12 maggio 2021

Aspettando il Giro. "Pronti via, prim Belòon", la storia di Tano Belloni il grande campione ciclistico di Pizzighettone (1)

“Pronti via, prim Belòon”. Così esordiva il grande Tano Belloni, campione indiscusso ai tempi in cui dominava le scene ciclistiche Costante Girardengo, con la sua tipica cadenza, a mezzo tra quella del dialetto meneghino e la nostrana, quando si apprestava a raccontare di qualche sua corsa, o meglio di qualche avventura, perché questo è il sapore di tutte le sue imprese non solo sportive.

“Pronti via, prim Belòon!”: espressione divenuta leggendaria, che per Tano aveva forse il potere di esorcizzare, nel pensiero dell’interlocutore, quell’etichetta di “Eterno secondo” che, affibbiatagli dall’allora direttore de “La Gazzetta dello Sport” Emilio Colombo, pur non spiacendogli in fondo, tuttavia lo perseguitò come un indistruttibile tarlo sino alla fine dei suoi giorni.

E non è che fosse poi tanto azzeccata per definire un campione che, numeri alla mano, s’impose in un’ottantina di corse da professionista e non certo di secondaria importanza se tra queste figurano due Milano-Sanremo, tre Giri di Lombardia, un Giro d’Italia, due Campionati di Germania e tant’altro ancora e che al secondo posto finì in almeno 150 occasioni. Del resto, aveva un avversario che si chiamava Costante Girardengo, poi arrivò Alfredo Binda.

Figura mitica per oltre cinquant’anni delle piste italiane, prima come corridore quindi nella veste di direttore tecnico, poi matchmaker e direttore di corsa, Belloni restò sempre legato alle sue origini. al suo personaggio.

“Se vincevo - diceva - i giornali scrivevano: Primo Belloni di Milano; quando perdevo: secondo Belloni di Pizzighettone”. 

Per tutti, nel mondo del ciclismo, un punto fermo per decenni: l’unico personaggio con cui corridori del calibro di Coppi o Riviere o ancora Anquetil stipulavano un contratto d’ingaggio con la sola stretta di mano.

Ho avuto il privilegio di conoscerlo e parlargli, quando ancora ero un ragazzino, negli uffici della SIS (Società Imprese Sportive) di Via Cantù a Milano, che faceva capo a Vittorio Strumolo. Questi era, negli Anni Cinquanta, il principale organizzatore italiano di avvenimenti sportivi, dal pugilato al ciclismo: il palazzo dello Sport di Milano ed il Vigorelli erano il suo regno. Ero con mio padre che stava trattando con Strumolo il match Pozzali-Martin. Belloni rimase colpito dal mio nome che gli ricordava un amico di tanti anni prima e quando seppe che si trattava di suo nipote, si fermò a lungo a discorrere di ciclismo e di pugilato, a chiedere notizie sui pugili di Cremona: li seguiva da tifoso. Aveva un aspetto burbero, strano, con quegli immancabili pantaloni alla zuava e le calze a quadrettoni coloratissime, verdi e rosse e quel cappellaccio da cowboy in mano che non lasciava mai. Si ricordò anche di quando il nonno lo aveva invitato, nel 1921, ad inaugurare il Velodromo di Via Persico insieme a Girardengo, una riunione alla quale ne seguirono molte altre.

La ‘’favola’’ del Tano si snoda dal 27 agosto del 1892, quando venne alla luce sulle rive dell’Adda: famiglia povera, la sua, come tante allora nella zona. Papà̀ Gentilio faceva l’addestratore di cavalli da carrozza: li andava a comperare ogni anno alla Fiera di Verona, li addestrava e li rivendeva ai nobili e ai ricchi possidenti terrieri della zona. 

Era un momento difficile per l’economia italiana anche se il progresso avanzava a grandi passi: il rinnovo della Triplice Alleanza con Austria e Germania, le avventure coloniali in Africa che tenevano al fronte molti giovani e impegnavano le risorse dello stato, le prime automobili e soprattutto le biciclette che stavano vincendo la loro aspra battaglia con il cavallo, erano i principali presupposti di quell’atteso progresso economico che tardava a venire. 

