16 febbraio 2021

Tonino Guerra, il dottor Strocchi e la farfalla del lager

Centoun anni fa nasceva in Romagna Tonino Guerra, poeta e scrittore, famoso per aver sceneggiato alcuni film del suo conterraneo e coetaneo Federico Fellini. Che Tonino fosse “originale”, lo si capisce già dalle note biografiche su internet: «Antonio “Tonino” Guerra. Poeta, nato martedì 16 marzo 1920 a Santarcangelo di Romagna (Italia), morto mercoledì 21 marzo 2012 a Santarcangelo di Romagna (Italia)» Alzi la mano chi di voi ha mai letto il giorno della settimana di nascita e scomparsa di un personaggio famoso.

Singolare, Guerra, lo era anche nel raccontare, ad esempio, la sua cattura, il 5 agosto del 1944: «I fascisti mi hanno preso a Santarcangelo… ero uscito per dare da mangiare al gatto. Mi hanno portato a Forlì, tra gli altri prigionieri romagnoli c’era anche Strocchi. Ci hanno gettato su un treno merci, in mezzo ai cavoli: non c’era molta tristezza tra noi, era convinzione che la guerra fosse finita e che questo fosse l’ultimo scherzo che potesse farci il destino. Sul treno pensavamo che gli americani ci avrebbero liberati; invece siamo arrivati al campo di concentramento di Troisdorf».

E qui si legge, per la prima volta, il nome del più caro compagno di Tonino nel Lager: il dottor Gioacchino Strocchi. Fu lui a convincere il giovane a scrivere. E a scrivere poesie: «Tonino, dietro mio incitamento, si è messo a lavorare di gran lena: scrive poesie d’ispirazione paesana e familiare. Peccato che le scriva nel dialetto del suo paese, così aperto! La variante più sgraziata dei dialetti romagnoli. Mi legge la sua poesia la sera dopo cena (lo stomaco non è mai gravato da troppo cibo e permette al cervello di lavorare benissimo a qualsiasi ora). […] In tutte le poesie di Tonino trovo qualcosa da criticare. Egli non se la prende. Sa che lo piglio sul serio e, dopo le nostre discussioni, a volte molto vivaci, corregge, modifica, rifà da capo. Il suo stile è impressionistico. I concetti si susseguono legati da un filo tenuissimo e si presentano al lettore con balzi improvvisi e arditi. Non ha una preparazione molto solida e la sua mente è alquanto disordinata, ma è cervellaccio che promette bene». Eccome se prometteva bene Tonino, che riconosce, già famoso, il ruolo del medico-mentore: «Ho cominciato a scrivere poesie in quel periodo, aiutato da Strocchi, che amava queste mie poesie che raccontavo ai prigionieri. […] I compagni di prigionia mi chiedevano di raccontare qualche cosa la sera, per tenere compagnia, e siccome per gran parte capivano bene il dialetto, ecco che io ho inventato alcune poesie, che il dottore trascriveva su un quaderno che ha poi portato con sé in Italia. In seguito quel quaderno è capitato in mano a un altro prigioniero, un riminese morto da poco. Suonava il violino, era una persona bellissima. Due anni prima di morire, fu colpito da un ictus e non parlò quasi più. Quando riusciva a dire qualche parola, erano i versi delle mie poesie del campo di concentramento, quelle che Strocchi aveva conservato».

Nel febbraio del ’45 Tonino Guerra viene trasferito nel Lager di Siesburg e non rivedrà più il dottor Strocchi, cui invierà, però, una copia del libro che pubblicò a sue spese, una volta tornato libero, “I scarabocc” , ossia “Gli scarabocchi” pubblicato nel ’46 con la prefazione di Carlo Bo, con questa dedica: «Per ricordare un viaggio da dimenticare». Nel libro c’è la poesia che Tonino scrisse all’uscita dal Lager e che Strocchi non aveva letto, “La farfalla”: «Contento, proprio contento/sono stato molte volte nella vita/ma più di tutte quando/mi hanno liberato in Germania/che mi sono messo a guardare una farfalla/senza la voglia di mangiarla».

Egidio Bandini


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