Ricordo di don Agostino Cantoni (1925-2008)
L’anno prossimo si celebrerà a Crema il centesimo anniversario della nascita di un sacerdote che è rimasto nella memoria di molti di noi. Il suo ricordo è vivo e sentito in modo trasversale, tra i cattolici praticanti e quelli virtuali, tra gli atei e gli agnostici, anche tra gli indecisi sul da farsi (dalle nostre parti non mancano infatti sia i credenti in crisi, sia i non credenti anelanti a un credo). Ciò per dire quanto sia diversificata la platea degli attuali estimatori di questo religioso, rimpianto da un numero sempre crescente di ammiratori appartenenti ai contesti sociali, culturali e ideologici più diversi e a volte decisamente antitetici. Sto parlando del mio professore di religione del liceo, don Agostino Cantoni. Nell’ambito del clero locale era stato in certi periodi il sacerdote che aveva saputo interloquire e confrontarsi con il maggior numero di ambienti, persone e situazioni esistenti lungo l’intera gamma delle appartenenze cremasche di ceto, censo, posizione politica e fede religiosa. Aveva una capacità notevole di relazione soprattutto con i giovani, con gli studenti, con i ragazzi che gli erano stati affidati in funzione del suo ruolo di insegnante, di assistente spirituale e, da un certo momento in poi, di parroco posto alla guida di una comunità caratterizzata da fermenti giovanili molto vivi.
Chi era Agostino Cantoni? Era nato il 6 aprile 1925 in una famiglia di agricoltori alle Garzide di San Bernardino, allora Comune autonomo e poi accorpato a Crema nel 1928, insieme a Ombriano e Santa Maria. Il piccolo Agostino Giuseppe Santo viene battezzato l’8 aprile. È figlio di Antonio Cantoni e di Rosina (in altri documenti Rosa) Cazzamalli, come risulta dal libro dei battezzati della parrocchia di San Bernardino (anno 1925, volume I, n. 29), compilato allora dal “prevosto” Francesco Ogliari, da poco succeduto allo storico parroco Paolo Ghilardi e rimasto in carica fino al 1950. Il neonato ha preso il suo primo nome dal nonno paterno Agostino. La nonna paterna è Rosa Patrini. I nonni materni sono Giovanni Cazzamalli e Giovanna Merico. I genitori, qualificati come “cattolici” e come “affittuali”, si erano sposati nella stessa parrocchia il 25 aprile 1923. Sua madrina di battesimo è Maddalena Cantoni, nubile, fu Agostino, residente nella medesima parrocchia. La levatrice di San Bernardino che lo fa nascere è Palmira Storti. Agostino è nato in cascina, come molti figli di agricoltori del tempo.
Dopo aver portato a termine le scuole elementari, a dodici anni e mezzo Agostino entra in seminario a Crema, una scelta allora non infrequente nelle famiglie numerose del nostro contado. Due documenti riportano la domanda di ammissione, indirizzata attraverso la curia di Crema al vescovo Francesco Maria Franco, insediato nel 1933 e in carica fino al 1950. Il primo documento è la domanda, sottoscritta dai genitori (e da un terzo firmatario, Angelo Bianchessi), per l’accoglimento in seminario di Agostino. Il padre Antonio promette di “provvederlo di vestito e di vitto, de’ libri occorrenti e di tutto quanto gli può essere necessario per decentemente percorrere la clericale carriera, esibendo a malleveria di questa obbligazione quanto possiede o sarà per possedere”. Se non saranno pagate “le rate alle rispettive scadenze” o “mancassero le cose necessarie”, non si potrà più consentire al ragazzo di “continuare nella carriera ecclesiastica”. Nel secondo documento Agostino promette di vivere nel seminario vescovile per tutto il tempo del suo chiericato, “sotto le discipline ecclesiastiche”, accettando “la propostami condizione di restar escluso dal numero de’ chierici e di deporre l’abito clericale tostochè l’autorità ecclesiastica nella sua saviezza a ciò mi obbligasse”. “Ed essendo ‘in Sacris’, di assoggettarmi alle pene che mi saranno imposte anche di sospensione ad arbitrio dello stesso superiore”. Alla firma di Agostino seguono le firme della madre e di Angelo Bianchessi. Entrambi i documenti sono datati 7 ottobre 1937 e riportano in calce il timbro della curia vescovile di Crema e la firma di Alfredo Maria Bonizzoni, dall’anno prima cancelliere vescovile. Sia il padre Antonio che il figlio Agostino sono indicati come “domiciliati sotto la parrocchia di Offanengo”. Significa che nel frattempo c’era stato un trasferimento di residenza familiare in questo Comune. Forse deriva da questo cambio di abitazione l’errata indicazione, in alcuni testi, di una nascita di Agostino a Offanengo (se non anche alle “Garzide di Offanengo”, locuzione toponomasticamente senza fondamento).
