13 maggio 2021

Belloni e quella mitica sei giorni al Madison con Beniamino Gigli tifoso. Il Giro vinto da corridore e da direttore sportivo, le cadute (2)

La vittoria al Giro e alla Sanremo, oltre ad altri ottimi piazzamenti, procurarono a Belloni il primo ingaggio per la mitica Sei Giorni di New York, dal 5 all’11 dicembre: ingaggio di cento dollari al giorno. 

Era l’America del charleston, del proibizionismo e dei gangster. ma anche quella di Jack Dempsey, il “ Manassa Mauler” che distrusse in meno di quattro riprese Georges Carpentier nel match del secolo, ma anche di Babe Ruth, il braccio armato degli Yankees che in una sola stagione piazzò sessanta fuori campo scrivendo la storia del baseball. Gaetano quell’America la visse tutta d’un fiato, come suo costume, pedalando sull’anello in legno del Madison Square Garden, una pista di soli 140 m. con le sponde talmente rialzate che sembrava di affrontare il giro della morte come in tante fiere di paese si usava allestire. Era accoppiato al bravo Verrig, un buon velocista esperto di corse in pista e c’era anche Girardengo, a sua volta in coppia ad Olivieri. 

Reginald Mac Namara, australiano del Nuovo Galles che del Madison era la stella incontrastata, diceva che un seigiornista doveva avere occhi di gatto, stomaco di struzzo, scatto da ghepardo, agilità da camoscio, resistenza da elefante e scaltrezza da volpe. Tano a quegli ingredienti aggiungeva anche il coraggio. 

Era un mondo, quello delle Sei Giorni, allora popolato da personaggi stravaganti, in pista e fuori. Pazzi scatenati che sugli anelli non guardavano in faccia nessuno e disputavano sprint col coltello tra i denti, pronti a far cadere chiunque, pur di assicurarsi un traguardo parziale o di prendere accordi per determinare il risultato finale.

E intorno, nel parterre, una umanità variegata di artisti, milionari eccentrici e pronti a qualsiasi stravaganza con l'immancabile corollario di belle donne e champagne a fiumi.

Diciotto giorni di viaggio sul transatlantico “Rochenbault” trascorsi in interminabili partite a carte e a biliardo e, appena sbarcati, subito a prender confidenza con lo stretto catino del Madison. Girardengo sembrava adattarsi meglio, ma una rovinosa caduta in cui incappò il primo giorno, lo tolse subito di mezzo.

Un mondo nuovo per Tano che non tardò ad entrare a farne parte dopo quella prima esperienza durissima perché rimanere in sella per sei giorni, 144 ore di fila, riposando solo qualche ora mentre il compagno correva, non era da tutti. 

Finì nono e ultimo, ma aveva fatto esperienza: quando, dopo la doccia e il massaggio uscì dagli spogliatoi e vide che la pista era stata ormai smontata per far posto ad un ring, capì che l’America già andava di corsa e che sarebbe tornato presto. L’America lo aveva affascinato.

Sembrava che fuori dagli spogliatoi del Garden, ma poi anche di altri velodromi, quando correva lui si accalcasse un tal numero di ragazze che mai nella storia del ciclismo era successo di vedere. Si narra che a volte sia uscito dalla porta di servizio per non essere travolto da questa folla di donne e che la stessa porta di servizio fosse invece aperta da qualche inserviente per lasciarne passare qualcuna. Divenne, insomma, il primo vero playboy del ciclismo nostrano.

Il Giro del 1921. Ci si aspettava una battaglia a tre: Girardengo, Brunero e Belloni. Il Gira vinse le prime quattro tappe, sempre in volata con Belloni sempre secondo, poi una banale caduta quando fu urtato , urtato da Sivocci, privò il Giro del suo principale protagonista e la lotta si restrinse alla coppia Belloni-Brunero.

Belloni, primo in classifica, fece incetta di tutti traguardi possibili: sprizzava energie da ogni poro, ma il più giovane Brunero non cedette mai e quando, nella tappa che si concludeva a Livorno, Belloni fu appiedato da una foratura, Brunero e la sua squadra, la Legnano, scatenarono la battaglia. Al traguardo, 52” dividevano i due e Brunero balzò in testa alla classifica.