Soprattutto queste ultime constatazioni convinsero Gentilio a trasferirsi a Milano ove mamma Luigia, la persona che avrebbe avuto il maggior peso ed influenza nella vita del piccolo Tano, oltre ad accudire ai quattro figli, avrebbe mandato avanti una modesta rivendita di vino.

La prima volta che le cronache s’occuparono di lui, rischiò d’essere anche l’ultima: s’era nel 1898 e il piccolo Tano stava giocando (e probabilmente litigando) sulla riva dell’Adda con un coetaneo, quando cadde in acqua. Fortunatamente un passante, attratto dalle grida degli altri bambini, si gettò nel fiume e riuscì a tirarlo fuori, sano e salvo.

A Milano, all’inizio del secolo scorso i salari erano almeno il doppio di quelli che si potevano ottenere in campagna, ma la vita era altrettanto difficile: erano i giorni e gli anni dell’avanzata ineluttabile del socialismo e contemporaneamente anche dell’affermarsi dell’anarchia, delle lotte di classe tra operai e borghesia, delle rivolte popolari, delle cannonate sparate dal Generale Bava Beccaria sulla folla milanese che protestava contro il carovita. A questi fatti, già di per se gravi, sarebbe seguito il 29 luglio del 1900 l’assassinio del re Umberto I a Monza.

Il piccolo Gaetano, appena terminate le scuole elementari, era stato mandato ad imparare il mestiere del tessitore, e sul lavoro gli era occorso un incidente piuttosto grave: gli si era infilata la mano sinistra nell’ingranaggio di una macchina tessile. 

Una corsa all’Ospedale su una di quelle ambulanze verdi trascinate da cavalli che erano diventate uno dei simboli della vita milanese di quegli anni tribolati e qui la necessaria amputazione di alcune falangi del pollice e dell’indice.

Una disgrazia che ebbe un risvolto favorevole qualche anno più tardi quando gli evitò il servizio militare, ma che sarebbe stata anche un handicap piuttosto grave quando, da corridore, gli capitava di forare e di dover cambiare lo pneumatico: un'operazione per la quale a lui serviva qualche minuto in più rispetto agli avversari (non s’usava ai suoi tempi il cambioruota). 

L’incidente lo indusse a cambiar mestiere: provò a fare lo stuccatore, poi il muratore, il magutt come si diceva allora. Aveva uno spirito artistico: gli sarebbe piaciuto fare il pittore, ma anche lo sport lo affascinava, soprattutto la lotta, così trovò nello Sport Club Virtus, pochi passi da casa, dalle parti di Corso Buenos Aires, le persone in grado di avvicinarlo ai segreti della grecoromana per la quale pareva particolarmente tagliato. 

Sedici anni soltanto, ma un altro tarlo gli rodeva dentro: la bicicletta. Un tarlo che sentiva soprattutto la domenica mattina, quando vedeva i giovani della sua palestra radunarsi e poi partire per lunghe passeggiate in bicicletta. Il problema era proprio quello della bici: questa saltò fuorii grazie anche ai sacrifici e alla collaborazione appassionata del fratello che già lavorava nelle officine della Bianchi ove lo stesso Tano sarebbe approdato più tardi, durante il periodo bellico, già corridore con la casacca biancoceleste della casa. 

Nella primavera del 1912, con la maglia della Virtus, era in sella tra i dilettanti: sesto al debutto. La prima piccola soddisfazione giunse l’anno seguente: la conquista del campionato sociale della Virtus; poi finalmente la prima vera vittoria in una corsa a Brescia, quindi sesto, in ottobre, al Giro di Lombardia e ottavo alla Coppa d’Inverno.

Il 1914 è l’anno in cui scoppiava, a giugno, la prima guerra mondiale, ma l’Italia si manteneva per ora neutrale e l’attività sportiva proseguiva normalmente anche se, ad alcuni appuntamenti, mancavano gli stranieri.

