16 febbraio 2022

La collinetta di Ombriano

Ogni tanto a Crema si riparla della “collinetta di Ombriano”, ultimo frammento di verde residuo del grande parco che esisteva un tempo in quest’area. Scampata sinora alla cementificazione, la montagnetta è oggi soggetta a un intervento pubblico per rendere più agevole il passaggio pedonale alla sua base, sul lato di meridione. Un recente intervento della Delegazione FAI di Crema ha dato rilievo a questo scampolo di verde superstite, ormai circondato dal cemento e dall’asfalto di un’urbanizzazione massiccia e sistematica. Ma come è nata questa collinetta? E in quale contesto ambientale si trovava, prima che la zona diventasse come è oggi? Per saperlo dobbiamo tornare indietro di qualche secolo.

Venezia, 1649. Gaspare Toffetti sta facendo i bagagli per tornare a casa. È ricchissimo da parecchio tempo. Da pochi giorni è anche nobilissimo. Ha concesso in precedenza al governo della Serenissima 100.000 ducati, 60.000 in dono e 40.000 in prestito, una cifra enorme, per la guerra contro i Turchi. E adesso è stato ricompensato da San Marco con l’iscrizione dell’intera famiglia Toffetti, compresi i discendenti, nell’albo d’oro dei casati nobili veneziani. Gaspare ha già finanziato nel 1647 il Re di Spagna. È successo a Napoli, dove i Toffetti hanno una delle loro numerose agenzie commerciali. Ha pagato senza batter ciglio il soldo per i tremila soldati che hanno difeso il Borgo di Sant’Antonio dalla rivolta di Masaniello, guadagnandosi la riconoscenza del sovrano. Ora sta tornando a Crema, dove è considerato, grazie alla sua generosità, un acclamato benefattore. Non si contano le iniziative da lui sovvenzionate, come l’inizio della costruzione della chiesa di Sant’Agostino e come l’acquisto, fatto a Roma, dell’abbazia e del priorato di Madignano. I suoi donativi alle chiese e i palazzi fatti erigere in città sono sulla bocca di tutti. Una volta tornato a Crema, Gaspare andrà nel palazzo di Ombriano.

È soprattutto a Ombriano che Gaspare è legato ed è lì che risiede spesso. La divisione dei cospicui beni familiari con i fratelli Agostino e Benedetto, che come lui sono munifici benefattori e costruttori di palazzi cittadini, come ad esempio quello di Porta Ripalta, gli ha consentito di partire da una base economica più che valida, sviluppando poi i suoi affari in modo molto vantaggioso. Il suo palazzo di Ombriano comprende un lungo fronte di edifici lungo la strada verso Lodi. Sul retro si estende un’ampia zona a giardini, per la villeggiatura e per lo svago della famiglia e dei suoi ospiti. Il complesso ha ospitato nel 1643 il governatore di Milano, il conte di Los Velez, che è rimasto ammirato, riferisce il Canobio, “da tanta splendidezza”. Il Benvenuti definisce il palazzo “sontuoso”. Non esiste ancora un parco signorile vero e proprio, però l’area posta a mezzogiorno della magione funge da luogo di delizie arcadiche e da bucolico buen retiro. Il Canobio, il Tintori e il Ronna elencano le benemerenze di Gaspare. Il Racchetti lo definisce “il più illustre personaggio della famiglia, per ricchezza, potenza, liberalità e divozione”. E pensare che suo nonno Cristoforo era un contadino appena benestante, giunto da Scannabue nel XVI secolo, e che solo suo padre Vincenzo aveva incominciato ad assicurare alla famiglia una buona solidità economica con la mercatura dei lini e della tela, aprendo poi opifici e lucrose stazioni di commercio. Il giardino del palazzo di Ombriano è molto esteso. Non risulta per ora alcun rilievo, dosso o collinetta. D’altra parte, le mappe del tempo non consentono riscontri precisi in proposito. Di sicuro la zona è già destinata a verde ed è vissuta dai proprietari e dagli ospiti come luogo di svago, ristoro e diporto. Lasciamo ora Gaspare sulla via del ritorno da Venezia a Crema, fresco di nobilitazione e fiero del suo nuovo titolo comitale, facendo un salto temporale in avanti.

