8 settembre 2021

La storia degli Stalloni (2) e il futuro: perchè non far tornare il cavallo?

Nell’articolo del 23 agosto si è cercato da fornire una sintesi della storia degli “Stalloni” di Crema. Si aggiungono adesso alcuni cenni sui tentativi sinora svolti per dare una nuova destinazione all’area e alle strutture che residuano da questo patrimonio urbano.

Il primo tentativo, in realtà, avviene quando il complesso degli Stalloni è ancora validamente in funzione. Nel 1982 nasce un comitato di cittadini, sostenuto da alcune associazioni locali, per promuovere il “riutilizzo dell’area degli Stalloni”. Uno slogan dice: “La città è al servizio dell’uomo o del cavallo?”. Il cavallo, quindi, non come elemento da valorizzare ma come ostacolo da rimuovere, per altri fini. Il comitato chiede di trasferire altrove i cavalli, che sono parecchie decine e in piena attività, e di fare in quest’area qualcosa di diverso. Il motto è: “La città è un corpo, facciamo che il suo cuore sia verde”. In che modo? Aumentando dentro gli Stalloni le piantumazioni erbacee e infittendo le essenze arboree? Non proprio. La proposta è di “restituire” questi spazi alla comunità e “valorizzare” l’area. Alcuni manifesti e locandine del tempo dicono come e, soprattutto, a favore di chi. Nelle aree verdi si prevedono palcoscenici e “spettacoli all’aperto”, senza limitazione d’uso. Da subito, negli edifici, si possono svolgere “attività di laboratorio teatrale, musicale, animazione, fotografia, cori, dialetto, mostre, associazionismo, ecologia”. Altri ambienti vanno “attrezzati per usi collettivi: lettura, bar, sala ascolto musica, videoteca, prove, sale giochi (carte, scacchi, modellismo), servizi sociali”. Tutti gli spazi “possono essere gestiti da giovani in cooperativa che riescano a gestire anche attività commerciali, trovando così un’occupazione e una fonte di finanziamento per attività culturali autogestite”. Gli Stalloni come centro di svago, di incontro e di cultura, soprattutto giovanile, e come palcoscenico cittadino per rappresentare e sviluppare questo genere di cultura. E pure come tentativo di avviamento al lavoro per chi svolge “attività culturali autogestite” e con queste fatica a sbarcare il lunario. Una via di mezzo tra il centro sociale e il laboratorio creativo. Si suggerisce una passerella che, passando sopra la via Mercato, unisca il quartiere di Crema Nuova a questa cittadella della cultura innovativa, dell’elaborazione sperimentale, dello spettacolo alternativo.

Chi sono i componenti del comitato? Quali sono le associazioni che lo sostengono? Viene ripetuto che si tratta di una rappresentanza trasversale a tutte le forze politiche e, in effetti, qualche carta diversa dalle altre, nel mazzo, esiste pure. Però, guardando bene i nomi e le foto, si vede che in pratica, come si dice a Roma, sono tutte foglie dello stesso carciofo, sia pure con qualche diversa sfumatura ideologica. Un filmato rievocativo dimostra quanto la trasversalità fosse soprattutto interna a un certo schieramento culturale. Siamo nel 1982 e da due anni a Crema la giunta socialcomunista, dopo aver governato la città per i cinque anni precedenti, ha ceduto gli scranni municipali a una nuova maggioranza, non più rossa ma rosa, perché la DC governa ora col PSI, dopo l’estromissione del PCI. Il sindaco però è lo stesso della precedente giunta socialcomunista. Insomma, i tempi stanno cambiando, però non tanto. A Crema, dove la destra arranca e il centro vivacchia, la piazza è sempre occupata dagli stessi personaggi. E gli Stalloni possono diventare il miglior palcoscenico per questa piazza culturale, che in realtà è anche ideologica.