Fino a quel momento, il vecchio seminario di Crema (passato successivamente ai missionari comboniani), che si trovava nella piazzetta dietro la chiesa delle Grazie, faticava ad accogliere nuovi alunni e a dar loro adeguata collocazione, per l’insufficienza degli spazi e per le scarse strutture di supporto. Quando Agostino arriva in seminario, entra nella nuova sede appena ultimata. È una struttura ariosa, luminosa e molto ampia, in cui il ragazzo può contare su una sistemazione personale confortevole e su buone condizioni di studio. Per i figli di famiglie economicamente non abbienti, orientati allo studio e dotati di sufficienti facoltà intellettive, si trattava di una situazione ottimale, soprattutto in presenza di un’effettiva vocazione religiosa. Si era in epoca post-concordataria e pure a Crema si sviluppavano le iniziative ecclesiastiche tese a rafforzare le strutture organizzative diocesane di istruzione giovanile e di assistenza sociale, anche attraverso l’acquisizione dai poteri civili di aree urbane per i propri fini istituzionali oppure mediante la vantaggiosa risistemazione dei propri beni immobili in città. Il nuovo seminario è un esempio di questa espansione favorita dal regime e di questo rafforzamento della presenza confessionale in città, anche in senso urbanistico e architettonico. Si pensi inoltre alle superfici cedute per la Pia Casa della Divina Provvidenza e alla ristrutturazione del Centro San Luigi con le relative modifiche edilizie e viarie. Il nuovo seminario è dentro il “compound” ecclesiastico creato tra il 1934, quando avvengono i principali rogiti di cessione, e il 1937 (l’inaugurazione è anticipata al giugno 1936). La costruzione è all’interno della vasta porzione urbana compresa tra le vie Vittorio Emanuele, Magenta, Garibaldi e Goldaniga (oggi Matteotti, Petrali, Dante Alighieri e Goldaniga, però con cospicue variazioni di giacitura edilizia). Come rettore, a partire dall’anno 1939 lo studente Cantoni ha don Angelo Galli, che ricopre questo incarico fino al 1957.
Nel 1945 il seminarista Cantoni è inviato a Roma per studiare presso la Pontificia Università Gregoriana. Ha già scelto gli ambiti culturali in cui svilupperà le sue doti umane, intellettuali e pastorali: Teologia e Filosofia. Può evitare di prestare il servizio militare grazie a una specifica norma concordataria. Certi seminaristi cremaschi inviati a Roma prima dei patti lateranensi avevano servito sotto le armi nella capitale, come Giovanni Scalvini. Il rettore don Angelo Galli invia poi nelle università teologiche di Roma anche altri seminaristi, come ad esempio Michele Bertazzoli, che sarà direttore del Nuovo Torrazzo dal 1968 al 1989, Carlo Ghidelli, che sarà arcivescovo di Lanciano-Ortona, Giulio Bellandi e Antonio Margaritti. A Roma il giovane Cantoni ha la possibilità di acquisire un’apertura intellettuale e la conoscenza di un ambiente ecclesiastico che giovano alla sua sprovincializzazione e gli consentono una migliore visione delle dinamiche in essere nella Chiesa del tempo. Risiede presso il Pontificio Seminario Lombardo dei Santi Ambrogio e Carlo, l’istituzione ecclesiastica approvata da Leone XIII nel 1890 che accoglie i religiosi lombardi (tra i quali diversi seminaristi cremaschi) inviati a Roma dai propri rettori, con il beneplacito dei loro vescovi, per frequentare le università pontificie. Il suo rettore a Roma è un uomo di grande valore, dotato di forte carisma e di una notevole preparazione dottrinaria: don Francesco Bertoglio. Pochi anni prima, nel 1943, aveva nascosto in questo seminario 65 ebrei, salvandoli dalla deportazione ad Auschwitz. Dopo la sua scomparsa, per questo motivo è insignito nel 2011, alla memoria, del titolo di Giusto tra le nazioni.
Nel fascicolo personale di don Agostino Cantoni presso l’Archivio Storico Diocesano di Crema, tra i documenti conservati nella cartella, riguardanti il periodo dal 1937 al 1947, tranne uno del 1974, ci sono anche le corrispondenze tra il rettore don Bertoglio e l’ “Ecc.mo Ordinario di Crema”, nelle quali vengono trasmesse le richieste di avanzamento canonico di grado formulate dal giovane Agostino, con in calce l’approvazione e la raccomandazione del rettore, che sollecita la “benigna considerazione” del vescovo di Crema e il suo nulla-osta per l’assegnazione del grado, “presentando il postulante le garanzie sufficienti per lo stato ecclesiastico al quale chiede di avvicinarsi” (Serie Sacerdoti Diocesani, Fascicolo 188, a p. 311 in Inventario Livraga 1996). Agostino si avvia all’ordinazione sacerdotale e, tra la primavera del 1946 e la fine del 1947, ottiene i vari titoli preliminari a tale sacramento. Nel suo fascicolo personale sono archiviati i decreti di riconoscimento: quello di “Ostiariatum et Lectoratum” del 28 aprile 1946; quello di “Exorcistatum et Acolythatum” del 20 gennaio 1947; quello di “Subdiaconatum” del 12 luglio 1947; quello di “Diaconatum” del 28 dicembre 1947. Sono tutti rilasciati dal cardinale Francesco Marchetti Selvaggiani, personaggio curiale di spicco, a quel tempo vicario generale di Roma e arciprete della basilica di San Giovanni in Laterano. Allora il diaconato era solo uno dei passaggi intermedi verso il sacerdozio. Dopo il Concilio è stato ripristinato come uno dei tre gradi permanenti della Chiesa cattolica latina: diaconato, presbiterato, episcopato. Il tema del diaconato femminile cattolico resta a tutt’oggi irrisolto. Il 27 marzo 1948, sabato santo e vigilia di Pasqua, Agostino Cantoni è ordinato sacerdote. Non il 28 marzo, come a volte è riportato.