Per Belloni fu l’anno delle prime vittorie, vere e importanti, approfittando anche di un momento di stasi del ciclismo nazionale con Gerbi ormai eclissatosi dalle competizioni, Ganna intento ad occuparsi più della sua nuova fabbrica di bici che delle corse, il giovane Girardengo che segnava il passo non riuscendo ancora ad esprimersi al meglio.  Belloni seppe approfittare della situazione: subito in apertura, un secondo posto alla Milano-Lecco alle spalle di Lauro Bordin, quindi il successo alla Coppa Statuto ed otto giorni dopo nella Coppa del Re, la gara dilettantistica più importante nel calendario italiano: si correva sui colli piacentini. 

Erano in 180 alla partenza, tutti i migliori e Tano prese subito a fare il diavolo a quattro. Sul Passo della Cappelletta, nonostante il forte vento contrario, staccò tutti, ma gli avversari si coalizzarono e riuscirono a riacciuffarlo per poi essere battuti allo sprint. 

Fu il momento decisivo della sua carriera di corridore proprio per il modo in cui vinse la corsa suscitando, tra l’altro, l’ammirazione del direttore della Gazzetta dello Sport Emilio Colombo sorpreso dal suo modo di correre “tutto scatti, e frequenti nonché audaci tentativi di fuga.

La vittoria sarebbe costata cara a Belloni per un fatto inusitato. Il giorno seguente, proprio mentre era impegnato in una corsa a Lugano, sulla Gazzetta, apparve una pagina pubblicitaria con la sua foto mentre riceveva il premio. La didascalia recava scritto “Il vincitore mentre riceve la grande medaglia d’oro della Pirelli.” 

Il Tano non era nemmeno nominato, ma tanto bastò per scatenare le ire della Federazione che propugnava il più puro dilettantismo. Belloni fu immediatamente inserito nella lista degli aspiranti professionisti: la stessa cosa era capitata, due anni prima, ad un altrettanto ignaro Costante Girardengo.

Il problema era grosso perché le corse riservate agli “aspiranti” erano pochissime e costoro non potevano gareggiare ne tra i dilettanti ne tra i professionisti. E Belloni, oltretutto, non aveva mai usato pneumatici Pirelli, era quindi completamente estraneo alla vicenda.

Fortunatamente l’UVI ci ripensò riducendo la squalifica e permettendogli di tornare a gareggiare quattro mesi più tardi, in occasione del Campionato Italiano Dilettanti.

A Torino, il 18 ottobre non erano in molti alla partenza, ma i migliori si presentarono tutti e Tano provò a staccarli sulla impervia salita della Serra: fece selezione, ma in sei rimasero alla sua ruota. Li superò tutti, in volata, al Velodromo di Torino facendosi beffe, in tal modo, anche della Federazione. 

Tra i battuti, anche Abellonio, Costa, Brunero, Bongiovanni che con lui avevano menato la danza, in fuga sin quasi dalla partenza. 

Il sapore tutto particolare di quella maglia tricolore, conquistata in mezzo a mille difficoltà e col gusto della rivalsa, si mantenne integro per molto tempo, tanto che il Tano la ricordò sempre come la più bella e ricca di soddisfazione della carriera. 

Chiuse l'annata vincendo anche il Piccolo Giro di Lombardia. Un tris magnifico: Coppa del Re, Campionato Italiano e Piccolo Lombardia che nessuno più sarebbe riuscito in futuro a ripetere.

Vennero gli anni di guerra ed il ciclismo sembrava diventato uno sport da farwest. In corsa succedeva di tutto e non sempre era il più forte a vincere, spesso il più furbo, quasi mai il più bravo ed onesto.

Il 18 marzo del 1917 si correva la Sanremo: Belloni si presentò al via con il numero 1, ma solo perché era stato il primo ad iscriversi. Era ancora dilettante, ma dal momento che molti corridori stavano al fronte, si decise di allestire una corsa “open”. Dunque, Girardengo contro Belloni, entrambi contro lo svizzero Oscar Egg, neo primatista dell’ora, unico straniero al via. 

Amici per la pelle quando non erano in bici, Tano e il ‘Gira’ si presentarono insieme alla partenza (solitamente, quand’era a Milano, Girardengo dormiva a casa dell’amico).  Si rividero soltanto a sera, sul traguardo di Via Roma, per festeggiare la vittoria di squadra... E quella di Belloni! 