Belloni tentò un recupero disperato nella tappa successiva, la Livorno-Parma approfittando della salita della Cisa, ma Brunero rispose ai suoi attecchi, poi Tano ci provò ancora in quella successiva che terminava a Torino. Scattò quando vide l’avversario arrotarsi con Annoni e finire a terra. Brunero fu pronto a rimettersi in bici e ad inseguire. Belloni tagliò il traguardo, al Motovelodromo, in solitudine, ma, appena arrivato, si voltò e vide Brunero già sulla pista. Era riuscito a recuperargli solo 11” e Brunero vinse il Giro mantenendo un margine di 41”. Tano, comunque, vinse l’ultima tappa del Giro che si concludeva a Milano.

1922. La novità dell’anno: Girardengo e Belloni nella stessa squadra, la Bianchi. Entrambi contro la Legnano di Brunero, oppure l’uno contro l’altro.

 Stando al primo impegno la Milano-Sanremo, sembravano aver avuto ragione i fautori della seconda ipotesi: Belloni cadde appena la corsa giunge in riviera e non fu di nessun aiuto al suo capitano. Brunero e Girardengo arrivarono insieme, ma un incauto addetto al servizio provocò la caduta del Gira, costretto a lasciare la vittoria al rivale. 

Pochi giorni dopo la Bianchi va alla “Roubaix” ove Girardengo, che non gradisce il pavè, si ritira mentre Belloni, staccato inizialmente, inizia una rimonta che lo porta al sesto posto, a otto minuti dal vincitore Dejinghe.

Il 24 maggio parte il Giro, subito con una tappa durissima da Milano a Padova attraversando le Valli Giudicarie ed il Pian delle Fugazze. Fora Brunero che cambia la ruota anteriore e rientra immediatamente senza avvertire i giudici di quanto accaduto. In salita, Brunero parte e stacca tutti, imprendibile. Arriva a Padova con oltre un quarto d’ora di vantaggio su Belloni, diciotto minuti su Girardengo dopo una fuga lunga 80 chilometri.

Immediato il reclamo sporto da Maino e Bianchi, la squadra di Girardengo e Belloni, perché Brunero è arrivato al traguardo con una ruota non punzonata. La Legnano si difende e la carovana del Giro è spaccata in due, con la giuria che non sa quale decisione prendere e demanda tutto all’UVI. 

Intanto si parte, con Brunero sub judice, per la seconda tappa che si conclude a Portorose. Belloni fora nei pressi di Villa Opicina e lungo i saliscendi che portano all’arrivo, perde altri cinque minuti. Poi, però, vince a Bologna in una volata veramente anomala: al traguardo si presentano, infatti, in 47 e la giuria non riesce a stilare l’ordine di arrivo, così decide di assegnare a tutti lo stesso tempo e di far disputare due manche di dieci giri in pista, una per gli accasati, l’altra per gli indipendenti. Belloni, naturalmente vince la sua ed il suo ritardo in classifica rispetto a Brunero è ora di 21’04”.

Arriva, però, la decisione dell’UVI: Brunero è penalizzato di 25’. Belloni diventa il leader della classifica, con 1’15” su Girardengo, 3’54” su Brunero. Sembra tutto risolto, ma non è così, perché la Bianchi e la Maino proseguono nella loro protesta e non si presentano alla partenza della Bologna-Pescara. Brunero vincerà naturalmente il Giro non avendo più validi avversari. 

Tano tien fede ai propositi e, a fine stagione, torna in America. Al Madison, stavolta, lo attende un compagno di coppia tra i migliori in assoluto, l’australiano Alfred Goullet che a New York ha già vinto cinque volte meritandosi il soprannome di “King ulf”, la pallottola. E' un velocista di razza che fa strage di traguardi mentre Belloni si occupa di tutto il resto: correre dietro gli avversari, guadagnare giri, lottare gomito a gomito con tutti. Ormai conosce alla perfezione l’anello del Madison, ci si trova a meraviglia. Alla fine i due vincono la Sei Giorni con due giri di vantaggio e tanti punti che valgono dollari sonanti.

A New York Belloni diventa subito un personaggio, il suo nome spicca su tutti i manifesti. I tifosi lo storpiano nel loro slang facendolo diventare “Baloni”, grande salame, il che contribuisce a far crescere la sua popolarità. In America piace a tutti e quando, nell’intervallo tra una corsa e l’altra va a suonare il pianoforte in mezzo alla pista del Madison, la folla impazzisce per lui. Si dice che una miliardaria gli si sia offerta in moglie, ma il Tano si è appena sposato in Italia e si narra anche di una bellissima donna di colore che lo ha ospitato a casa sua dopo la Sei Giorni offrendogli il suo letto per riposarsi dalle fatiche della corsa. 