Nello stesso giorno sono ordinati con lui Giuseppe Guerrini (in altri testi Guerini) Rocco e Marco Cè, il futuro patriarca di Venezia. Il primo è stato mio docente di Scienze al liceo. Era infatti laureato, oltre che in Teologia, in Scienze naturali. Lui e don Cantoni diventano poi assistenti ecclesiastici rispettivamente dell’Azione Cattolica e della FUCI, quindi parroci rispettivamente a Ripalta Nuova e a San Giacomo. Il nostro “don Cellula” interpretava il post-conciliarismo senza cedimenti alle demagogie sessantottine di quel periodo. Poi, a sessantun anni d’età, ha dimostrato il suo coraggio terzomondista andando a rimboccarsi le maniche, da sacerdote missionario, in un posto come la Bolivia. Marco Cè, del quale pure ricorre nel 2025 il centenario della nascita, prima di essere avviato alla carriera ecclesiastica di vescovo di Vulturia, vescovo ausiliare di Bologna, patriarca di Venezia e cardinale, è rettore del seminario di Crema dal 1957 al 1970. In ragione di questo suo ruolo, è il responsabile diocesano, ovviamente insieme al vescovo Carlo Manziana (in carica dal 1963 al 1981), che in una posizione elevata si trova maggiormente coinvolto, alla fine degli anni Sessanta, nelle aspettative post-conciliari della Chiesa cremasca e nei travagli del “dissenso cattolico” e della “contestazione dei cattolici”, che agitano il mondo giovanile e fanno fremere diverse tonache in seminario.
Dopo l’ordinazione sacerdotale, don Agostino Cantoni completa la propria formazione universitaria e pone le basi per le sue future attività di docenza, a Crema e fuori città. Vediamo alcune fonti. Nel testo di Ilaria Lasagni pubblicato nel 2004 e dedicato al liceo Racchetti, si dice che “ha conseguito la laurea in Filosofia nel 1954 e in Teologia nel 1958” e che “è stato libero docente di storia della filosofia moderna e contemporanea nel 1971 e professore di filosofia e teologia al Seminario vescovile di Crema dal 1964 al 1980” (p. 441). Si conferma anche quanto indicato nell’Annuario edito nel 1987 dal liceo Racchetti (l’ultimo pubblicato in questi ultimi decenni), che lo indica come insegnante di religione dall’anno 1962/3 all’anno 1971/72 (p. 51). L’autrice specifica che “il colloquio si è svolto a Crema, presso la parrocchia di San Giacomo, l’8 giugno 1999; la memoria scritta è stata consegnata entro lo stesso mese”. Il saggio di Patrizia de Capua, “La parola e il gesto nell’opera di don Agostino Cantoni”, in Insula Fulcheria del 2008 (consultabile e scaricabile in rete), riporta alcuni dati presenti nel testo di Lasagni, aggiungendo la data del suo conseguimento della libera docenza in Storia della filosofia moderna e contemporanea, che è il 2 giugno 1971. L’autrice aggiunge che è stato “preside della scuola ‘Dante Alighieri’ (1967-1971)”. Nel successivo testo di Patrizia de Capua su don Agostino Cantoni, pubblicato in questi giorni, si trovano altre informazioni biografiche. Si tratta di “L’eterno femminino. Agostino Cantoni studioso di Teilhard de Chardin”, Milano, Farina Editore. “Laureatosi presso l’Università Cattolica di Milano in Filosofia con una tesi su Sciacca pubblicata con il titolo ‘Michele Federico Sciacca, trascendenza teistica e filosofia cristiana’, Torino, SEI, 1960, Cantoni consegue la libera docenza in Storia della filosofia moderna e contemporanea, tenendo poi corsi di insegnamento presso l’Università di Parma. Dall’Università di Perugia viene chiamato a far parte dell’Associazione internazionale di filosofia della religione e a partecipare a seminari internazionali con sede a Perugia e a seminari di ricerca con sede a Bologna” (p. 14, nota 8). Questi due saggi di de Capua costituiscono a oggi i contributi di maggior livello e spessore concettuale pubblicati sul pensiero e sul profilo filosofico e teologico di don Agostino Cantoni. Vale a dire, a mio avviso, sulla parte più rilevante della sua esperienza di studioso, del suo valore intellettuale e del suo lascito culturale alle generazioni successive.
Riprendo qui innanzitutto alcuni cenni di sintesi sull’articolo di Insula Fulcheria, rilevati dall’abstract iniziale. L’articolo ripercorre le tappe essenziali del pensiero filosofico di don Agostino Cantoni, dai saggi su Madinier e Teilhard de Chardin, attraverso lo studio sul “pensare africano”, fino agli opuscoli indirizzati alla lettura dei segni dei tempi. Ne emerge un’efficace sintesi fra ricerca teoretica e fede cristiana. La prospettiva da cui ci si pone, senza pretendere di restituire il significato globale dell’opera ricca e complessa di don Cantoni, consente di metterne a fuoco un frammento: il valore che la “parola” può avere per chi ha dedicato la propria vita a concreti gesti di condivisione verso gli ultimi e i piccoli, dai più dimenticati o ignorati. Riprendo poi qui alcuni altri cenni di sintesi sul testo appena pubblicato da Farina Editore, rilevandoli liberamente dalla nota iniziale dell’autrice. Questo scritto, a cent’anni dalla nascita di don Agostino Cantoni, si concentra su un aspetto importante della ricerca filosofica di questo sacerdote, che era un profondo conoscitore delle teorie di Teilhard de Chardin: quello della tematica dell’ “Éternel féminin”, che occupa un posto rilevante nella meditazione del gesuita francese. Il testo è diviso in due parti. La prima è “La donna fra letteratura e teologia: dallo schermo all’eterno”. La seconda è “Il dialogo continua”. Qui l’autrice immagina di confrontarsi in uno scambio di opinioni con don Cantoni su ciò che oggi si potrebbe aggiungere nello studio di quell’argomento.
