Articolo Uno: ci vuole una novità
Articolo uno è un partito politico, una piccola comunità nata nel 2017 con un'idea: quella di costruire un campo progressista alternativo a una destra regressiva. Da quando ci siamo abbiamo cercato di esser un po’ il lievito di questo processo. Come ripete ormai da tempo Pier Luigi Bersani, uno dei leader insieme a Roberto Speranza di questo partito, serve una novità politica per tornare ad attirare quell’elettorato potenziale di centro sinistra che è demotivato e non partecipa da tempo alla competizione elettorale. Il PD da solo non basta, soprattutto alla luce delle posizioni “centriste” che negli ultimi anni ha assunto.
La destra poteva vincere senza problemi le ultime elezioni amministrative davanti a un centrosinistra in difficoltà, ma ha sbagliato diverse mosse, dalle candidature poco credibili alla gestione della campagna elettorale, basata soprattutto sulla concorrenza tra Salvini e Meloni che ha creato conflittualità e disunione nel loro stesso campo.
Il centrosinistra in diverse realtà si è presentato largo e plurale, in alleanza anche con il Movimento 5 Stelle, come a Bologna e Napoli ed ha vinto al primo turno.
Questi risultati ci hanno detto che la destra si può battere e che il centrosinistra se si organizza, senza più perdere tempo, può vincere anche le prossime elezioni politiche.
In questo momento nel mondo c’è una battuta d’arresto delle posizioni delle destre sovraniste identitarie nazionaliste; sono riuscite a interpretare e gestire gli esiti negativi della globalizzazione a loro favore, ma oggi non riescono a dare una prospettiva stabile alla loro posizione di rifiuto perché la interdipendenza delle economie ormai è diventata strutturale e la soluzione dei dazi doganali è funzionale solo alle grandi potenze economiche e all’uso politico delle loro guerre commerciali. Per i Paesi europei e, ovviamente, per l’Italia sarebbe un suicidio sociale prima che economico alzare muri, chiudersi dentro i confini di una antistorica e, oggi, immaginaria autarchia. Oggi le emergenze si risolvono lavorando assieme, dialogando e cooperando. Questo dovrebbe significare la ritrovata strategia internazionale del “multilateralismo” che auspichiamo venga adottato in tutte le dimensioni dei rapporti internazionali, anche sul terreno del divario tecnologico, dei diritti umani universali e del disarmo.
Solo così si sconfigge la pandemia da Covid, l’emergenza dei cambiamenti climatici, lo strapotere della finanza, le grandi multinazionali che evadono le tasse, il rischio di una nuova guerra fredda, etc.
In Italia, per raccogliere più consensi, le destre hanno cavalcato la protesta, utilizzando a sproposito il tema della libertà e si sono opposte, prima al lockdown, alle mascherine, alle chiusure serali; poi all’obbligo vaccinale e al green pass, facendo una speculazione politica su una pandemia e dimostrando grande irresponsabilità.
Allora qui si apre una finestra per una ripartenza della sinistra che bisogna saper sfruttare, partendo dalla buona gestione della pandemia e recuperando l’importanza dei beni comuni, a partire dalla sanità e dalla scuola pubblica, dal welfare da rilanciare al lavoro, dall’ambiente alla lotta alle diseguaglianze.
Non possiamo sottacere il preoccupante tasso di astensionismo verificatosi nelle ultime tornate elettorali e apparentemente in aumento rispetto al passato, spia di un malessere democratico da non sottovalutare. Questo fenomeno ha colpito di più l’elettorato dei Cinque stelle e della Lega, che hanno rappresentato una novità degli ultimi anni ma che hanno in gran parte deluso. Questo dato sull’astensionismo si regista anche nei diversi sondaggi, dove una grande fetta di elettorato è delusa, non sa rispondere e non si esprime; forse perché quella richiesta e quell’esigenza di una novità politica attraente rimane ancora inevasa. Dentro a quell’astensionismo c’è l’onda che all'ultimo potrà dare la sorpresa alle prossime elezioni.
Il Centrodestra in questo momento è più avanti nei sondaggi perché più riconoscibile nei suoi leaders: Salvini, Meloni e Berlusconi. Quell’elettorato ha convincimenti consolidati, convenienze precise, sa già per chi votare.
Purtroppo non si può dire altrettanto per il Centrosinistra, perché è evidente che il campo presenta disordine e confusione, al netto della nuova leadership di Enrico Letta, importante sì come segno di cambiamento rispetto al PD renziano, ma non sufficiente.
Ci vuole dunque una novità, quale? Noi crediamo che sia necessario riorganizzare il campo che chiamiamo di centrosinistra, un campo progressista, di una sinistra “larga e plurale” che riunisca, per ora in una federazione e più avanti speriamo in un nuovo partito, le varie anime presenti specie nei movimenti (vedi Sardine), nel mondo dell’associazionismo democratico, del volontariato, del mondo della cultura, dell’ambientalismo e così via, senza trascurare il ruolo fondamentale dei sindacati.
