19 aprile 2021

Emilio Caldara e i bambini di Vienna

La solidarietà non conosce confini, colori né ideologie. Ce lo insegna una bella storia di cent'anni fa, di cui furono protagonisti operai e contadini della nostra città. Nell'autunno del 1919 un sindaco di umili origini operaie, Emilio Caldara di Soresina, primo cittadino socialista di Milano, tese la mano agli ex nemici austriaci lanciando un progetto di accoglienza e fraternità destinato ad accantonare tutto l'odio maturato in quegli anni, prima che, nel giro di un lustro, il fascismo ne cancellasse con un colpo di spugna il ricordo.

I mesi che seguirono l'armistizio di Villa Giusti il 4 novembre 1918 fecero più vittime che la guerra stessa fra i bambini dell’Europa centrale. A causa del blocco economico la gente era ridotta alla fame e le malattie facevano strage tra i vinti. Prime ad accorgersi di questa situazione furono le donne inglesi che lanciarono una campagna di controinformazione costringendo a porre fine al blocco e a organizzare un’azione umanitaria di emergenza rivolta ai bambini dei paesi più colpiti dalla guerra, dando vita al Save the Children Fund . Anche da parte austriaca agli inizi di dicembre 1919 arrivano pressanti richieste di soccorsi per salvare un paese ormai prossimo al disastro e in Italia il dramma austriaco colpisce le coscienze e produce le prime iniziative locali di solidarietà. Cremona è tra le prime a rispondere.

La mattina del 10 dicembre l'Eco del Popolo pubblica l'appello sottoscritto da Antonino Campanozzi, segretario della Lega dei Comuni Socialisti; Ludovico D’Aragona, segretario della Confederazione Generale del Lavoro e Antonio Vergnanini, presidente della Lega Nazionale delle Cooperative: “Vienna, la suntuosa capitale dell'infranto impero, in cui la vita aveva raggiunto i più alti culmini della gioia e degli agi, oggi dolora e si accascia sotto il tormento delle più atroci privazioni, della fame. Le notizie che ci giungono sono sempre più sconfortanti; e fra esse assumono un sinistro colore di tragicità quelle intorno alle sofferenze di cui sono vittime le numerose turbe di fanciulli innocenti, ai quali la vita si schiude fu un'alba così fosca e piena di vergogna. Noi non sappiamo come meglio auspicare ad una sollecita era di pace e di lavoro che tutti invocano, ma che lo spirito sovverchiatore del capitalismo minaccia di allontanare sempre più se non chiamando queste piccole vittime della ferocia umana a propiziare la fine di ogni contesa e facendoli, essi, i figli dei «vinti», segno della pietà e della sollecitudine dei «vincitori» soddisfacendo in un augusto atto di solidarietà l'ardente bisogno di giustizia e fratellanza che tormenta le masse lavoratrici di tutto il mondo”.