E’ vero, partirono in pochi, ma quel giorno nessuno avrebbe battuto il Tano, dominatore del vento e della tempesta, del freddo e delle insidie dello sterrato, oltre che del Campionissimo di Novi. Se ne era andato tutto solo, nel gelo di una furiosa tempesta di neve, lungo le rampe del Turchino, protetto soltanto dal pesante berretto di feltro e dai calzoni di panno legati sotto il ginocchio. Era scattato all’uscita dall’abitato di Ovada. Quando vennero presi i tempi, al passaggio in vetta al Turchino, il suo margine già ammontava a quattro minuti su Girardengo, a sei su Oscar Egg.  Lungo la discesa, fu una grandinata terribile ad investire i corridori, ma nemmeno questa poté costringerlo a rallentare.

Quando pioveva o addirittura diluviava e grandinava come quel giorno da Milano sin quasi al rosso striscione di via Roma, erano trecento chilometri di pantano insidioso in cui le ruote affondavano impietosamente e i corridori, irriconoscibili nel volto e nei numeri, procedevano lentamente: sempre più sporchi e infreddoliti, con le maglie di lana gravate dall’acqua e dal fango, le mani intirizzite che non riuscivano ̀ a stringere le leve dei freni, così poco individuabili che all’arrivo i giudici usavano predisporre scope e secchi d’acqua calda per pulire i numeri, lavare il volto dei concorrenti e poterli identificare. 

A Sanremo, dopo 12 ore e 44 minuti di corsa infernale, il vantaggio di Belloni su Girardengo era da record: oltre dodici minuti. Angelo Gremo fu terzo, tre quarti d’ora più tardi.  L’ordine d’arrivo fu, come il solito, inviato alla redazione della Gazzetta dello Sport a mezzo di piccioni viaggiatori che Armando Cougnet, l’organizzatore, si portava sempre  appressó. Stilava la classifica su sottili foglietti che inseriva in tubetti di alluminio legati alle zampe dei piccioni. A Milano, alla Cascina Colombarola in Via delle Abbadesse, i colombi, un paio d’ore più tardi, portavano al giornale e ai tifosi in attesa, l’esito della corsa (il telefono era già stato inventato, è vero, ma impiegava, solo per il collegamento, almeno quattro ore). 

Belloni, subito dopo la vittoria di Sanremo, prese d'infilata la Milano-Varese, battendo ancora Girardengo ed Egg.

Si tornò sulle strade, nel 1918, solo all’inizio della buona stagione con Girardengo pronto a consumare la sua vendetta tra Milano e Sanremo. Ancora pioggia, vento e grandine, ma le parti si invertirono:

Girardengo in fuga appena fuori Ovada e Belloni, solo, ad inseguire. Al traguardo, Belloni cederà tredici minuti al campione della Maino; il terzo, Agostoni, ad un’ora esatta. L’ultimo arrivato, Vertemati, settimo, si presentò alla dieci di sera, con quattro ore e mezzo di ritardo.

Quando, agli inizi del ‘19 l’attività riiprese finalmente in pieno, fu il ‘Gira’ a trovare una forma stupenda: ‘un demonio’ lo definiva Belloni. Alla Sanremo ci fu battaglia sin dai primi chilometri. Una foratura poco fuori Binasco, costrinse Girardengo ad inseguire il gruppo che si sfaldò alle prime rampe del Turchino. In vetta, Gremo passava con 4’28 su Girardengo e oltre sei minuti su Belloni che aveva messo fuori uso una ruota cadendo in discesa. Girardengo guadagnava sul suo compagno di squadra Gremo, ma forava nuovamente su Capo Berta ed era costretto al secondo posto mentre Belloni già s’era fermato al termine della discesa del Turchino. Un mese più tardi, alla Milano-Torino, vittoria del Gira in volata dopo aver dominato tutti sulle montagne. Girardengo ritrovato, quindi, e di nuovo a dettare legge su tutti, come prima della guerra.

