30 marzo 2021

Matteo Moro, il medico cremonese che scoprì l'aspirina

Gli effetti dell'acido salicilico, da cui si ottiene l'aspirina, sono noti da tempo. Erodoto, nelle sue “Storie” parla di un popolo stranamente più resistente degli altri alle comuni malattie, che usa masticare le foglie di salice. Ippocrate, il padre della medicina moderna, descrive nel V secolo una polvere amara estratta dalla corteccia del salice, utile per alleviare il dolore ed abbassare la febbre. Lo stesso rimedio viene citato dai sumeri, dagli egizi e dagli assiri, ma era conosciuto anche dai nativi americani che lo usavano per curare il mal di testa, la febbre, i dolori muscolari. E' stato il reverendo Edward Stone, nel 1757, a scoprire gli effetti benefici della corteccia del salice, da lui assaggiata, e sei anni dopo, in una lettera inviata alla Royal Society, a giustificarne l'utilizzo contro le febbri. Ma, prima che nel 1828 Johann Buchner isolasse in cristalli la sostanza attiva dell'estratto di corteccia del salice bianco, fu un medico cremonese a suggerirne l'uso di massa per combattere gli effetti delle forme di raffreddamento tra i contadini, dopo averne sperimentati gli effetti su se stesso. Il medico si chiamava Matteo Moro e di lui è rimasto il ricordo per essere stato l'inventore, qualche anno prima, di una particolare seggiola ostetricia destinata alle partorienti. Curiosamente, però, Francesco Robolotti, medico lui stesso, ed autore di una storia della medicina cremonese, non lo ricorda tra i medici illustri suoi contemporanei, limitandosi ad annotare che un suo opuscolo venne rintracciato tra le carte del dottor Giambattista Rasori, di Barzaniga. 
Matteo Moro suggerì la cura con l'acido salicilico in una lettera inviata alla “Gazzetta di Cremona” dei fratelli Manini, il 22 luglio 1816 a pag. 240: Eccone il testo:  Il dott. Moro Medico Chirurgo, già conosciuto per le di lui produzioni stampate in Milano, membro di diverse accademie, s'affretta di manifestare quanto segue.
Le osservazioni in medicina, quanto più sono semplici, altrettanto sono pregievoli. Una delle piante comunissime a rinvenirsi nelle Provincie della Lombardia si è il Salice, o Salcio (Salix alba, fragilis, pentandra Linnei). Tre sono le specie di salice che servono al medesimo scopo, e poco diversificano fra loro nell'azione medica. Il Salice in genere è conosciuto anche dal più idiota de' contadini avendolo tutto di sott'occhio, coronando per lo più i loro campi. Questa pianta indigena è considerata febbrifuga per sapore amaro, stittico, balsamico della sua corteccia, specialmente ne' suoi rami. Questo succedaneo alla China-China si è rescritto in decozione, facendo bollire nell'acqua la corteccia di detta pianta, ed in altri modi: ma parlando dei contadini, talvolta pressati dalle facende della campagna, non trovano il tempo di fare con esattezza questa bollitura decozione, colatura ecc., per cui al loro solito trascurano ogni utile mezzo e si riducono gravemente infermi.
Il dott. Moro nel 1815 fu travagliato da febbre intermittente di tipo terzana, prese alquante once di china, e la febbre dopo un certo periodo di tempo, gli ritornava. Dovendo per la di lui pubblica delegazione visitare i suoi ammalati, alla mattina montava a cavallo, e nel suo gire pigliava de' ramicelli di salice, e masticandone questa corteccia ed inghiottendone la scialiva, provò in effetto che più oltre non sentì la febbre, e che tanti contadini soggetti alla febbre terzana consigliati da lui a far uso di quella corteccia nello stesso modo, comodissima per loro da aversi, e potendola masticare anche nel tempo che travagliano in campagna, specialmente alla mattina a digiuno si preservavano dalla recidiva di detta terzana.
Questa semplicissima osservazione può essere di grand'utile pei nostri contadini, tanto più nella stagion presente, dove in alcune province lombarde dominano molte febbri del suindicato carattere. Posta anche la necessità di dover con giudizio del Medico arrestare colla China China, od altro farmaco, certe febbri intermittenti, per la loro intensità e carattere perniciose, sarà sempre cosa utile e vantaggiosa ai nostri contadini, che loro sia nota l'azione febbrifuga di un semplice che tutto di hanno sott'occhio, e il facile metodo di adoperarlo per impedire la recidiva della terzana.
Quanti uomini di campagna non andrebbero soggetti alle coliche, alle dissenterie, al tenesmo etc. se trovandosi sull'aja con al verga in mano battere i loro raccolti, facessero uso della suddetta corteccia per masticazione! Essi per moto e pel calore estivo non soffrirebbero questa sete inestinguibile che di sovente li obbliga a bere in gran copia dell'acqua, e bevendone anche sarebbe corretta da quel succo amaro, balsamico, corroborante che ne impedirebbe i tristi effetti.
S'affretta l'osservatore, affinchè stante le attuali contingenze ciò sia reso a pubblica notizia in bene dell'umanità. Da Cremona, lì 12 luglio 1816.
Fisico D.G. Matteo Moro, Medico chirurgo maggiore”
Fabrizio Loffi


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