Dall’angolazione politica dei promotori del comitato, questa liberazione di energie creative, questa fantasia culturale, questa possibile presa di possesso di spazi e strutture appaiono perfettamente in linea con quanto accaduto a Crema negli anni precedenti. Infatti, dopo Recitarcantando, si propone Recitarmangiando. Anche a Crema sono gli anni del nicolinismo d’importazione, delle imitazioni dell’estate romana di Nicolini. Il comitato fa propaganda nei modi tipici di quei cliché comunicativi. Cominciano la feste di piazza e inizia l’aria da sagra di paese. Non è che i cremaschi amino molto, almeno allora (oggi magari di più), certe frivolezze circensi. Crema non è ancora una città luna park, una città bancarella. Fatto sta che il comitato organizza concerti in piazza, mostre, esibizioni teatrali, artisti di strada, musicanti, pagliacci sui trampoli, girotondi, mimi, truccabimbi e truccadulti. La clowneria come cifra ludica e creativa, compreso il clown arrovesciato a gambe larghe sul sagrato del Duomo. I cremaschi non reagiscono bene. Innanzitutto perché per cinque anni hanno già subito questo genere di “politica culturale”. Poi perché si rendono conto che, con qualche chilo in più e qualche capello in meno, i primattori sono ancora quelli degli anni precedenti. Succede così quello che capita spesso a Crema, quando l’onda grigia dell’indifferenza sale e ricopre i rumori e i fervori: tutto si spegne. Ormai è chiaro che dietro al “cuore verde” ci sta una bandiera di diverso colore. Da un lato, il comitato ci ha visto giusto e ci ha visto lungo sui problemi degli Stalloni, che negli anni successivi arriveranno al pettine. Dall’altro lato, tutto finisce nel solito modo della sinistra cittadina: facendo la cosa giusta nel modo sbagliato. Che gli Stalloni siano un “cuore verde” è vero, come è vero che presto altri tenteranno di bitumarlo. Ma pretendere di trovare nuove destinazioni agli Stalloni attraverso l’ennesima riproposizione delle ormai polverose suppellettili culturali, artistiche, teatrali, ludiche e movimentiste del sessantottismo, non funziona. Oltretutto, il clima sociale è ormai in pieno riflusso, come si diceva allora. Così, nell’effimero nicolinesco di strada, fallisce il tentativo di creare uno spazio politico autogestito dentro gli Stalloni, perché questo era l’obiettivo reale, aldilà di tante giocolerie e clownerie di facciata. Non si riescono a sloggiare i cavalli per metterci al loro posto un nostrano Leoncavallo.

Facciamo un salto temporale e arriviamo al 2009. Stavolta gli Stalloni sono nel mirino di forze politiche diverse. Mancano tre anni al decesso giuridico degli Stalloni, però il loro rigor mortis è ormai evidente. L’operazione è organizzata piuttosto bene. L’opposto di quanto accaduto nel 1982. Adesso si fa la cosa sbagliata ma nel modo giusto. Inutile citare i promotori dell’iniziativa, basta rileggere le cronache del tempo. Si va stipulando un accordo tra la Regione, proprietaria dei beni, il Comune, la Provincia, l’ERSAF e lo Spallanzani. La cittadinanza ne sa poco o niente. D’altra parte, è risaputa l’ormai cronica indifferenza dei cremaschi verso gli Stalloni. Il progetto prevede, almeno all’inizio (è un progetto un po’ camaleontico, strada facendo), un parcheggio multipiano dentro gli Stalloni per 500 posti auto. Poi un grande albergo di lusso. Infine, lo spostamento di gran parte degli ambulanti dal mercato coperto di via Verdi all’interno della struttura. Il mantenimento del Centro di Riabilitazione Equestre e la creazione di un Museo delle Carrozze vengono callidamente previsti come prova di sensibilità e attenzione verso l’uso sociale e la tradizione storica del luogo.