Riguardo agli studi e alle docenze di don Cantoni, va qui citato anche il testo di don Luciano Cappelli che è stato incluso nella pubblicazione dedicata nel 2010 a don Cantoni da Maria Teresa Aiolfi e Gabriella Cadeddu Costantini. Don Cappelli è succeduto nel 2001 a don Cantoni come parroco di San Giacomo. Nel suo scritto si precisa che il percorso di studi di don Cantoni “continua con il conseguimento nel 1949 del Dottorato in Teologia e con l’insegnamento allo Studio teologico del Seminario di Crema (che poi si unirà a quello di Lodi) fino al 1992”. Quindi “prosegue gli studi e le ricerche per il conseguimento del Dottorato in Filosofia – con una tesi diretta da Giovanni Battista Guzzetti – e della Libera docenza in Storia della filosofia moderna e contemporanea” (p. 52). Si cita anche il già detto incarico come “Preside della Scuola Media-Liceo Dante Alighieri”. Dalle due precitate pubblicazioni di Patrizia de Capua e da questo volume a cura di Maria Teresa Aiolfi e Gabriella Cadeddu Costantini si può rilevare, per integrazione, la migliore e più completa bibliografia sinora pubblicata sia sulle opere scritte da don Cantoni, sia sulle opere scritte da altri sulla sua figura, sul suo pensiero, sui suoi insegnamenti e sulle sue realizzazioni pastorali. Da tenere presenti anche altri due testi riguardanti don Cantoni. Il primo è un “Ricordo di don Agostino Cantoni”. È pubblicato, con prefazioni di Tina Piarulli Olmo e di Patrizia de Capua, in appendice alla pubblicazione del Caffè Filosofico di Crema (Quaderno n. 7) nel 2009, dal titolo “Dialogo sulla morte fra uno psicoanalista, un filosofo e un sacerdote”, con autori Secondo Giacobbi, Patrizia de Capua e don Franco Manenti. Si ratta di scritti di don Cantoni messi a disposizione dai suoi familiari. Il secondo testo è la tesi di laurea in scienze politiche di Christian Albini presso l’Università degli Studi di Milano, dal titolo “La Chiesa italiana e il mutamento dell’identità comunitaria: il caso della parrocchia cittadina di San Giacomo”, anno accademico 1996/1997. Diverse sono le parti dedicate all’opera di don Agostino Cantoni e anche in tale testo è possibile rinvenire utili indicazioni bibliografiche sulla sua figura e sulle sue opere.
Nel volume 7 (anno 2004) della serie editoriale “Documenti dell’Archivio Storico Diocesano di Crema”, dedicato ai sacerdoti della nostra diocesi, su don Agostino Cantoni ci si limita a specificare, a proposito dei suoi titoli di studio e delle sue attività di docenza: “Laurea in Teologia e Filosofia. Professore all’Università Statale di Milano. Insegnante in Seminario” (p. 42). Seguono i suoi incarichi sacerdotali, sempre in estrema sintesi. Don Cantoni aveva ricevuto il suo primo incarico pastorale come cappellano di Santo Stefano Vairano, un’assegnazione durata fino al 1955. Era stato poi cappellano delle suore Ancelle della Carità. Tutto sommato, l’impressione generale è che tutta questa parte biografica riguardante gli studi e le docenze di don Cantoni, sin qui sinteticamente ripercorsa attraverso i testi redatti da Lasagni, de Capua, don Cappelli e, immagino, curata da don Giuseppe degli Agosti per il volume sui sacerdoti della diocesi di Crema, necessiti di approfondimenti, chiarificazioni e precisazioni di date e di incarichi. Ad esempio, correlando bene le date delle lauree, dei dottorati, delle abilitazioni all’insegnamento, così come altri elementi utili a definire meglio, anche in senso lineare progressivo cronologico, il percorso culturale e accademico svolto da don Cantoni, integrando le informazioni disponibili in un contesto biografico dotato di organicità e compiutezza.
Abbastanza documentato è invece il ruolo di don Cantoni come assistente spirituale della FUCI (Federazione Universitaria Cattolica Italiana). La FUCI a Crema si era costituita ufficialmente il 19 marzo 1942, anche se già dal 1941 operava in città. Assistente è don Vincenzo Franco, nipote e segretario del vescovo, che resta in carica fino al 1950. Sono figlio di una “fucina” della prima ora (allora mia madre era laureanda) e sono cresciuto tra parenti e amici di famiglia “fucini”, direi soprattutto “fucine” e “mariecristine”. Conosco quindi bene le vicende della FUCI e ho trovato nel libro del 1996 curato da Ada Cazzamalli, “Il sentiero della FUCI a Crema”, un testo molto valido. C’è pure uno scritto significativo del “fucino” Piero Pajardi, già presidente della Corte d’Appello di Milano e docente universitario, con cui ho sostenuto l’esame di diritto fallimentare in Cattolica. Don Cantoni è nominato assistente FUCI nel 1954, succedendo in questo ruolo a don Giovanni Bonomi. Riceve la nomina da Placido Maria Cambiaghi, vescovo da pochi mesi, che vuole rimettere in sesto la FUCI locale, dopo due anni di crisi e di blocco delle attività. Il vescovo sceglie la persona giusta. Il quasi trentenne nuovo assistente è amichevole, gioviale, intraprendente. È insomma l’opposto di certi preti austeri, burberi e ascetici di pacelliana memoria e iconografia. Don Cantoni rivitalizza e rilancia la FUCI cremasca e inizia a tessere quella rete di contatti, relazioni ed entrature personali che nel tempo lo porteranno a una notevole presa diretta sugli ambienti giovanili cittadini. Sarà sempre un suo tratto distintivo: uno scarso “potere di posizione” all’interno delle strutture territoriali diocesane (altri hanno maggiori riconoscimenti e carriere) e un elevato “potere di relazione”, soprattutto verso gli studenti.
