, dentro strutture pubbliche tutelate dalla soprintendenza. Il trancio di pizza e il cono gelato, la bottega e lo shopping fruttano più consensi privati e quindi più voti, ai politici di mestiere, di quelli offerti dai difensori, sempre più scarsi, delle patrie memorie. In pratica, si preconizza una città con i monumenti in periferia e gli happening in centro. Fuori la memoria storica, dentro il business. Ovviamente, il business di chi esercita determinate attività e può quindi dare un certo ritorno elettorale.
L’immagine veicolata è quella di un consumo alimentato dalla gioiosità popolare, dal piacere della festosità, dal gusto per la sagra. La “città luna park” deve attirare la pubblica fruizione e i quattrini spesi dall’umanità transeunte nei suoi locali e nelle sue piazze, sgombrate da manufatti desueti come l’Arciere. Democraticamente, va assicurato il massimo della fruibilità popolare su ogni metro quadrato cittadino calpestabile. Altro che “piccola Venezia”, altro che “piccola Mantova”. Piuttosto, una “piccola Disneyland”, una “città della ricreazione”. Troppa cultura tradizionale nuoce, figuriamoci i vecchi monumenti. Qualcuno azzarda sull’Arciere una battutaccia: “Caduti scaduti”. La fruizione di massa non può consentire inutili passatismi lapidei e deve invece puntare a una nuova dimensione culturale. Ad esempio, a quella summa culturale cremasca che è la Tortellata. Infatti, la pasta e l’amaretto, beninteso in senso “antropologico”, sono diventati “cultura materiale”.
Tuttavia, in quegli stessi anni, si viene a formare in città anche un fronte di opinione diverso da quello dei patrocinatori della “città bancarella” e del consumo ossessivo e compulsivo di massa proveniente dai paesi, dai contadi e dagli hinterland circostanti. Perché vanno benissimo lo struscio e lo shopping. Però entro certi limiti. Anche perché ci si rende conto che il parcheggio selvaggio e l’inquinamento galoppante, soprattutto in certe piazzette del centro storico, rischiano di trasformare dei gioielli urbanistici in una schifezza. Certi lunedì mattina i residui materiali e spesso organici della movida, a fronte del vantaggio di pochi, provocano il ribrezzo di molti. Così, progressivamente, si viene a formare in parecchi cittadini una contrarietà a questa visione della “città luna park” e al trasferimento dei monumenti storici fuori dal centro urbano. In quegli anni iniziano a comparire “lettere al direttore” che lamentano l’invasività continua, fin dentro l’antica cerchia federiciana, dei tubi di scappamento, delle polveri sottili e dei parcheggi impuniti sui passi carrai delle abitazioni dei residenti. Perché anche gli abitanti del centro storico votano. E sono comunque qualche migliaio. Un fatto che fa capire a molti l’importanza di preservare la memoria storica pubblica, difendendola dalle aggressioni del business privato, è quello del restauro e del riposizionamento nella sua piazza originaria del monumento di Vittorio Emanuele II, il 7 settembre 2013. Anche in quel caso, in aggiunta alle riserve più marcatamente ideologiche di fazione, non erano mancate le censure di tipo ludico-gastronomico, con esponenti politici che lamentavano i metri quadrati sottratti dal monumento all’evento clou della Tortellata agostana.
Anche per questi motivi, un gruppo di cittadini e un’associazione privata cominciano a opporsi pubblicamente al trasferimento dell’Arciere. E fanno di più, attuando un vero e proprio contrattacco. Si forma infatti un comitato che progetta il restauro del monumento, deteriorato in alcune sue parti dal decorso del tempo e dall’inquinamento cittadino, uno dei più elevati d’Italia, anche per il particolato emesso dai veicoli in perenne movimento e parcheggio proprio intorno alla statua. La piazza Trento e Trieste è infatti divenuta uno dei luoghi più ambiti dagli habitué del parcheggio selvaggio e impunito. Il restauro presuppone necessariamente il mantenimento dell’opera del Dazzi nel luogo in cui si trova. In realtà, i primi documenti riferiti all’iniziativa risalgono al 2010, però è dal 2014 che il progetto diventa operativo. Vengono svolte le debite pratiche amministrative nelle sedi pubbliche competenti, a partire dalla soprintendenza, e si apre una raccolta fondi. La maggior parte dei contributi viene dai privati, perché la cittadinanza risponde positivamente. Le istituzioni locali, alla fine, non possono che approvare il restauro. Le risorse necessarie sono molto più limitate di quelle reperite per il monumento di Vittorio Emanuele II. Infatti non ci sono parti da ricostruire ma solo da ripulire, stuccare e consolidare. Il costo totale si aggira sui 35.000 euro. Così, sabato 12 settembre 2015, dopo un accurato restauro della statua in bronzo e del basamento in marmo, il monumento viene di nuovo “inaugurato”, davanti alle autorità cittadine e a un folto pubblico. Da quel momento, non risulta più alcun tentativo di rimozione e trasferimento dell’Arciere in altro luogo.
