Il PAF, la cultura come spettacolo e lo spettacolo come cultura
Alcune brevi considerazioni in merito alla recente edizione del PAF e all’idea di cultura che promuove. Il PAF, festival letterario-vetrina di titoli più o meno di successo, inseriti in una cornice di significazione che li legittimi (quest’anno il tema era quello dell’“identità”…), presentati dagli autori ‘in persona’, conferma quel distonico corto circuito che rende legittimo intendere la cultura come spettacolo e lo spettacolo come cultura. Due termini che il mercato ha legato a filo doppio per vendere i suoi prodotti nella subdola dimensione dell’intrattenimento. Ma la lettura è dimensione dell’intimo, dialogo interiore fra sé e l’autore e le sue rappresentazioni, condizione esclusiva, unica, personale, non condivisibile, che sfugge per sua natura alla massificazione. Pratica che richiede tempo, concentrazione, fatica anche, e che muove da un deliberato atto di fede nei confronti dell’autore, nella sua identità altra, anonima, fantasmatica: ad esempio, lo scrittore del libro coincide sempre con la persona che l’ha scritto? “Il vero piacere del romanzo è tutto nella scoperta di questa intimità paradossale: l’autore e io...”, ha scritto Daniel Pennac in “Come un romanzo” nel 1993. “La solitudine della scrittura che invoca la resurrezione del testo attraverso la mia voce muta e solitaria”.
Nella loro inappellabile requisitoria contro la “società dello spettacolo”, l’hanno detto bene Pasolini e Debord sin dalla fine degli anni Sessanta del secolo scorso. L’ha scritto in modo più accessibile ancora Pennac: “Prodotto di una società iperconsumistica, il libro è coccolato quasi quanto un pollo gonfiato agli ormoni e molto meno di un missile nucleare. Il pollo agli ormoni della crescita istantanea non è un paragone casuale se lo applichiamo al milione di libri “di circostanza” che vengono scritti in una settimana, con il pretesto che, quella settimana, la regina ha tirato le cuoia o il presidente ha perso il posto. Da questo punto di vista, quindi, il libro non è né più né meno che un oggetto di consumo, effimero come qualsiasi altro. Subito mandato al macero se “non funziona”, esso muore il più delle volte senza essere letto”.
Quando la cultura si fa spettacolo, mera rappresentazione, e il libro solo un prodotto da vendere, si rompe l’alchimia imperscrutabile del rapporto profondo tra lettore e scrittore, compressi nell’asfissiante logica del consumo, della contemplazione della realtà. Sempre Debord, fulminante, ha scritto: “Lo spettacolo è il capitale a un tal grado di accumulazione da divenire immagine”.
E’ triste che nel 2021 anche Cremona, sedicente città della cultura e dell’arte, perpetri questa idea antipopolare in cui tautologicamente il medium, tra un autografo e un selfie dello scrittore con i suoi fan, finisce per equivalere al messaggio.
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commenti
Marco Turati
20 giugno 2021 19:52
È triste soprattutto che un sedicente giornalista recensisca un Festival nel quale non ha messo piede una sola volta in 6 anni…
Luca Ferrari
21 giugno 2021 09:06
Constato con amarezza che ancora una volta quello che ti manca è lo stile, caro Turati, avvezzo da settario quale sei ad attacchi personali di dubbio gusto che mirano a delegittimare la persona e a non entrare nel merito delle sue idee. Idee che prescindono dal partecipare o meno al festival perché si limitano a criticarne le logiche di fondo (se hai inteso quanto ho scritto). D'altro canto, come ha cantato il grande Bob Dylan, "non hai bisogno di un metereologo per sapere da dove tira il vento"...
Michele Ginevra
21 giugno 2021 15:20
Caro Luca, entriamo nel merito delle tue idee: il tuo intervento non ha nulla a che vedere con il festival. I libri venduti e i relativi firmacopie non solo non hanno caratterizzato tutti gli eventi (che non sono solo letterari, tra l'altro...!), ma soprattutto non sono la ragione d'essere della manifestazione. La loro disponibilità fa piacere al pubblico che apprezza la possibilità di poterli acquistare in queste occasioni. Quindi... fai un discorso che può essere interessante da approfondire, ma che nulla c'entra con il Paf. Anzi... appare piuttosto surreale.
Luca Ferrari
22 giugno 2021 08:09
Surreale a me sembra la tua risposta, che anziché entrare come premette nel merito delle idee da me espresse, riafferma tautologicamente le ragioni del PAF sostenendo che quello che ho scritto non c'entra nulla.
Quello che noto e che mi dispiace, invece, è che tu e Turati sembra non abbiate argomenti solidi per difendere le vostre scelte. A questo punto avreste fatto meglio a ignorare la mia riflessione, dal momento che oltre alla idee sembra vi manchi anche la volontà al confronto.