L’argomento dei parcheggi, a Crema, è sempre ottimo. Tutti fanno professione, a parole, di ecologismo e ambientalismo, poi di nascosto si fregano le mani se possono parcheggiare davanti alla bottega in cui fanno la spesa. E questo, dal primo politico fintoverde all’ultimo cittadino fintoverde. Tutti verdi, tutti finti. Quindi è importante che i parcheggi arrivino come un fatto compiuto, per consentire ai cremaschi, a cose fatte, di strillare quanto basta allo scandalo e intanto continuare ad andare in macchina a prendere il giornale all’edicola dietro l’angolo. Il parcheggio e il parchimetro uniscono tutti, basta ogni tanto lanciare maledizioni e anatemi contro di loro, per salvare la faccia. Infatti Crema, per coerenza politico-araldica, al posto di una spada d’argento, dovrebbe avere nel suo stemma “uno scudo sormontato da corona marchionale cimata da elmo e un braccio armato, posto tra due corna di cervo, impugnante un parchimetro d’argento”. Ecco perché il parcheggio multipiano di 500 posti dentro gli Stalloni, se deciso con la politique du fait accompli, può funzionare. Sull’albergo di lusso, l’enfasi sul termine lusso è indicativa: ai cremaschi il lusso è sempre piaciuto. Quanto al verde, non ha mai avuto ritorno elettorale. E poi i cavalli sono roba d’altri tempi. I cavalli puzzano. Così, arriva il giorno delle firme dell’accordo. Solo due consiglieri di maggioranza si dissociano: uno di centro, uno di destra.

La cronaca sul perché e sul come l’accordo fallisca è nota ed è stata narrata in numerosi articoli di giornale e anche in un libro. Basti dire che qualcuno si mette di traverso e ne nasce un putiferio. Rivedendo questo film (ormai un classico d’essai) con attenzione, al ralenti, si nota che l’ondata di pubblico sdegno che fa fallire il progetto nasce non tanto da una generale consapevolezza cittadina dell’enormità di cemento e asfalto che sta per sommergere gli Stalloni, bensì da un incidente di percorso, da una buccia di banana fortuita: gli ambulanti. L’idea di stiparli dentro gli Stalloni, visto che i loro banchi si trovano già lì vicino, sotto quel capolavoro architettonico del mercato coperto, li fa insorgere. In questo dettaglio, che però diventa decisivo, i promotori del progetto, piuttosto abili in tutto il resto dell’operazione, mettono un piede sulla mina. La città è scossa dall’insurrezione degli ambulanti, con pronta sollevazione di categorie e lobby di sostegno. Striscioni e megafoni, bandiere e cortei. Gli ambulanti salgono sul tetto del mercato coperto. Con i loro camioncini fanno caroselli per le vie della città. Non è una rivolta di popolo generale, una sommossa dell’intera collettività. Non è la cittadinanza cremasca che si oppone alla cementificazione e all’asfaltatura degli Stalloni. Sono gli ambulanti che non vogliono essere ammassati in spazi ristretti e intendono restare dove sono. La narrazione dei fatti segue poi la trama degli ambulanti buoni che salvano i beni architettonici aviti e costringono i cattivi a mettere giù le mani dagli Stalloni. Tutto si blocca. A Crema, mai pestare i piedi alle corporazioni. Il progetto salta. La bitumatura degli Stalloni è evitata grazie al fatto che gli ambulanti non intendono finire dentro gli Stalloni bitumati, non per il bitume ma perché stanno meglio fuori. Alla fine, tutto termina in bizzarri brindisi e abbracci tra le varie parti in causa.

Passano pochi anni e nel 2013 nasce un nuovo “comitato di coordinamento” composto da Regione, Comune, Provincia e ASL per la “riqualificazione” e la “valorizzazione” degli Stalloni. Ne esce un progetto basato sull’accorpamento, dentro gli Stalloni, degli uffici sanitari regionali sparsi per la città. Un’operazione edilizia che consente alla Regione di riunire, in questa sua proprietà, le proprie strutture locali, risparmiando i loro affitti, che gravano sul bilancio. Il piano è ancora da completare ma già si prevedono diversi parcheggi interni per i dipendenti dei servizi sanitari. Come sempre, a Crema l’appeal del parcheggio è proprio irresistibile. Pare che i lavori per questi posti macchina siano imminenti, nonostante si ammetta che l’autorizzazione del progetto richiederà tempi lunghi. Passano poi un paio d’anni e tutto sembra ormai stabilito. Il Comune costruirà negli Stalloni degli alloggi di housing sociale, per dare ospitalità a certe categorie di beneficiari. Si prevedono anche ambienti e spazi di incontro, socialità e fruizione culturale. Resterà qualche area verde, di cui però non si precisa l’estensione e, naturalmente, non mancheranno il CRE e il Museo delle Carrozze. Il muro a settentrione sarà demolito, per facilitare la “cerniera” urbanistica tra Crema Nuova e il centro storico.