Tutto alla FUCI sembra andare positivamente. Si veda il predetto testo curato da Ada Cazzamalli. Fino al 1968, il ruolo di don Cantoni è apprezzato sia dai giovani universitari cattolici associati, sia dalle strutture diocesane e dalla stampa cattolica locale, sia dal mondo culturale cremasco, cattolico o meno. Poi arriva il Sessantotto. Sulla vicenda dei due numeri del giornale “U”, pubblicati dalla FUCI cremasca il 10 maggio e il 10 luglio 1968, si è già scritto parecchio. Basti dire che quegli articoli fanno scalpore e sollevano un polverone. Don Cantoni era in quel momento ancora assistente spirituale “fucino”. Sarebbe interessante approfondire quale tipo di rapporto esistesse tra questo suo ruolo istituzionale ecclesiastico e quei testi pubblicati allora. Sono note le successive polemiche nel mondo cattolico “ufficiale” cremasco, con il botta e risposta tra gli autori di quelle esternazioni e il Nuovo Torrazzo. Significativi i due articoli del 18 maggio e del 1° giugno a firma del prof. Giovanni Bordo (che ho avuto l’onore di conoscere perché padre del mio migliore amico ai tempi del liceo). Per farla breve: quei “fucini” erano “scappati di mano” al loro assistente oppure avevano dato voce a contenuti da lui condivisi o persino suggeriti, ad esempio riguardo alla “nausea” per il “branco di masnadieri” al potere a Crema? Quanto scritto in proposito da don Cantoni e riportato alle pp. 62-65 del precitato volume sulla FUCI non chiarisce questo punto. Sono fatti che si inquadrano nella più generale e dibattuta tematica del “dissenso cattolico” cremasco, un fenomeno complesso e diversificato, che a sua volta si inscrive nell’ancor più ampia e controversa vicenda storica della contestazione giovanile a Crema, nel lustro che va dall’ottobre 1968, con le prime due assemblee studentesche dei licei cittadini, al settembre 1973, con l’ultima rappresentazione di Teatro Zero. Quelli successivi sono solo cascami di un fenomeno giunto ormai alla sua estinzione, dopo la chiusura del Collettivo e con la regimazione delle interpretazioni più devianti del post-conciliarismo cattolico da parte delle autorità ecclesiastiche. Sul tema del Sessantotto studentesco cremasco, mi permetto di riferirmi al mio articolo “Controvento” su Insula Fulcheria del 2020 (consultabile e scaricabile in rete) e al mio articolo del 1° settembre 2023 su Cremona Sera, sezione La Storia, “Il Sessantotto a Crema, nel cinquantesimo anniversario della sua fine”.
Sul “dissenso cattolico” a Crema abbondano i libri e gli articoli pubblicati nell’ultimo cinquantennio dall’editoria locale. Fa parte di questa produzione editoriale anche il filone narrativo sulla prevalenza delle “radici cattoliche” nella contestazione giovanile cremasca. È interessante questa operazione di postuma appropriazione (da capire quanto “debita”) del defunto fenomeno della nostra contestazione studentesca, un’operazione che ha i suoi testi di sostegno, i suoi autori di riferimento e, a monte, i suoi ambienti culturali (e anche politici) di provenienza. Chi allora ha assistito alle assemblee del Collettivo e alle rappresentazioni di Teatro Zero, chi in quegli anni ha letto i numeri del giornale del Collettivo e i volantini diffusi a Crema contro certi sacerdoti fa ovviamente fatica a credere alla prevalenza di certi apparati radicali, visti i frutti. Perché questi cenni alle “radici cattoliche”? Perché don Agostino Cantoni è stato tra gli iniziatori di questa tesi rievocativa, manifestandola sin dagli anni in cui l’esperienza delle agitazioni giovanili mosse dal neo-evangelismo sociale cremasco e da un certo guevarismo presbiteriale locale era stata da poco archiviata nelle classi scolastiche e nei circoli parrocchiali ed era cominciato il cosiddetto “riflusso”, a partire dalle presidenze e dalle curie.
Ovviamente le responsabilità di don Agostino Cantoni non erano quelle di chi non aveva saputo gestire in seminario i futuri militanti di Lotta Continua o i chierici da allontanare per palese incompatibilità con la dottrina cattolica, ancorché post-conciliare. Ma immagino che approvasse i colleghi sacerdoti che erano coinvolti con ruoli significativi in Mani Tese, nel Gruppo di Castelnuovo, nel Gruppo di Vaiano, nel Gruppo “Adesso” e nelle altre variegate realtà del “dissenso cattolico” cremasco. Però ricordo che tendeva a distinguersi e, di fatto, a tenere una certa distanza da determinate esperienze, per lo meno nelle loro declinazioni più foriere di derive giovanili demagogiche. Certo, era sinceramente ispirato ai valori conciliari, credeva nel rinnovamento della Chiesa, si impegnava fattivamente per un mondo migliore, per il bene della comunità, per la giustizia sociale, per l’aiuto agli ultimi, per la pace nel mondo. Ma il suo modello attitudinale non era quello dell’arruffagiovani. Era un ispiratore, un educatore che mirava, più che all’immediato, al domani. Aveva compreso l’importanza di motivare e formare i giovani per il loro futuro. E forse aveva anche capito che qualcuno era stato mandato allo sbaraglio. Perché a Crema quel clima di accesa e militante dissidenza cattolica, giustificata col passe-partout del post-conciliarismo, aveva ricevuto, se non proprio degli avalli espliciti, quanto meno dei segnali di benevolente tolleranza, diciamo così, “dall’alto”. Però questo è un punto molto delicato e controverso. E qui mi fermo.