Oggi il monumento continua ad essere al centro dell’antico piazòl de la Pescarìa e la statua continua a scoccare la sua freccia simbolica. Le commemorazioni dei Caduti, le celebrazioni della Vittoria, le ricorrenze del IV Novembre sgombrano, intorno all’Arciere, lo spazio circostante dalle automobili, per il tempo dei discorsi, dei saluti militari e dei pezzi musicali della banda. Poi la piazza torna a essere il parcheggio di sempre, con in più i problemi della movida negli orari serali e nei fine settimana. Infatti, la chiusura di una vecchia trattoria e l’apertura al suo posto di un nuovo locale più smart e trendy hanno ridotto anche questa piazza un luogo della movida cittadina, a volte con situazioni difficilmente accettabili per i residenti. In precedenza, questo fenomeno aveva interessato altre aree di Crema, ad esempio la piazza Garibaldi e la piazza Moro, sempre per via di certi locali di richiamo. Da qualche tempo l’Eroe dei Due Mondi e il Re Galantuomo non sono più i soli a condividere le esuberanze, i caroselli di auto, gli schiamazzi notturni, i cocci delle bottiglie di birra e certi residuati organici intorno a loro. Anche l’Arciere del Dazzi è oggi circondato, in certe fasce orarie e in determinate notti dei fine settimana, dalle intemperanze, dalle sguaiataggini e dalle deiezioni della movida. Del resto, se è il consumo di massa la pietra d’angolo di tutto, è normale che Crema diventi la “città dello spasso” a tutti i costi.
La situazione è aggravata dalla scelta municipale, forse non casuale, di una zona verde “a fagiolo”, che invece di estendersi razionalmente all’intera superficie del centro storico da tutelare, evidenzia un marcato rientro nel suo perimetro, proprio in corrispondenza delle due piazze Trento e Trieste ed Istria e Dalmazia, escluse dalla zona pedonale e ridotte a parcheggio. La cerchia urbana da tutelare diventa così un “fagiolo”, molto scavato nella sua parte di sud-est, proprio a ridosso di piazza Duomo. Qui il traffico impazza e il particolato impera. Basta guardare la mappa per rendersi conto dell’evidente anomalia, geometrica e logica, di questa concavità topografica. La “città luna park”, divenuta anche “città della movida” e delle polveri sottili, sempre più inquinata, continua a promettere proficui ritorni elettorali.
Foto 1 L’Arciere, particolare.
Foto 2, 3 e 4 Immagini dell’inaugurazione nel 1924, con la scritta dedicatoria.
Foto 5 e 6 Vista d’assieme del monumento.
Foto 7 e 8 La statua e la piazza.
Foto 9 e 10 Immagini della nuova “inaugurazione” nel 2015, dopo il restauro.
La descrizione del monumento e della statua è stata ricavata dalla relazione sull’intervento di restauro conservativo redatta dai professionisti incaricati del progetto tecnico di recupero. Si ringraziano i promotori del progetto per la documentazione messa a disposizione dell’autore di questo articolo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
commenti
Antonio Pavesi
15 aprile 2022 07:52
Bel lavoro! Ora attendiamo la pubblicazione sul terzo monumento storico di Crema: quello di Garibaldi, nell'omonima piazza...
Pietro Martini
29 aprile 2022 12:30
Grazie per l'apprezzamento. E per l'invito a completare il discorso con il monumento a Garibaldi.