Primo ad accogliere l'appello è Giuseppe Garibotti che, per conto del consiglio di amministrazione dell'Ospedale, mette a disposizione dei bambini viennesi fino a maggio 1920 l'ospizio di Cesenatico. L'11 dicembre il sindaco Caldara convoca a Milano i rappresentanti delle amministrazioni socialiste dell'Alta Italia. Per Cremona è presente il maestro Giuseppe Sasdelli, presidente della Congregazione di Carità, ma ci sono anche i rappresentanti di Bologna, Reggio Emilia, Alessandria, Busto Arsizio, Novara e Codogno. Le camere del lavoro, le cooperative, le leghe di resistenza del Piemonte e dell'Emilia chiedono di potere assistere centinaia e centinaia di bimbi. Si decide che a Cremona ne toccheranno almeno un centinaio e subito si mette in moto la macchina della solidarietà, con una prima sottoscrizione: “In ogni famiglia i bambini dei proletari con 20 centesimi attestino ai piccoli fratelli austriaci la solidarietà civile ed umana dell'Italia lavoratrice. I maestri e le maestre socialiste compiano questo loro dovere altamente morale ed educativo”. I primi fondi, 50 lire, vengono raccolti con una festa danzante organizzata dalla cooperativa “Fratellanza sociale” nei locali dell'asilo Martini. In attesa che anche il livello centrale del Partito socialista si muova, Caldara si organizza da solo. Lui e i due sindaci di Bologna e Reggio Emilia chiedono al Governo di fornire loro dei treni per potersi recare in Austria, dove la mancanza di carbone blocca la circolazione ferroviaria. I treni all’andata avrebbero caricato i generi alimentari e di soccorso raccolti e al rientro avrebbero accompagnato a svernare in Italia un primo numero di bambini. Ottenuti i treni, sindaci e assessori, medici, educatrici e funzionari a fine dicembre partirono per Vienna. Mentre il 23 dicembre del 1919 verso le 7 parte da Milano il primo treno carico di risorse alimentari, munito di cucina da campo, con a bordo medici e infermieri, con lo scopo di trasferire nella città lombarda i primi bambini, il presidente del comitato di Cremona, il sindaco Attilio Botti organizza l'accoglienza: “Nelle scuole dei comuni socialisti le amministrazioni devono far circolare schede di sottoscrizione raccogliendo in esse le piccole offerte dei bimbi. Negli altri paesi ove l'opposizione dei maestri o delle autorità impediscono le sottoscrizioni nelle scuole, le organizzazioni economiche raccoglieranno esse stesse le offerte in nome dei piccoli figli dei lavoratori. Le cooperative e le Leghe devono subito costituire i comitati per la raccolta dei fondi pro bambini Viennesi. Più bella occasione per manifestare la nostra fede internazionalista non potremmo desiderare. Le somme raccolte devono essere spedite al Sindaco del Comune di Cremona, Presidente del Comitato pro bambini Viennesi”.

l comitato cremonese è costituito dal sindaco Attilio Botti, dal sindaco di Duemiglia Attilio Boldori, dal presidente dell'Ospedale maggiore Giuseppe Garibotti, dal presidente della Congregazione di Carità Giuseppe Sasdelli, dal presidente degli Asili infantili Dante Fornari, dal presidente del Patronato scolastico Costantino Superti, da Ernesto Caporali per la Camera del Lavoro, Giuseppe Chiappari per la Federazione provinciale Socialista, Silvio Barbieri per il Circolo socialista di Cremona, dalle maestre Luigina Vailati, Luigina Belli e Maria Masseroni e dagli avvocati Giuseppe Morelli e Ermegildo Ferrari. Sul primo treno, arrivato a Milano il 28 dicembre, salgono 443 ragazzi, di cui 281 maschi e 162 femmine, tutti tra i 6 e 12 anni; di questi ne vengono scartati cinque affetti da morbillo e tonsillite, uno da congiuntivite e uno da tignatricofitosi. Una volta arrivati a Milano i convogli proseguono diretti in Riviera Ligure, dove i piccoli viennesi trovano alloggio presso diverse colonie climatiche; accolti a Porto Maurizio dalle Colonie Balneari Permanenti del comune di Milano, a Pietra Ligure dal Comitato Colonie Balneari, a Loano dalle Colonie del comune di Busto Arsizio, a Spotorno dalla Colonia Climatica del Pio Istituto Santa Corona. Con due spedizioni successive verranno accolti nel Nord Italia oltre 2000 bambini tra i quattro e i dodici anni, ospitati per un periodo di quattro mesi negli istituti per minori, nelle colonie climatiche liguri e sui laghi lombardi.