In preparazione del Giro si disputò una corsa propagandistica, la Milano-Trento-Trieste, con un gruppo di camion militari al posto delle ammiraglie per meglio adattarsi a strade quasi impraticabili. Già nella prima frazione, durante la quale un gruppo di cavalli invase la strada rischiando di costringere i corridori a fermarsi, subito il Gira in evidenza, vincitore delle tre tappe a Rimini, Trento e Trieste, con Belloni alle sue spalle sia a Trento che a Trieste.

Il 4 maggio il Gira vince la Milano-Torino ancora davanti a Belloni e comincia a consolidarsi la sua fama di “Eterno secondo”. 

Non ci fu lotta neppure al Giro d’Italia: Il Gira vinse sette tappe su dieci lasciandone una a Belloni che in classifica fu secondo a 51’ di distacco.

Stesso risultato al Giro di Lombardia che per la prima volta affrontava la mitica salita del Ghisallo. Vinse Girardengo arrivando con otto minuti di vantaggio sotto una bufera di neve che aveva tormentato la corsa dal Ghisallo sino a Milano.

Ad affliggere Belloni arrivò anche la spagnola: lo colpì duramente. Sembrava finito: i suoi dirigenti lo ritennero tale e lo scaricarono. Sbagliarono di grosso perché tornò ed era forte di sempre. 

Stava preparandosi per la stagione nuova, il 1920, in Riviera quando, imboccata la discesa dopo il Santuario della Madonna della Guardia, cadde e si fermò sul bordo di un burrone. Si alzò, tornò sui suoi passi e una volta entrato in chiesa ringraziò la Madonna promettendo che avrebbe fatto il bravo per un po’, rifuggendo da quelle tentazioni che erano il suo tallone d’Achille. Tenne fede al proposito. Un mese più tardi tagliava per primo il traguardo della Sanremo. 

Il 6 giugno l’ottava edizione del Giro d’Italia. 

I due fuoriclasse del ciclismo italiano furono allora inevitabilmente uno contro l’altro ancor più di prima e il round d’apertura, come sempre la Sanremo, andò ad un eccelso Belloni al termine di una volata mozzafiato davanti al francese Henry Pelissier, un signore degli sprint, e al solito Girardengo dal quale aveva avuto collaborazione nel condurre un furioso inseguimento al francese quando questi aveva potuto approfittare delle forature degli italiani sulle strade della riviera.

Si arrivò al Giro e Belloni completò il suo riscatto: è vero che Girardengo, caduto nella prima tappa, abbandonò il campo il giorno seguente, quando già aveva una dozzina di minuti di ritardo sul groppone, ma fu tale la superiorità di Belloni su tutti gli altri (vinse anche tre tappe per distacco), da far dimenticare il ritiro del Campionissimo.

Gremo fu lasciato a trentadue minuti, tutti gli altri accusarono distacchi abissali: in dieci soltanto conclusero il Giro in mezzo a mille polemiche contro l’organizzazione, ma Belloni da Pizzighettone smentì quella volta la sua immeritata fama di eterno secondo. 

Il Giro si concluse all’Arena di Milano in un tripudio di folla. Fu così grande l’entusiasmo per Belloni che il pubblico invase la pista ed impedì l'effettuazione dello sprint sicché tutti i corridori arrivati furono classificati a parimerito.

La grande annata di Belloni si chiuse il 9 novembre al Giro di Lombardia. Non c’era Girardengo, ma un gasatissimo Brunero che aveva staccato tutti al Giro dell’Emilia e c’era il francese Henry Pellissier. Vinse proprio lui, per la terza volta, approfittando di una foratura di Belloni a 12 Km. dal traguardo, dentro il Parco di Monza e del salto della catena subito da Brunero che aveva tentato di forzare i tempi quando aveva visto Belloni mettere piede a terra.

Aveva anche preso il via, per la prima volta, al Tour, ma una caduta nella prima tappa, fortunatamente senza gravi conseguenze, lo aveva comunque costretto al ritiro. (continua)

Nelle foto: Tano Belloni, al centro Belloni e Girardengo, Belloni e Girardengo in pista a Cremona e Binda con Belloni

Cesare Castellani


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