Stefano Nava da Crema al Sant'Orsola di Bologna
“Resto ottimista. A due condizioni: vaccinare, chiunque e ovunque. E poi non abbassare la guardia, evitando di lanciare messaggi contraddittori. Come è avvenuto con la follia di questa estate, quando si è creato un precedente che purtroppo ha fatto scuola”. A dirlo è il professor Stefano Nava, capo dei reparti di Pneumologia e Terapia sub-terapia intensiva del Policlinico Sant’Orsola di Bologna. Nato a Crema, sposato, studi a Pavia, Boston e Montreal, 64 anni, da dieci alla direzione dei reparti di Pneumologia e Terapia sub-terapia intensiva dell’ospedale al centro della zona più colpita dalla terza ondata della pandemia. Ogni giorno si becca insulti di ogni genere da chi si ostina ancora oggi a negare l’esistenza del virus: “Come si avessi voluto porre un marchio di infamia sulla collettività - racconta in un‘intervista al Corriere - Per il resto, ho tutti e 34 i posti letto occupati da pazienti Covid. E intanto ho dovuto ‘rubare’ un piano ad altri colleghi. Esattamente come un anno fa”. “Ne sappiamo ancora poco di questa malattia. E non abbiamo trovato ancora una buona cura. Questo ha confuso la popolazione, anche perché intanto siamo stati sommersi dalle dichiarazioni di miei colleghi che si presentavano in televisione con la verità in tasca”. Nava ricorda il senso di profonda angoscia di un anno fa, la scoperta di aver contratto la malattia, di trovarsi dall’altra parte della barricata: “A metà marzo chiamai una mia amica psichiatra a Pavia, perché mi sentivo addosso un senso incombente di morte. Mi sembrava di essere travolto da questo male. Provavo angoscia. Non mi era mai capitato di provare sensazioni così disperanti. Il 21 marzo mi ammalai. Lavorando in corsia, oppure in riunione. L’assedio era cominciato anche qui a Bologna, e non uscivo più dall’ospedale”. Nava racconta della propria paura, del senso di impotenza, della sconfitta, della difficoltà di una diagnosi certa e di come si è modificata la pandemia: “Oggi il malato ti scappa in un tempo molto più veloce. Un giorno ha parametri da dimissione, quello seguente viene intubato. Nella primavera del 2020 c’erano focolai più grandi. Adesso invece abbiano tantissimi cluster familiari. E a causa delle varianti, un’età media più bassa di 20-19 anni”. E poi “c’è stato quell’intervallo estivo di apparente illusione. Con il senno di poi, un errore esiziale. Da non ripetere, ad ogni costo”.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
commenti