Ombriano, 1829. Vincenzo Toffetti ha deciso di rifare tutto, trasformando il palazzo avito e creando un grande parco boscato all’inglese di oltre trecento pertiche, un’estensione davvero notevole. L’esito sfortunato dei moti del Ventuno, a cui ha partecipato e che per poco non gli costavano lo Spielberg, lo ha portato negli ultimi anni a ritirarsi a Ombriano, dopo i viaggi oltre Ticino e all’estero, ai tempi della cospirazione. È rimasto però in contatto con i patrioti, gli esuli e i futuri facitori dell’indipendenza nazionale. I lavori di ristrutturazione del palazzo, completamente rinnovato, volgono ormai al termine e il parco sta assumendo l’aspetto desiderato. L’eredità lasciatagli da suo padre Lorenzo e il blasone ottenuto da Gaspare, fratello del suo trisnonno Benedetto, gli consentono un’esistenza più che agiata. Il passaggio dei beni di Ombriano al suo ramo familiare, dovuto a varie vicende ereditarie, fa parte di dinamiche genealogiche complesse e comunque, per lui, molto vantaggiose. Dice il Benvenuti che Vincenzo “passava buona parte dell’anno nel ritiro della sua villa di Ombriano, prodigando denaro per abbellirla”. “Ampliò il suo giardino convertendolo in un parco grandioso, popolato d’ogni specie d’alberi che lo rendono cortese di ombre amene”. Secondo lo Zavaglio “i Toffetti furono per molto tempo i veri Signori di Ombriano e tra i più ricchi della nostra regione”. Vincenzo “aveva sempre preferito vivere nella sua villa di Ombriano, da lui stesso nuovamente costruita e ornata nel parco di bellissimi alberi e di rare specie di animali”. È un parco in stile “romantico”, all’inglese, con rilievi, canali irrigui, sentieri e ampie superfici boscate. Non sappiamo se la nostra collinetta venisse creata allora. Forse non nella sua forma e altezza attuali. Ma il paradiso verde di Ombriano c’era già.

Che Vincenzo Toffetti sia il primo artefice di questo eden ambientale è avvalorato anche dal fatto che il Sommarione del Massari, terminato nel 1815, riporta le mappe della zona e le proprietà intestate a Vincenzo e in parte ancora al padre Lorenzo, senza dare alcun conto del parco. Anche Zucchelli, nel suo secondo volume sulle ville storiche del Cremasco, descrivendo gli edifici con annessi orti, giardini e spazi agricoli esistenti in loco in quel Sommarione, con il fronte a settentrione sulla strada per Lodi, precisa che il parco “non esisteva ancora (il Massari infatti non lo indica, mentre invece disegna con scrupolo quello coevo della villa Martini a San Bernardino)”. E questo ci porta a una considerazione immediata: Francesco Martini aveva già creato il suo grande parco, proprio in quello stile all’inglese a cui si ispira Vincenzo. Quello di San Bernardino è allora l’unico parco di questo tipo, confacente alla sensibilità romantica del periodo, esistente in tutto territorio di Crema, anche se verrà successivamente imitato da altri parchi signorili, più ridotti, nei paesi circostanti. Visti i precedenti buoni rapporti tra le due famiglie, che contribuiranno poi alla fraterna amicizia tra Vincenzo ed Enrico, il figlio di Francesco, appare più che probabile il fatto che Vincenzo sia stato quanto meno influenzato, nel realizzare il suo paradiso verde di Ombriano, dal paradiso verde di San Bernardino. Purtroppo, come ben sappiamo, un medesimo scempio toccherà nel Novecento a entrambi questi magnifici parchi, creati dai loro autori seguendo madre natura ma devastati poi da padre cemento.

Genova, 1852. Antonio Rossi, appartenente a una facoltosa famiglia di armatori, commercianti e banchieri genovesi, ha appena concluso a suo favore la cessione del palazzo e delle estese proprietà fondiarie di Ombriano, concordando l’operazione con il cedente, l’amico fraterno Vincenzo Toffetti. Le ragioni sono allora chiare a molti loro confidenti, anche se oggi non è facile comprenderle appieno. Ultimo della sua stirpe, Vincenzo si ritirerà presto nell’eremo di San Romolo, in località San Michele, sopra San Remo, dove verrà a mancare nel 1866. Antonio, tre anni dopo questa cessione di beni, nel 1855, acquisterà all’asta l’antica magione dei Lomellini a Sestri Ponente, divenuta villa Spinola. La marchesa Spinola ha la passione del gioco d’azzardo e ha perso la villa al gioco. Il patrimonio familiare di Antonio Rossi e poi di suo figlio Gerolamo comprenderà successivamente altri importanti palazzi, anche nel territorio cremasco. Ma per ora, su questo, fermiamoci qui. Quello che conta, per la nostra storia, è sapere che Antonio è un abile uomo d’affari e un attento amministratore. Il palazzo e il grande parco di Ombriano, realizzati dall’amico Vincenzo Toffetti, vengono nei decenni successivi ben conservati, manutenuti e probabilmente incrementati nel loro valore non solo economico ma anche estetico, ambientale e paesaggistico. Sarà il figlio di Antonio, Gerolamo, a fare di questa zona di Ombriano un luogo di una bellezza naturalistica senza paragoni in tutto il territorio cremasco.