Il suo più grande tifoso, in America, è il tenore Beniamino Gigli con cui stringe una solida amicizia e a New York continuerà ad essere un idolo del Madison ancora qualche anno dopo aver abbandonato completamente l’attività su strada, alla soglia dei quarant’anni. 

Col passare degli anni, intanto, la concorrenza in Italia si fa sempre più forte. Oltre a Girardengo e Brunero è spuntata la stella di Alfredo Binda. Belloni decide allora, improvvisamente, di emigrare, ma non in America, come ci si sarebbe aspettati, bensì in Germania accasandosi con la Opel. 

La concorrenza è qualificata, anche se meno forte che in Italia ove ormai interessano soltanto le imprese di Binda e Girardengo, ma nonostante i suoi 34 anni, Tano è ancora in grado di tener testa a tutti su percorsi non difficilissimi come quelli che trova oltre confine: debutta arrivando secondo nella Berlino-Cotibs-Berlino, poi vince in volata il G.P. di Hannover e subito dopo il Giro di Harz a Mag.

L’avversario più pericoloso è lo svizzero Suter, un corridore di grande esperienza che vanta già nel suo curriculum l’accoppiata Fiandre -Roubaix, che ha vinto la Bordeaux-Parigi, ma che finisce alle sue spalle anche al G.P. di Francoforte nonostante l’appoggio, in volata, del connazionale Blattmann.

A chiudere la stagione, ancora la Sei Giorni di New York, stavolta con Franco Giorgetti, un velocista italiano di grande esperienza. Finiscono secondi alle spalle di McNamara-Linari, ma con la convinzione, in Belloni, che il navigato Giorgetti avesse giocato sporco, addomesticato da qualche manciata di bigliettoni verdi degli scommettitori. Cose sempre accadute nelle Sei Giorni, ma che a Belloni, proprio, non andavano giù.

L’inizio di stagione del ‘27 è favoloso per il Tano: secondo alla Berlino-Cotibus-Berlino, mette insieme, in un mese, ben tre vittorie, il GP di Monaco, il GP Rhur ed il Giro di Colonia. Vittorie che gli consentiranno di essere convocato dell’UVI per il primo campionato del mondo che si svolge proprio in Germania su un percorso durissimo: sarà un trionfo tutto italiano: 1° Binda, 2° Girardengo, 3° Piemontesi, 4° Belloni.

Chiuderà la stagione risultando primo nella classifica del campionato tedesco, ma la sorte aveva in serbo per lui ancora una vittoria prestigiosa sul finire del 1928, il suo terzo Giro di Lombardia in una giornata di freddo e pioggia continua. Arrivano in cinque al traguardo e il Tano, che ritrova per un attimo il suo antico sprint, batte tutti in volata, compreso Binda che verrà poi squalificato.

La vittoria al Lombardia e alcuni successi in Germania, lo convincono a stare in bici un’altra stagione nonostante i 37 anni alle porte,. La Bianchi gli offre un posto in formazione a fianco di Piemontesi per il Giro d’Italia e Tano non si fa pregare. Vince la tappa di Napoli con una volata da seigiornista davanti a Binda e può esultare a ragione: Brunero ha smesso di correre, Girardengo è sull’ammiraglia della Maino e lui si permette ancora il lusso di battere Binda. 

Nelle tappe successive Tano è in grado ancora di lottare, ma non di vincere, finché incontra a Roma il giorno forse peggiore della sua vita di corridore. 

Un incidente assurdo, un destino fatale. Il gruppo dei velocisti più forti si sta preparando alla volata quando un bimbo di 12 anni sfugge al controllo dei genitori per veder meglio i corridori, si sporge in mezzo alla strada proprio mentre arriva Belloni che non riesce ad evitarlo e lo investe in pieno. 

Belloni si rialza dolorante; un pedale gli si è quasi conficcato nel fianco, ma il ragazzino rimane a terra immobile. Morirà qualche istante dopo.

L’ultima vittoria importante? Nella Roma-Napoli-Roma di 478 chilometri, una corsa anomala disputata quasi completamente di notte alla luce dei fari delle automobili. Tano impiega 18 h 45’ alla media di circa 25 chilometri e quando i pochi superstiti si presentano sul viale d’arrivo alle sei del mattino sfodera ancora la potenza necessaria a tagliare il traguardo per primo.