Sull’insegnamento della religione da parte di don Cantoni al liceo Racchetti ci sono varie fonti scritte. Il testo di riferimento più noto è il predetto volume di Ilaria Lasagni del 2004. È un’opera che si basa sia su ricerche e considerazioni proprie dell’autrice, sia su interviste a soggetti presenti in quel liceo al tempo della presidenza di Ugo Palmieri. E si sa che un certo rilievo, a proposito del metodo delle interviste, assume anche la scelta degli intervistati. Come si è detto, don Cantoni resta in organico al liceo una decina d’anni. Com’era il suo rapporto con questa realtà scolastica? Scrive don Cantoni: “Essendo assistente spirituale degli universitari in diocesi, ritenni opportuno conoscere il tempo formativo adolescenziale e il liceo classico era allora il principale approdo all’università. Avevo nell’anima tutte le spinte innovative del Concilio, la libertà, una cultura incarnata, i segni dei tempi, e mi trovai di fronte una scuola di forte impronta intellettualistica. Mi sembrava che quegli studenti vivessero solo per lo studio, mettendo tra parentesi i problemi esistenziali” (p. 380). Devo dire che per me è un complimento. Ed ecco un paio di testimonianze di ex studentesse del Racchetti. La prima: “Negli anni del ginnasio e poi anche del liceo una presenza significativa è stata quella di don Agostino Cantoni, che sapeva stare con i ragazzi e aveva una grande apertura; più che altro si poneva non tanto come il tradizionale insegnante di religione, quanto piuttosto come colui che ci permetteva di discutere di problemi diversi, lasciandoci molto spazio. Ha avuto un ruolo fondamentale nel saper legare fra loro le persone nella classe e per consentire ad ognuno di esprimersi, tanto che è stata una presenza ricorrente anche successivamente, il punto di contatto un po’ di tutti” (p. 381). Nel libro c’è il nome dell’intervistata. La seconda: “Un altro insegnante che ha lasciato un segno non solo in me, ma in molti, è il professor Cantoni. Ricordo la prima lezione al ginnasio, ha stretto la mano a tutti, uno per uno, e da quel gesto ha ricavato informazioni sulla personalità di ciascuno studente. E poi, al termine dei cinque anni, ricordo, durante le sue ore di lezione, una specie di processo in cui ognuno di noi volontariamente si presentava come imputato e il resto della classe lo giudicava; sono uscite cose anche simpatiche tra di noi, di amicizia ma anche di critica, a volte severa, ma comunque utili” (ancora a p. 381). Nel libro c’è il nome dell’intervistata.
Quando al classico è arrivata l’ondata della contestazione studentesca, don Cantoni si è comportato in modo molto equilibrato e ha mantenuto nei confronti degli avvenimenti di quegli anni una posizione di equanimità personale e di imparzialità didattica verso tutti i suoi allievi. Credo che il suo cuore fosse con gli studenti contestatori. E che condividesse molte delle cose che si sentivano nelle assemblee e nei cortei, soprattutto quelle più socialmente giustificabili e non certo quelle ideologicamente più vagabonde, che pure abbondavano tra i milordini camuffati da rivoluzionari. Ma credo pure che il suo raziocinio gli consigliasse di muoversi al Racchetti con la dovuta attenzione. Le nostre strutture scolastiche non stavano andando allo sbando a causa di scioperi e picchetti ma stavano dimostrando una buona tenuta. Al classico don Cantoni non aveva nei consigli di classe colleghi che poi scendevano in piazza a gridare slogan col pugno chiuso. Non c’era una parte del corpo docente politicizzata e sindacalizzata con tessere PCI, CGIL Scuola, SISM-CISL e collegata alla Camera del Lavoro e a via Bacchetta. Il “Sessantotto degli studenti” non era alimentato e cavalcato dal “Sessantotto dei professori”. Da noi la polizia non doveva intervenire per sedare baraonde e parapiglia. Perché da noi il preside era Ugo Palmieri. Detto tutto.
So per certo che tra don Cantoni e il preside Palmieri esistevano una stima e un rispetto reciproci. Anche se gramscianamente non amava “gli indifferenti”, don Cantoni era un uomo avveduto e sapeva distinguere quelli che erano “indifferenti” a causa della propria torpidità e ignavia personale da quelli che erano solo “indifferenti” a un certo armamentario politico e a certe suppellettili ideologiche altrui, allora di moda. Pur tendendo spesso alla confidenzialità con gli studenti, don Cantoni non superava mai certi limiti. Era il tempo in cui taluni docenti invitavano i propri allievi a casa loro per fare propaganda politica, con la scusa di qualche chitarrata e bicchierata, foto di rito comprese. Niente di tutto ciò da parte del nostro professore di religione. Certo, io venivo da insegnanti di religione come don Antonio Piloni, allora coadiutore in Cattedrale del parroco don Angelo Madeo, quando alle elementari don Antonio ci faceva catechismo in parrocchia. E venivo dalle lezioni del mio insegnante di religione delle medie Vailati, don Zeno Bettoni. Chi li ha conosciuti mi capisce bene. Insomma, la religione per me era una cosa fatta da sacre scritture, comandamenti, sacramenti, virtù, peccati, preghiere e via dicendo. Non certo dalle tirate di padre Turoldo o dalle solfe di padre Lacca. Ma devo ammettere che don Cantoni è riuscito a farsi apprezzare persino da me. Doveva proprio essere un uomo del dialogo.