Ombriano, 1895. Gerolamo Rossi non ha ancora cinquant’anni e ha ormai realizzato tutto ciò che un uomo del suo tempo può desiderare nella propria esistenza. Ricchissimo di famiglia, imprenditore e banchiere di grande successo, è stato anche nominato senatore. Sua moglie Emilia, ultima della discendenza dei conti Martini di Crema, ha portato nel loro patrimonio familiare la villa di Sovico, il palazzo storico di Crema e una quantità enorme di beni mobili e immobili. Attraverso una complessa e abbastanza delicata operazione di natura araldico-nobiliare, Gerolamo ha anche potuto unire al suo cognome quello della moglie e diventare addirittura, tramite il titolo comitale fatto rinnovare ad Emilia, a sua volta conte. Oggi è il conte senatore Gerolamo Rossi Martini. Qui a Ombriano ha terminato da non molti anni la completa ristrutturazione del palazzo Toffetti, nel nuovo stile neogotico in voga in quel periodo. Sempre pochi anni prima, ha fondato una grande azienda agricola modello, il Podere di Ombriano, una fattoria all’avanguardia per le sue innovazioni colturali, zootecniche e di trasformazione casearia. E ha fatto ancora di più. Il bellissimo parco all’inglese creato da Vincenzo Toffetti è stato da lui ulteriormente valorizzato e abbellito. Ha implementato notevoli opere paesaggistiche, idrauliche e di riforestazione arborea. Adesso al suo interno ci sono ancora più aree boscate e bellezze naturali, con viali alberati, essenze vegetali pregiate, aiuole fiorite, chalet, alture e collinette create per dare varietà e movimento all’ambiente naturale, laghetti e corsi d’acqua derivati dalle rogge passanti nella proprietà, ponticelli e gazebo, serre, vivai, ortaglie, anche una parte coltivata a vigneto. Nel parco vivono e si riproducono in libertà daini, caprioli, vari tipi di selvaggina, innumerevoli specie di uccelli, tra i quali molti cigni e pavoni, oltre a parecchie varietà di pesci, che abitano i numerosi corpi idrici interni. Su Gerolamo Rossi, sul suo palazzo di Ombriano, sul suo parco e sul suo Podere di Ombriano, si veda Insula Fulcheria, anno 2021, pp. 213-232.

In una zona del parco, tra i vari rilievi del terreno c’è anche una collinetta boscata, degradante verso mezzogiorno, sulla quale si può salire per un giro panoramico. La montagnetta abbraccia al suo interno una piccola roggia, un bocchello che sottopassa la cima della collinetta e porta l’acqua verso sud, piegando a sinistra dopo un breve tratto. Ai piedi dell’altura passa allora un sentiero romantico, con un ponticello in mattoni e un tracciato che si snoda, in varie curve, dentro la fitta vegetazione, in direzione della zona del vigneto, là in fondo a levante. Oggi la collinetta c’è ancora, tutto il resto no. Anche il letto del bocchello è asciutto e il vecchio ponticello passa su un incavo coperto di sterpi. Il parco realizzato da Gerolamo Rossi è rilevabile dalla cartografia dell’Istituto Geografico Militare del 1889 e risulta anche dalla mappa contenuta nella pubblicazione del Gandolfi sul Podere di Ombriano.