I cremaschi non sono messi a conoscenza dei progetti esecutivi e ricevono solo informazioni generiche. Sembrano rassegnati alla creazione di questa “cittadella della puntura”, come viene chiamata in città. È chiaro a tutti che il padrone di casa, la Regione, intende utilizzare l’area per concentrarci i suoi uffici sanitari locali e che quindi non si “valorizzano” gli Stalloni ma si “valorizzano” i bilanci regionali, alleggerendoli dai costi di locazione pagati per quegli uffici. La conseguente colata di cemento e asfalto in arrivo è evidente. Probabilmente quel po’ di verde che resterà sarà frequentato da chi al momento vagabonda intorno ad alcuni di questi servizi sanitari, per cui i cremaschi ironizzano sul genere di “puntura” che potrebbe realizzarsi in loco. Ci si rassegna anche agli alloggi di housing sociale. Siccome non si può fare housing mettendo le persone nei box con le greppie e i beverini, si capisce che al posto del verde spunteranno cantieri, betoniere e nuove costruzioni. Qualche malevolo suggerisce quali potrebbero essere i destinatari di questo housing. Forse non proprio le nonnine locali. Insomma, i più pessimisti temono che stia per arrivare in città un altro bronx, stavolta però non appena fuori porta ma a due passi dal Duomo.

Ci si rassegna anche allo slogan della “cerniera” tra Crema Nuova e il centro storico, abbattendo il muro di cinta. Il muro degli Stalloni come il muro di Berlino. Siamo tutti cremaschi, non importa se intra moenia o extra moenia. Quel muro non è democratico. Certo, venendo da Crema Nuova un ingresso agli Stalloni da via Mercato farebbe comodo. Ma si può continuare ad accedervi benissimo da via Gramsci, entrando in via Verdi dall’acquedotto, oppure da via Boldori, entrando in via Verdi da via Quartierone. E comunque, prima di demolire o non demolire quel muro, occorrerebbe sapere di preciso che cosa si vuole fare là dentro. Altrimenti è come per i parcheggi dei dipendenti degli uffici sanitari, su cui già si discettava (drenanti o non drenanti) prima ancora di decidere se accentrare o meno quegli uffici. Lo slogan della “cerniera” e l’assalto al muro degli Stalloni non risolvono il problema, lo eludono. In ogni caso, se avanzasse alla fine un po’ di verde, i muri sarebbero da rinforzare, gli ingressi da controllare, l’intera area da vigilare, altro che abbattere quel muro. Altrimenti si finisce come coi bivacchi del Campo di Marte e dei Giardini pubblici.

Poi, pochi anni fa, il progetto si blocca, non si capisce se per merito del caso, della soprintendenza o del genius loci della preesistente Mater Domini. L’ipotesi della soprintendenza è forse la più plausibile. Molti cremaschi tirano un sospiro di sollievo. Si vedono atei incalliti entrare nelle chiese cittadine per accendere ceri a tutti i santi e le Madonne. E si comincia a pensare che questi tre ettari di verde meriterebbero qualcosa di meglio delle precedenti aggressioni, veicolate da locuzioni come “restituzione”, “riqualificazione”, “valorizzazione”, “risanamento”, “fruizione”, “recupero” e via affabulando.

Arriva infine la pandemia Covid, che tuttavia non interrompe le pensate dei partiti sugli Stalloni. Una parte politica suggerisce un baratto, tra Comune e Regione, dell’ex Tribunale con gli Stalloni. Nasce l’ennesima discussione sulla stampa locale, con i favorevoli e i contrari. Non si precisa però che cosa fare dentro gli Stalloni in caso di baratto. È un’operazione a cui la Regione non sembra interessata, visto che economicamente ci perderebbe. Inoltre, il Comune osteggia questa soluzione. Poi un’altra parte politica ipotizza l’assegnazione dell’area al Comune per un periodo di parecchi decenni, così da giustificare investimenti pubblici municipali significativi. La Regione manterrebbe il diritto di proprietà e si vedrebbe valorizzato il bene. Si aggiunge che la Regione avrebbe stanziato dei finanziamenti in proposito. Però anche qui non si precisa che cosa si farebbe in concreto dentro gli Stalloni. Per cui, baratto o concessione allungata? Scambio di immobili o comodato d’uso? La discussione resta accesa.

