15 aprile 2021

Quel violino dell'economista Federico Caffè

Alle 5:30 di mercoledì 15 aprile del 1987 Federico Caffè, economista ed accademico, usciva dalla sua casa sulla Balduina, a Monte Mario a Roma, e spariva nel nulla. Non è stato più ritrovato. Alla Facoltà di Economia dell’Università La Sapienza di Roma si conservano ancora la sua libreria e la sua scrivania ad imperitura memoria di colui che, ancora oggi, è ritenuto tra i pensatori italiani più influenti e brillanti della sua generazione, maestro, tra gli altri, dell’ex Presidente della Banca Centrale Europea ed attuale Presidente del Consiglio dei Ministri Mario Draghi.

Federico Caffè era nato a Castellammare Adriatico (Pescara) il 6 gennaio 1914, figlio di una famiglia di modeste condizioni economiche: il padre Vincenzo era impiegato nelle ferrovie, la madre Erminia era ricamatrice. Si era laureato con lode alla Sapienza in Scienze Economiche e Commerciali. Allievo di Guglielmo Masci e Gustavo Del Vecchio, studiò alla London School of Economics e lavorò alla Banca d’Italia, prima di insegnare all’Università. Fu anche attivo nell’editoria e nel giornalismo, soprattutto per Il Messaggero e Il Manifesto. Da sempre attento al tema del welfare, era un divulgatore del pensiero degli economisti svedesi e profondo conoscitore delle politiche di John Maynard Keynes: fu definito “il più keynesiano degli economisti italiani”. Oltre all’economia Caffè coltivò, fin da piccolo, lo studio della musica che entrò nella sua formazione promuovendo la sua creatività e l’affermazione della personalità. La musica rappresentò per Caffè uno degli elementi di forte integrazione sociale, a dispetto dell’umile provenienza familiare: la madre Erminia dovette vendere un podere di famiglia per consentire al giovane Federico di studiare alla Sapienza di Roma e questi, una volta terminati gli studi ed ottenuto il primo incarico, lo volle riacquistare in segno di profonda gratitudine e riconoscenza familiare.

Nel volume di Ermanno Rea (L’ultima lezione. La solitudine di Federico Caffè scomparso e mai più ritrovato, Einaudi, Torino 1992 p. 103) si legge: “Caffè amava il bel canto tanto quanto amava la grande orchestra con i suoi fragori e la musica da camera con le sue piccole trame, i suoi dialoghi e battibecchi tra gli strumenti. Viveva la musica come vocazione, più che come cultura: era modo di essere, temperamento”.

Chissà quanto le sue riflessioni in campo economico siano debitrici del mondo musicale? E quanto del suo spirito profondo si sia modellato tra le note? La sua celebre frase “Al posto degli uomini abbiamo sostituito i numeri e alla compassione nei confronti delle sofferenze umane abbiamo sostituito l’assillo dei riequilibri contabili” cela, forse, significati ancor più profondi – che si ritrovano in molte opere musicali – quali la lotta tra bene e male, il trionfo degli ideali di libertà-tolleranza-fratellanza universale, l’obbligo universale di alleviare la sofferenza dell’altro ed assicurare uguale dignità e rispetto dei diritti di tutti gli esseri umani. A tal proposito ci fornisce ancora qualche spunto di riflessione Ermanno Rea che, nel citato volume, parlando di Federico Caffè afferma: “Generalmente poco incline alla divagazione e alle parole superflue, faceva una qualche eccezione se era in argomento la musica; quando poi l’interlocutore era all’altezza del compito, poteva anche succedere che si lasciasse andare a una lunga disquisizione sul modo in cui era stata interpretata una certa sinfonia. Né si intendeva soltanto di musica colta. La musica era per lui o bella o brutta. I Beatles, per esempio, avevano scritto bella musica: era in grado di fischiettarla, così come era in grado di fischiettare Il Flauto Magico, da cima a fondo.”

Molti, forse, non sanno che Federico Caffè iniziò giovanissimo a studiare il violino che gli aveva regalato lo zio Antonio che gestiva un cinematografo, l’Excelsior di Pescara, nel quale il giovane Federico lavorava vendendo i biglietti e curandone la contabilità. Le incertezze economiche non consentirono a Federico Caffè di proseguire gli studi musicali e fu avviato alla più sicura carriera di economista avendo tuttavia assimilato il rispetto e l’amore per la cultura letteraria e musicale. Piegato dalla contingenza, abbandonerà lo studio del violino ma non quello della musica che ascoltava durante la correzione delle tesi, che fischiettava quando era di buon umore e che proponeva, per gioco, sotto forma di quiz musicali agli amici e ai familiari (DO-LA-FA-FA-MI è la traduzione moderna di C A F F E in notazione alfabetica alla quale si fanno corrispondere i suoni della scala A=LA; B= SI; C=DO; D=RE F=FA ecc.). Caffè fu certamente sostenuto dalla musica più di quanto si pensi e, forse, in un certo qual modo, da essa fu anche ispirato quando districava e riannodava con grande perizia le reti tessute dal suo pensiero economico. Purtroppo tanto del violino quanto dell’illustre possessore, musicofilo ed economista, si sono perse le tracce trentaquattro anni fa…

Fabio Perrone


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