Ombriano, 1943. La guerra continua e i bombardamenti avvenuti a Milano hanno fatto pensare a Mario Crespi di trasferire qui nel palazzo di Ombriano le rotative del Corriere della Sera. I Crespi hanno acquistato tra il 1935 e il 1937 sia il palazzo con il parco, sia l’azienda agricola, che erano dei Rossi Martini. Il conte Antonio, figlio di Gerolamo, che risiedeva spesso qui a Ombriano, è morto nel 1928, con una sola figlia che abita lontano. Anche se Mario Crespi ha passato a volte l’estate qui a Ombriano, il palazzo sta decadendo per mancanza di manutenzione, il parco viene lasciato andare ed è diventato irriconoscibile, la fattoria riesce a malapena a sopravvivere. La guerra ha poi dato il colpo di grazia a tutto quanto. L’intera Italia è in rovina e nessuno si stupisce della rovina di questo posto.

Ombriano, 1956. Il palazzo e il parco sono in completo degrado. La guerra è finita da un pezzo ma nessuno si prende più cura di questa proprietà. I Crespi vendono a Bruno Manenti, noto imprenditore e uomo d’affari cremasco, quasi tutto il complesso immobiliare e l’area un tempo corrispondente al parco. Alcune porzioni immobiliari del palazzo fatiscente sono state vendute negli anni precedenti a dei privati. La società di Bruno Manenti che rileva questa proprietà si chiama Immobiliare Parco. Da tempo gli alberi secolari del parco sono stati tagliati. I sentieri, i rilievi del terreno e i canali sono ormai devastati. Il muro di cinta è stato abbattuto in più punti e le recinzioni sono quasi tutte divelte. Nei terreni incolti intorno al palazzo, la gente va spesso a portar via mattoni, travi, tutto quello che si trova lì abbandonato. La chiamano “la bùrsa da Róssi”, dove ognuno può pigliare e portare via quello che trova. Si dice che nel palazzo in rovina girino i fantasmi. Rumori, luci, colpi strani, delle cose senza spiegazione. Devono essere fantasmi poco schizzinosi, perché ragni, scarafaggi e topi di fogna la fanno da padroni. Alcune famiglie ci vivono ancora, anche se in condizioni abitative molto difficili.

Riguardo a quel poco che rimane del parco, si tratta ormai di una terra di nessuno, dove non resta quasi più traccia delle precedenti opere paesaggistiche e idrauliche. Però è interessante notare come i rilievi fotografici aerei del 1954 e la cartografia che ne deriva confermino ancora l’esistenza di ampie zone a verde, senza proliferazioni edilizie e manomissioni ambientali. In particolare, si distingue la nostra collinetta e la presenza sulla stessa di una macchia boscata, scampata ai tagli e alle depredazioni. Forse un piano pubblico di riqualificazione dell’intera zona in senso non speculativo potrebbe favorire una destinazione corretta di questa parte di Ombriano. Gli anni dal 1956 al 1963 non vedono aggressioni speculative. Le lottizzazioni non sono ancora avvenute e l’Immobiliare Parco deve ancora entrare nella sua fase di intervento operativo. È dal 1963 al 1975 che le cose cambieranno, non a caso.

Ombriano, primi anni Settanta. Il destino del palazzo, del parco e della fattoria, denominata nel frattempo Ombrianello, si separano del tutto. L’azienda agricola è ceduta nel 1970 ad alcuni privati, che quasi subito la rivendono, poi entrano in gioco cessioni fondiarie parziali, lottizzazioni varie, la Winefood (Texon, cioè Credito Svizzero), infine un altro privato, con successive destinazioni d’uso e tentativi di diverso genere, fino all’attuale campo di golf, con gli appuntamenti periodici delle feste di partito ed altri eventi simili. Per il palazzo inizia una storia forse ancora più tormentata, che però esula da questo contesto. Basti qui fare cenno agli iniziali tentativi di destinazione musicale dell’immobile, ai rifiuti municipali ex lege di intestazione euterpica a persona ancora vivente, al decesso del mecenate, poi alla decisione di restauro, alla destinazione ad abitazioni private, infine alla completa parcellizzazione e alla vendita a vari singoli acquirenti a far tempo dalla fine degli anni Novanta.

Quel che oggi resta del palazzo Rossi Martini e del Podere di Ombriano può piacere o non piacere, però qualcosa almeno ne è rimasto. Il destino peggiore è quello del parco, che già, come abbiamo visto, era ridotto a poco più di una landa desolata. È un destino semplicissimo: il parco scompare, non c’è più. Viene ingoiato da un mare di cemento e asfalto, con la benedizione della municipalità e in nome della “modernità” e del “progresso”. Con una piccola eccezione: quella della nostra collinetta, rimasta miracolosamente illesa dalla bitumazione edilizia generale, che ha circondato di edifici condominiali, costruzioni varie, strade e infrastrutture urbane questo piccolo pezzetto superstite di verde. Forse un nume tutelare, un genius loci, uno spirito protettore ha difeso quest’ultima ridotta della natura dalla devastazione ambientale, dalla speculazione privata, dallo scempio urbanistico.