Sul programma da cosa partire? Dalla lotta ai cambiamenti climatici, dalla sfida di una transizione ecologica ed energetica che ci chiede il coraggio di modificare il nostro tipo di sviluppo e i nostri stili di vita; che ci chiede di superare la delega dei processi di decarbonizzazione alle sole logiche del mercato sia interno che su scala globale; che chiede un ritorno della politica e dello Stato nell’orientare queste scelte e liberarsi dalla subalternità al “paradigma tecnocratico globale” di cui parlano papa Francesco e numerosi scienziati ed economisti premi Nobel. Ripartiamo dagli esiti della globalizzazione da un lato e da quelli del salto tecnologico dall’altro, un salto che è in corso e che dura da 20 anni, paragonabile a quello che c’è stato a fine 800 inizio 900 con la grande industrializzazione. Questi due fattori, come successe allora, hanno portato a disuguaglianze parossistiche soprattutto nell’occidente sviluppato, disuguaglianze francamente non più accettabili e che viaggiano sulla disarticolazione di diversi sistemi: lavoro, sanità, scuola, sistema fiscale e tra i territori.
Sull’esito politico di questo processo, che auspichiamo e stimoliamo, se sarà un nuovo partito tipo “Ulivo due” o una federazione, lo si deciderà con chi ci starà durante il percorso ma dovrà assomigliare più alla coalizione del 1996 dell’Ulivo che non all’Unione del 2006, che è stata una grande ammucchiata di partiti, con un programma in cui c’era dentro di tutto, per accontentare un po’ tutti. No, dovremmo pensare e costruire una cosa ben diversa!
Nel contempo bisogna lavorare per una convergenza con il Movimento Cinque Stelle, portato a maturazione dal lavoro dall’ex presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e fare una alleanza strategica, problematica sì (come ogni alleanza), ma certamente fattibile e, a nostro giudizio, indispensabile se ancora crediamo nell’attualità e bontà della democrazia dell’alternanza, cioè di un campo progressista alternativo ad un campo conservatore. Questo movimento, che ha pescato in buona parte da un elettorato di centrosinistra deluso in particolare dal governo Renzi, porta avanti temi importanti in ambito sociale, di grande attenzione all’ambiente, di un maggiore e più incisivo ruolo dello Stato, in tema di giustizia, trasparenza e rigore delle pubbliche istituzioni e anche nelle aree eticamente sensibili, temi sui quali non è difficile trovare ampie convergenze. Peraltro anche la annunciata intenzione del Movimento 5 Stelle di aderire al Partito Socialista Europeo va in questa direzione.
E’ ora di finirla con la teoria del cosiddetto pensiero unico o nel creare distinzioni fittizie tra “populisti e pragmatisti”. Nel mondo esistono due campi, ben chiari e distinti, come si è vista ad esempio nelle recenti vicende degli Stati Uniti. Uno si chiama destra e uno si chiama sinistra. In Italia perché non si vuole questo? Il centro non esiste: crediamo che in questa idea di centro in realtà si nasconda una destra o comunque un’area fortemente conservatrice che tende al consociativismo e a mascherare la propria dipendenza dagli interessi economici e finanziari più consolidati.
Chi non crede nell’alleanza con il Movimento Cinque Stelle abbia l'onestà intellettuale di dichiarare con chi si vuole alleare e di dire chiaramente se ritiene accettabile un governo della Meloni o di Salvini.
Il PD che è il maggior partito del centrosinistra abbia il coraggio di aprire e svolgere un serio dibattito al suo interno perché è necessario che chiarisca una volta per tutte cosa vuole essere e dove vuole andare. E’ chiaro che dentro al PD c’è un pezzo che tiene ferma la riaggregazione delle sinistre e fa da sponda esplicita alla destra. Senza questo chiarimento tutto sarà più difficile e forse impossibile.
Letta ha fatto una chiamata per ricostruire il campo progressista, ma purtroppo senza questa chiarificazione di fondo. Le Agorà possono essere un primo passo, ma certo non sufficiente.
Articolo Uno le giudica interessanti ed è disposto a partecipare, ma discutendo di ogni tema venga concordato con pari dignità e senza sfuggire ai nodi di fondo irrisolti. Certo se il PD pensasse ancora di essere autosufficiente e decidesse, da solo, di fare la sintesi delle migliori proposte che usciranno dalle discussioni, non si andrà lontano.
Rinnovare e portare aria nuova dentro il PD è certo buona cosa, ma noi riteniamo necessaria una vera svolta, l’inizio di un nuovo cammino che comporti l’apertura alle altre e diverse forze politiche e civiche nonché ai diversi soggetti che nella società non fanno politica in modo diretto, ma che elaborano cultura e progetti e si riconoscono in una sinistra moderna e coraggiosa.
Solo aprendo una nuova stagione, che sappia coinvolgere nuove aree popolari, elaborazioni innovative e che torni a immaginare e costruire futuro, a coinvolgere energie e passioni, è possibile camminare e lavorare insieme, condividere ideali alti, addirittura vincere, ma soprattutto rigenerare partecipazione e democrazia!
Cremona, 10 novembre 2021
Francesco Ghelfi e Paolo Bodini a nome della Assemblea degli iscritti di Articolo Uno Cremona
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