Bisogna attendere il 12 gennaio 1920 per festeggiare l'arrivo dei bambini viennesi destinati a Cremona, saliti sul secondo convoglio partito da Milano il 3 gennaio. A differenza della prima spedizione, i bambini, che sono stati selezionati dalle associazioni benefiche locali Kinderfreund, vengono visitati dai medici italiani presso le loro abitazioni, in particolare nei quartieri operai. E' un lunedì mattina quando i due sindaci di Cremona e Duemiglia si recano a Milano, dove la Società Umanitaria ha prestato le prime cure ai piccoli viennesi. “I piccoli bimbi che non avevano visti gli aranci e che da anni soffrivano la fame – racconta L'eco del Popolo del 14 gennaio 1920 – alla prova di tanta solidarietà assunsero un atteggiamento gaio che apparentemente diminuiva le impronte delle sofferenze patite. I milleduecento bambini furono distribuiti nelle diverse plaghe. I più denutriti furono mandati in riviera, gli altri in parte ad Alessandria, a Novara, a Codogno, ecc., a Cremona ne vennero assegnati centocinquanta. Noi, che assistemmo i bimbi nel breve viaggio fummo tempestati di domande e di schiarimenti e il nostro interprete traduceva tutto quello che l'animo nostro sentiva in quel momento. Poveri bimbi. Per un concetto antiquato e millenario i vostri padri e noi fummo ferocemente contro, terribilmente cannibali in nome di una patria. Ma la risultante della guerra ha rimesso alla luce del sole la bellezza del nostro ideale socialista che non vuole più carneficine, e nei visetti scarni e vispi noi vedevamo la speranza dell'immediato realizzarsi della nostra idea. Non preparammo e non volemmo preparare manifestazioni al loro arrivo. La popolazione di Cavatigozzi però intervenne a far ala alla lunga sfilata della colonna dei disgraziati. Nell'ampio locale di Cavatigozzi i bimbi trovarono abbondante ristoro e accoglienza festosa. Alla vista della tavola bianca degnamente ricca di viveri, di latte e di frutta, i bambini esultarono ringraziando colle loro voci diventate gaie il benefattore loro. E i bimbi sapranno a giorni che il benefattore è il Partito Socialista. Sì, o compagni di sventura, il socialismo darà a voi ristoro e conforto e voi tornando alle vostre case porterete belle vostre famiglie il palpito di un ideale che non conosce confini. Così noi iniziamo tangibilmente l'internazionale ed affratelliamo gli uomini di tutto il mondo”.

Anche molte famiglie si offrono per ospitare i bambini, ma il comitato è costretto al diniego perchè sarebbe impossibile in questo modo garantire ai bimbi l'istruzione necessaria per la difficoltà della lingua. Tra le condizioni poste dal sindaco Caldara, infatti, c'era quella che i ragazzi non avrebbero interrotto la frequenza scolastica, potendo seguire corsi scolastici impostati secondo il modello austriaco tenuti da educatrici austriache. Ciò, evidenziava il sindaco di Milano, avrebbe garantito il rispetto della diversità culturale e linguistica, senza nessun recondito intento di “italianizzazione”.

La sottoscrizione indetta fra gli alunni delle scuole vede il contributo di oltre tremila bambini cremonesi, a Solarolo Rainerio si tiene una grandiosa veglia di beneficenza, che non manca di dare spazio alla polemica: “Anche il prete ha voluto dir la sua per questa festa nostra – scrive l'Eco del Popolo – Egli disse dal pergamo che ci vuole altro che fare delle feste pro bambini viennesi, sono i conti che vogliamo vedere egli disse”. Ed i conti parlano chiaro: sono state raccolte circa 7000 lire; oltre che da numerosi privati e cooperative le offerte sono giunte anche dalle Lega spazzini comunali, dalle alunne del convitto femminile comunale, dalle scuole elementari di Spinadesco, dagli alunni delle elementari di S. Ambrogio, del Centro scolastico di via Cannone, della Villetta e del Boschetto, di Gerre Borghi dagli insegnanti del Decia, del Centro Alfeno Varo e passeggio, del Centro Cannone e Palestro, dagli infermieri, suore medici del Manicomio, dalla parrocchia di Cavatigozzi.