Nel 2022 ci saranno le elezioni amministrative e ogni partito comincia a scaldare i motori, facendo rientrare gli Stalloni tra gli argomenti di propaganda elettorale. Sia i sostenitori del baratto che quelli del comodato d’uso cominciano a rilasciare interviste tattiche, in attesa che la campagna elettorale entri nel vivo. Un modo per eludere il nocciolo del problema, cioè di non prendersi la responsabilità di un progetto più condivisibile dei precedenti, è di suggerire di lasciare mano libera a chi ha “la professionalità, la creatività e il know-how” per la giusta destinazione di un simile patrimonio cittadino. Come dire che è il taxista a decidere dove portare il cliente, invece di trovare la strada migliore per portarlo dove il cliente gli ha detto. Più tutto il solito repertorio sugli “spazi aperti”, i “muri abbattuti”, magari ipotizzando qualche licenza, autorizzazione, esercizio commerciale all’interno. Insomma, ci risiamo col business. Chissà che cosa succederà dopo le elezioni. I cremaschi, di nuovo, toccano ferro.

Forse la cosa migliore sarebbe togliere le strutture fatiscenti e lasciare tutto il verde esistente, anzi aumentarlo e piantumarlo ulteriormente, mettendo quest’area a disposizione della comunità, però in modo ben vigilato, altro che abbattere muri. Si tratta di un patrimonio verde di tutti i cremaschi. Nessuno deve danneggiarlo, insozzarlo, rovinarlo. Per il corpo di fabbrica centrale, quello più storico, e per le principali scuderie si può trovare una destinazione non invasiva, rispettosa, “leggera”, senza un metro cubo di cemento in aggiunta. Sul CRE e sul Museo delle Carrozze, tutti d’accordo. L’importante è che non diventino il passepartout e l’alibi per fare scempio del resto.

In ogni caso, basta con la cultura del calcestruzzo e con l’asfaltatura della Storia.

Soprattutto, sarebbe giusto che qualcosa di significativo ricordasse alle future generazioni chi era il protagonista di questi luoghi: il Cavallo. E allora, perché non fare negli Stalloni un Museo del Cavallo, dall’antichità a oggi, nelle sue diverse funzioni storiche? In Italia non ce ne sono molti e Crema potrebbe onorare così le sue importanti tradizioni equestri. E perché non raccontare, dentro questa grande storia, anche la storia degli Stalloni di Crema? Infine, perché non mantenere qui qualche cavallo per i visitatori, su cui magari provare a salire, così che i nostri figli e nipoti capiscano quale fondamentale rapporto hanno avuto le nostre due specie, umana ed equina, in così tanti millenni? (2-fine)

Guarda il video con le proteste per gli Stalloni del 1982

Pietro Martini


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commenti


Giacomo

9 settembre 2021 05:57

Come possessore amorevole e convinto, ma sbeffeggiato, di un TPR (Tiro Pesante Rapido variante bene o male selezionata fortunosamente "all'italiana" anche a Crema oltre che a Verona e Voghera) ho sempre visto "gli Stalloni" come un luogo sacro unico nel suo genere e prezioso.
Purtroppo il suo "attacco" comincia da molto prima dell'82 con la chiusura dell'antistante corso d'acqua "tombinato" da un inguardabile tettoia che solo ora, finalmemte, comincia, per intercessione di santi sconosciuti ad atei responsabili, a sgretolarsi naturalmente.
Ormai, in pieno regime autoritario, tutto diventa più fluido ed imprevedibile perché chi amministra è un Re buono. Occorre solo farsi punture D.O.C. e vivacchiare "ristorato".