Sapeva esercitare nei confronti degli studenti del Racchetti una capacità dialettica non comune. Cercava di mettersi in sintonia con i soggetti più disparati per estrazione familiare, idee professate e connotati esistenziali. Era molto attento ai rapporti personali e trovava quasi sempre il modo per instaurarli, svilupparli e mantenerli. Ovviamente erano soprattutto i giovani sensibili alle tematiche religiose ad apprezzarlo e a restarne influenzati. In particolare erano coloro che, in quegli anni di cambiamento e spesso di sommovimento religioso, interpretavano il proprio essere cristiani in modo più innovativo, in chiave meno tradizionale e più sociale ed “evangelica”, quindi in maniera più libera rispetto alle impostazioni del precedente cattolicesimo preconciliare. In ogni caso, anche altri studenti lontani dai travagli che in quel tempo stava vivendo la Chiesa venivano influenzati dal suo modo di relazionarsi, di dialogare, di confrontarsi. Persino i giovani che allora professavano il loro marxismo-leninismo (e il loro maoismo, non dimentichiamolo). Oppure i giovani che, più semplicemente, stavano al loro posto di figli della borghesia cremasca, senza atteggiarsi a zapatisti come certi altri. Fatto sta che ancora oggi a Crema molti ex racchettiani provano verso la sua figura di sacerdote, intellettuale, maestro di vita e di pensiero una commossa riconoscenza. E spesso un senso di orfanità culturale e di privazione affettiva. Sono sentimenti destinati a crescere nel tempo. Don Agostino Cantoni ha influenzato buona parte della mia generazione, non solo quella passata dal Racchetti ma anche quella passata da altre scuole di Crema. Prima da vivo. E adesso, forse ancora di più, da morto.
Nel 1970, a quarantacinque anni, don Agostino Cantoni viene nominato parroco di San Giacomo. Termina il suo incarico al Racchetti con la maturità del 1972. Don Carlo Ghidelli, che gli succede nel 1971 come assistente spirituale FUCI, dall’anno scolastico 1970/71 è già in forza come insegnante di religione al classico e dal 1972/73 diventa il docente di riferimento per questa materia nelle classi successive. L’incarico parrocchiale comporta per don Cantoni un cambio di orizzonte notevole, rispetto alle sue precedenti esperienze umane e professionali. Non so se sia stata una sua scelta personale e quindi una sua richiesta formulata alle competenti autorità diocesane oppure se siano state queste ultime a prendere tale iniziativa. Non è un dettaglio. In ogni caso, nel suo nuovo ruolo di pastore di anime don Cantoni si farà apprezzare, oltre che come guida del suo gregge di fedeli, anche come promotore di iniziative sociali di assistenza e di aiuto ai bisognosi e ai disabili; come sostenitore dei diritti del terzo mondo e facilitatore di attività missionarie, specialmente in America latina; come cultore delle arti espressive, ad esempio il cinema e la fotografia; e soprattutto come valente intellettuale, teologo e filosofo. Resterà parroco per più di trent’anni, fino al 2001. Poi vivrà altri sette anni come “quiescente”, anche se la sua sarà una quiescenza molto attiva intellettualmente e operativamente.
Cito dal testo di don Luciano Cappelli, già richiamato in precedenza: “L’aria seminata dal Concilio gli trasmette una gran voglia di ‘fare comunità cristiana’, di vivere e scegliere insieme alla gente, di inventare stili alternativi di vita. Ecco la scelta di fare il parroco che lo porta a San Giacomo. Fa il suo ingresso in parrocchia il 4 ottobre 1970, festa di San Francesco d’Assisi, segno di uno stile di vita spoglio e semplice, linguaggio in sintonia con il popolo, sconfinata fiducia nella Provvidenza” (p. 52). Sin dall’inizio don Cantoni dimostra le sue doti di innovatore e di organizzatore. È molto solerte nel favorire le novità liturgiche introdotte dal Concilio e, anche sugli aspetti più propriamente rituali, si spinge all’avanguardia, a partire dalla celebrazione della messa. Credo che sia stato il primo parroco cittadino a introdurre nei servizi liturgici le “chierichette”, uno dei tanti segnali di attenzione da lui manifestati verso il mondo femminile, a favore di un cattolicesimo in cui la figura femminile abbia un ruolo sempre più rilevante. Inoltre, citando ancora don Cappelli, don Cantoni “inizia la storia dei gesti di carità e di condivisione concretizzando la scelta preferenziale degli ultimi, a cominciare dalle decime mensili (1971) e dalla gratuità dei servizi liturgico-sacramentali (1974)”.
Importante è anche la sua azione a supporto dei portatori di handicap. A Crema don Cantoni è uno dei maggiori promotori di iniziative, realizzazioni e soluzioni a favore dei disabili. È una scelta che avviene probabilmente anche grazie agli incontri con don Oreste Benzi e con l’associazione Papa Giovanni XXIII. L’apertura della prima casa famiglia avviene nel 1978 e la sede è in via Pesadori. L’anno successivo apre la casa famiglia di via Patrini. Una tappa rilevante in questo progressivo percorso di sostegno al mondo della disabilità è la costituzione, nel 1982, del Gruppo Handicap San Giacomo, del quale don Cantoni resterà presidente fino alla morte. Nell’arco di pochi anni questa organizzazione diventa nel nostro territorio uno dei principali gruppi di volontariato per l’handicap, mobilitando centinaia di giovani impegnati non solo nell’assistenza diretta ai soggetti disabili ma pure nel loro coinvolgimento in iniziative pubbliche come il carnevale cremasco e le bancarelle di Santa Lucia. Sono anche organizzate le cosiddette “vacanze di condivisione” e nel 1987 si svolge l’Anno di Volontariato Femminile. Un tema che sta particolarmente a cuore a don Cantoni è quello dell’inserimento lavorativo dei disabili. Nel 1984 viene allestito un laboratorio per la lavorazione della pelle. Nel 1990 viene fondata la cooperativa di solidarietà sociale “Il Glicine”.