Nel frattempo giungono richieste di aiuto anche dalla zone di guerra dove si è svolta l'ultima battaglia, e la giunta municipale decide di dare assistenza ad altri trenta bambini provenienti dal basso Piave, che verranno alloggiati anch'essi a Cavatigozzi. Mentre la colletta per i bambini viennesi arriva a 16.000 lire, si inizia una nuova raccolta di fondi per i bimbi trevigiani. Vi partecipano cooperative, contadini, operai, scolari ma anche imprenditori e la stessa Banca Popolare. I bambini del Piave arrivano la mattina del 27 febbraio, accompagnati dalla signora Maccagni, sorella del farmacista Carlo Maccagni da tempo residente a Treviso, e vengono accolti al circolo Ferrovieri dove il Ristorante Economico offre pane e latte. Vengono visitati dal dottor Achille Girelli, poi caricati su due omnibus e portati a Cavatigozzi. Ci si rende facilmente conto che quattro mesi di soggiorno non saranno sufficienti ad alleggerire la loro situazione: le case nella zona del Piave sono state distrutte o diroccate dalle artiglierie e sarebbero costretti a trascorrere un altro inverno in baracche prive di riscaldamento. Ogni bambino costerà almeno 3 lire al giorno e per i trenta piccoli ospiti serviranno almeno altre 30 mila lire.

La sera del 2 marzo giunge a Cremona il vice borgomastro di Vienna Max Winter, che sta visitando uno per uno i comuni dove sono alloggiati i piccoli ospiti austriaci. Arriva in auto da Mantova, dove sono stati accolti 275 bimbi, viene ricevuto in comune dal sindaco Botti, da Garibotti e da una rappresentanza della commissione di assistenza per i fanciulli viennesi. Poi si reca a Cavatigozzi per visitare i piccoli ospiti. Ad accoglierlo, un ragazzo viennese, Alois Wagner, l'unico di cui ci sia rimasto il nome: “La letizia di questo giorno fortunato – sono le parole da lui pronunciate che riferisce l'Eco del Popolo, probabilmente scritte da qualche maestra– di questa Sua amabile visita, rimarrà incancellabile in ogni nostro cuore, come indimenticabile rimarrà per tutti noi il giorno del nostro arrivo in questo lembo ospitale d'Italia, dove tutti ci amano, dove sono persone che noi amiamo e che ameremo sempre come più cari fratelli”. Il giorno dopo Winter riparte per Codogno

Il 21 maggio partono dalla stazione di Milano gli ultimi due treni che riportano i bambini dalle loro famiglie in Austria. Il Sindaco Caldara accompagna a casa la gran parte dei piccoli che avevano soggiornato nel nord Italia. Solo per quattro di loro le cure climatiche non hanno avuto effetto effetto. Al loro ritorno i ragazzini e le autorità italiane vengono accolti dal vice borgomastro Winter, a dimostrazione della piena riuscita operazione umanitaria e della ritrovata pace dei due popoli. Emilio Caldara dichiarerà infatti durante il pranzo offerto dal Sindaco di Milano alla stampa viennese: “Una promessa, che sia sopra tutti i partiti: che nessuno più di fronte ad un bambino debba pronunciare una parola di odio contro un altro popolo”. (Arbeiter Zeitung, 27 maggio 1920). Qualche anno dopo, nel 1924, così ricordava Caldara quell'esperienza:”La guerra, con tutti i suoi dolori e i suoi orrori, con l'atmosfera di odio che ne è causa ed effetto ad un tempo, con l'avvelenamento quotidiano dei nostri sentimenti e di ogni loro espressione, ci fece sentire tutta la profonda verità dell'insegnamento di Cristo, per cui i bambini devono essere oggetto di esempio e quasi di culto”(E. Caldara, Impressioni di un sindaco di guerra, Milano 1924)

Fabrizio Loffi


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