Tano però non abbandonò completamente l’attività agonistica: qualche corsa su strada e le Sei Giorni in America lo videro ancora protagonista in sella alla sua bici finché in un pomeriggio, a New York dove correva di nuovo in coppia con Giorgetti (avevano già guadagnato un paio di giri) prese il cambio dal compagno e partì all’inseguimento del gruppo che procedeva a ventaglio, si lanciò verso la parte alta della pista incocciando però con il pedale nella balaustra: un volo tremendo, la testa che batteva contro terra, il pedale che gli solcava lo zigomo e la fronte. 

Dicono che tutta New York si sia fermata: Beniamino Gigli che ogni pomeriggio trascorreva qualche ora al Madison, piombò in pista e grazie al suo carisma riuscì ad organizzare i soccorsi. Non attese l’arrivo di un’ambulanza: ordinò di caricare il corridore ancora privo di sensi sulla sua Isotta Fraschini bianca che tutta New Tork conosceva e lo trasportò in ospedale. 

La diagnosi non era semplice: commozione cerebrale, un braccio fratturato, varie ferite al viso, i denti anteriori spezzati. Circolò persino la voce che fosse morto e venne allertata la famiglia in Italia. Si svegliò tre giorni dopo, di notte. Raccolse le sue cose e fuggì dall’ospedale per imbarcarsi sul primo piroscafo in partenza per l’Italia. 

E chi pensa che dopo quella caduta, a 39 anni, avesse deciso di ritirarsi, si sbaglia di grosso perché in primavera fu di nuovo al via alla Sanremo, la sua tredicesima. 

La Bianchi non gli poteva più garantire uno stipendio. Lo tesserò una piccola squadra l’Olympia. Non vinse, naturalmente, ma arrivò a Sanremo, tredicesimo, precedendo molti più giovani di lui e tornò anche a new York, a 42 anni suonati, per far contenti i vecchi amici americani e fu accoppiato a Riboli. Finirono terzi, ma furono i più applauditi dal pubblico del Madison.

Del resto al Madison e all’America doveva buona parte della sua fortuna: con i dollari guadagnati in America s’era comprato casa a Milano e aveva dato inizio alla sua vita di proprietario immobiliare.

L’amore per la bicicletta non finì con il termine della sua stagione agonistica, sia perché quel tesoro di grande esperienza che aveva accumulato in tanti anni di corse non poteva andar perduto, sia perché la sua passione per le due ruote non finì mai.

Così, quando al termine della seconda guerra mondiale, esattamente il 26 maggio del 1946 fu inaugurato il ristrutturato il “Vigorelli”, Vittorio Strumolo, patron della S.I.S. lo chiamò a dirigere l’impianto, ad organizzare sfide memorabili, ad ingaggiare tutti i più celebrati campioni del momento. 

Nessuno meglio di lui poteva conoscere il mondo della pista, ma sentì anche il richiamo delle corse su strada sicché, quando Ottavio Tasmani gli propose di guidare dall’ammiraglia la sua Viscontea, aderì immediatamente all’invito. 

Più tardi passò alla Chlorodont visto che Fiorenzo Magni aveva ormai inventato le sponsorizzazioni extraciclistiche e il grande risultato arrivò con la vittoria di Gastone Nencini al Giro d’Italia del 1957. 

Così il Tano potè vantarsi di aver vinto due volte al Giro, una da corridore, l’altra da direttore sportivo. Fu anche alla guida di altre due squadre professionistiche, Stucchi e GBC, ma poi tornò ad occuparsi della pista, a presentare ogni settimana al Vigorelli corridori come Koblet e Coppi, Bevilacqua e Messina, Maspes e Gaiardoni, Sacchi, Morettini, Faggin, Bobet.

La sua più grande soddisfazione quando, nel 1961, con l’appoggio di Giovanni Borghi e dello stesso Strumolo riuscì a far rivivere la Sei Giorni di Milano che mancava dal 1927 e andò in scena al Palazzo dello Sport di Piazza 6 febbraio. C’erano tutti i più grandi specialisti del mondo (vinsero Teruzzi e Arnold) ma altrettanto ricco era il parterre con artisti del calibro di Tony Dallara, Mina e Macario. 

Nonostante gli impegni di lavoro, continuò a mantenersi in forma pedalando: ancora negli Anni Sessanta un paio di volte la settimana pedalava da Milano a Pizzighettone, faceva colazione in trattoria e tornava. 

Era sempre allenatissimo, tanto che, quando la TV imbastì per gioco una sfida tra lui e Girardengo, si limitò a battere l’amico-rivale di sola mezza ruota per non umiliarlo, ma dimostrando che, tra loro, ormai, non c’era più lotta. (-fine seconda puntata)

Cesare Castellani


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