Un altro campo d’azione di don Cantoni è quello dell’accoglienza degli stranieri nella comunità. Sono ospitate diverse famiglie e si facilitano i processi di adattamento e integrazione di questi stranieri. Vengono ad esempio ospitate: la famiglia Jovic-Ahmetovic nel 1977 (sono zingari, col padre in ospedale, il figlio maggiore in carcere, gli altri figli ancora in tenera età); la famiglia Dan nel 1980 (sono sei rifugiati politici cambogiani); la famiglia Meminaj nel 1991 (sono albanesi a cui si assegna la casa che la comunità ha ricevuto in eredità da Bianca Crivelli); il diciottenne serbo Miroslav nel 1997 (mutilato di guerra). Per don Cantoni sono tutti “inviati dalla Provvidenza”. Ospitare gli stranieri in difficoltà nella parrocchia di San Giacomo, ad esempio nella mansarda ristrutturata dell’oratorio o in abitazioni appositamente prese in affitto, è solo un aspetto della più generale vocazione di don Cantoni al terzomondismo e al sostegno missionario nei confronti di altre comunità del mondo, soprattutto in favore di quelle dell’America latina. Sono evidenti in lui i segni della “teologia della liberazione”, a favore dei popoli oppressi e contro lo sfruttamento neocolonialistico. Si tratta di un impegno molto deciso, portato avanti da don Cantoni sulla base di un’interpretazione del Vangelo che lo porta a sostenere fattivamente in Venezuela e in Guatemala don Erminio Nichetti e don Federico Bragonzi. Inoltre, a favore delle popolazioni del terzo mondo “oppresse dall’ingiustizia”, vengono organizzate delle raccolte fondi e si promuovono pubblicazioni che riescono ad avere in parrocchia una buona diffusione, come “America latina es tu hora”, mantenendo contatti frequenti con Enrico Fantoni, responsabile del centro missionario diocesano, e con altri missionari impegnati “a fianco dei poveri” e contro “le violenze dei potenti”. Questo impegno terzomondista diventa, col passare degli anni, un elemento fondamentale nel pensiero e nell’azione pastorale di don Cantoni.
Sono numerose le iniziative che vengono compiute da don Cantoni per il miglioramento della sua comunità. Diventa difficile, per motivi di spazio, citarle tutte e darne in questa sede debito conto. Basti qui ricordare anche i lavori di rimodernamento degli immobili finalizzati al servizio comune, come il nuovo oratorio “casa di tutti”, inaugurato nel 1990. Oppure il restauro esterno della chiesa parrocchiale, quello della “Madonna del Sangót”, quello della Cascina Emmaus al Castello di Ricengo. Don Cantoni è però un esempio di uomo impegnato sia nel pensiero che nell’azione. Mentre si occupa di ristrutturazioni edili e restauri immobiliari, continua a studiare, ricercare, scrivere, partecipare a incontri ed eventi culturali. È componente di numerose istituzioni e associazioni, molte delle quali religiose ma in parte anche non confessionali. Diventa membro della Fraternità Sacerdotale Jesus Caritas che aderisce alla spiritualità di Charles de Focauld. E nel 2000, pur non comparendo tra i fondatori, è tra i promotori della “Associazione degli ex Alunni del Liceo Ginnasio Alessandro Racchetti” di Crema. Don Cantoni non è un ex alunno del Racchetti ma del seminario vescovile di Crema. Però ha contribuito a ispirare la nascita di questa associazione.
Il suo gusto per l’arte e in particolare per le espressioni artistiche del cinema e della fotografia lo portano a organizzare in proposito conferenze, cineforum, mostre, incontri che sono rimasti nella memoria di molti cremaschi. Vittorio Dornetti dedica a don Cantoni un suo articolo di critica cinematografica (“Alla memoria di don Agostino Cantoni, un maestro per i cinefili”), contenuto nel volume di autori vari “Il grande cambiamento. Gli anni Sessanta a Crema e dintorni” del 2008 (pp. 267-269). In coda al suo testo, ci sono le testimonianze di Giorgio Carniti (pp. 280-281), di Carlo Alberto Sacchi (pp. 281-282) e di Armano Maccalli (pp. 282-283), che danno conto della rilevanza di don Cantoni in tale ambito. Anche l’arte fotografica è stata una passione di don Cantoni, che pure in questo campo è stato un attivatore di iniziative ed eventi. Dopo la sua morte, per onorare questa sua competenza, gli è stato dedicato un concorso fotografico e letterario annuale, che riscuote a Crema un notevole successo. L’anno prossimo questo concorso arriverà alla sua XV edizione. Gli elaborati saranno da presentare entro il prossimo 29 marzo e la premiazione si svolgerà il 10 maggio. Per le informazioni su questa edizione del concorso e su quelle precedenti si può consultare il sito web che è stato dedicato a don Cantoni, all’indirizzo www.donagostinocantoni.it.
Don Agostino Cantoni muore a Crema il 9 aprile 2008, pochi giorni dopo aver compiuto gli ottantatré anni. I suoi funerali si svolgono due giorni dopo, l’11 aprile. Viene portato dalla chiesa parrocchiale di San Giacomo alla Cattedrale di Crema per la cerimonia funebre. È poi inumato al cimitero maggiore, dove i suoi resti riposano nella tomba 25 del campo 8 D. Il 1° marzo 2025, al pomeriggio, per il ciclo del Sabato del Museo, si svolgerà un incontro per commemorare il centesimo anniversario della sua nascita, presso la sala Cremonesi del Museo Civico di Crema e del Cremasco. L’evento è organizzato dalla “Associazione degli ex Alunni del Liceo Ginnasio Alessandro Racchetti” di Crema. Dall’inizio del prossimo anno, saranno fornite maggiori informazioni sui relatori e sui contenuti degli interventi sul sito associativo, all’indirizzo www.exalunniracchetti.it.
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