Ombriano, inizio anni Ottanta. La lottizzazione è stata portata a termine e diversi edifici condominiali sono già sorti sull’area un tempo corrispondente al parco. L’attività di costruzione continua comunque in modo sistematico e presto tutta la zona sarà coperta da condomini, villette, nuove strade, uffici, esercizi commerciali, parcheggi, anche immobili ad uso pubblico. Nel suo precitato testo, Zucchelli dice che si ottiene “dal Comune il placet per un notevole intervento di speculazione edilizia. Decisione che ha privato definitivamente la città di uno tra i migliori spazi verdi, lasciando il palazzo come orfano, soffocato - alla fine - da condomini in stile moderno in stridente contrasto”. I rilievi fotografici aerei del 1975 e la corrispondente cartografia rendono evidente l’accaduto, anche se continua a notarsi la collinetta isolata, ultima isola verde della zona. Le varie versioni della carta tecnica regionale basate sulle aerofotogrammetrie dei decenni successivi danno conto del progressivo affollarsi di costruzioni e infrastrutture urbane, in un assedio sempre più stringente intorno alla montagnetta.

Eccoci dunque al presente e all’intervento della Delegazione FAI di Crema, a cui ha dato voce un articolo pubblicato sul Nuovo Torrazzo il 15 gennaio 2022. Il titolo è “Le ‘collinette’ di Villa Rossi Martini”, anche se la collinetta è una sola e quello lì vicino era un palazzo, non una villa. Il sottotitolo è “La ricerca dell’architetto paesaggista Alessandro Carelli della delegazione FAI di Crema ha messo in luce interessanti novità”. Vediamo il testo, almeno in parte. “Basta osservare il boschetto di annosi tassi che cresce sulla collina, secondo le mode dell’epoca, per capire che si tratta di vegetazione storica con probabile valore di monumentalità di tipo paesaggistico e di forma. A un esame più ravvicinato, colpisce l’intenso e suggestivo assetto morfologico-paesaggistico della collina, che non si configura come un semplice rilievo, ma come una progressiva salita da sud a nord grazie a un sentiero che, ad anello, tocca la sommità abbracciando una gola incassata nella quale permane il letto asciutto del ‘bocchello roggia Babbiona’, che sottopassa la collina proseguendo verso sud. Il ponticello di mattoni e pietra sopra la roggia si rivela come ulteriore segno di riconoscimento di un parco romantico, completando la composizione, unica nel panorama del verde storico pubblico del Cremasco”.

I recenti lavori si riferiscono alla realizzazione di un sentiero, in precedenza solamente frutto di calpestio, che mette in collegamento la scuola, attraverso lo storico ponticello, a un ramo interno di via Rampazzini, a est della collina: un intervento che pare positivo e che integra il quartiere di villette in un luogo suggestivo, conferendo all’impostazione urbanistica standard un carattere speciale (cosa che non si può affermare ugualmente per la scelta di ubicare l’area sgambamento cani nella zona dei rilievi più a meridione)”. “La Delegazione FAI di Crema auspica che l’intervento sia condotto con attenzione nel pieno rispetto di un luogo così prezioso, sia nella scelta dei materiali che nel rispetto delle forme di un brano di parco romantico della cui sopravvivenza dobbiamo essere solo riconoscenti”. Non sappiamo quale sarà il destino di questa collinetta, se il suo verde superstite riuscirà a sopravvivere o se al suo posto si farà una spianata e la speculazione privata ci costruirà altri condomini e altre villette, in nome delle necessità abitative pubbliche, cioè del solito “progresso”. Staremo a vedere. E dire che una volta noi cremaschi chiamavano quelli di Ombriano “pelabròch”. Forse, in questo, riguardo al parco di Vincenzo Toffetti e di Gerolamo Rossi, li abbiamo proprio superati.

Nelle immagini, alcune fotografie scattate sulla collinetta di Ombriano nel mese di gennaio 2022.

Pietro Martini


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