Palla in curva con Eligio Nicolini: Giacchetta segnò al mio esordio in serie A su "passaggio di mano" di Maradona. L'importanza del gruppo e della diga a centrocampo
Piemontese classe '61, Eligio Nicolini è una delle bandiere grigiorosse degli anni '90. Dopo un'esperienza di cinque stagioni a Bergamo, che lo ha visto protagonista di una semifinale di Coppa delle Coppe con Mondonico, Caniggia e Stromberg, è arrivato a Cremona nel 1992 dove, agli ordini di Gigi Simoni conquista la Serie A, il Trofeo anglo Italiano e, nella stagione successiva, la storica doppia salvezza con la maglia della Cremonese.
Centrocampista molto duttile, assieme a Maspero, Giandebiaggi e Cristiani, forma la diga, che risulterà fondamentale per i risultati conseguiti. Con la maglia grigiorossa disputa 4 stagioni, vestendola in 92 occasioni, di cui 52 in Serie A, ed è con lui che voglio scambiare due chiacchiere sulla Cremonese, sul campionato che si prepara ad affrontare, ma non solo
D: Innanzitutto, grazie per la disponibilità. Cominciamo dalla fine, ovvero dalla promozione in Serie A conquistata ai playoff.
R: “Secondo me Giovanni (Stroppa n.d.r.) ha fatto un buon lavoro, perché non era scontato riportare la Cremonese in Serie A. Ora la società, dal mio punto di vista, dovrebbe cercare di consolidarsi nella massima serie”.
D: Con l’arrivo del Cav. Arvedi, la Cremonese sta vivendo una nuova era. Quanto è importante avere una proprietà legata al territorio?
R: “Quando giocavo io era la normalità e questo si rifletteva non solo sul campo, ma anche nei rapporti con la gente e con il territorio. La proprietà grigiorossa investe non solo sulla squadra, ma anche sulle strutture e sul settore giovanile. Ci sono i presupposti per creare un vero modello di società”.
D: La Cremonese riparte da mister Davide Nicola. Condividi la scelta e il mercato fatto finora?
R: “Davide Nicola sarà sicuramente un valore aggiunto. Ha sempre fatto bene con squadre che puntavano alla salvezza e sono convinto che farà bene anche a Cremona, perché è uno che lotta e non molla mai. Dal mercato sono arrivati giocatori perlopiù di esperienza, un fattore decisivo per la categoria. La Cremonese potrà dare filo da torcere a molte squadre, anche se manca una punta che faccia qualche gol in più”.
D: Possiamo affermare che oggi, come allora, la forza del gruppo è fondamentale?
R: “Sicuramente, anche se il gruppo di allora non sarà mai come quelli di oggi. Per farti un esempio, sono in una chat con gli ex della Cremonese e in un'altra con quelli del Torino e parliamo di compagni di decine di anni fa. Questo per darti un'idea del significato profondo del gruppo, dell'amicizia e dell'attaccamento che si era creato. Il gruppo era qualcosa di più intenso, coinvolgente e decisivo. Oggi c'è troppo business. L'attaccamento alla maglia, la dignità, l'orgoglio di poter andare in campo e competere con i migliori si sono un po' persi, e non solo in Italia, ma a livello mondiale. Dove non ci sono i 'fuoriclasse' che fanno la differenza individualmente, ti devi fidare del gruppo, dei compagni, e remare tutti nella stessa direzione. Lo eravamo a Bergamo, come lo siamo stati a Cremona. La squadra dovrebbe individuare elementi con una certa esperienza da inserire in mezzo al campo”.
D: Nel 1992 arrivi a Cremona e dopo la promozione in Serie A conquistate una salvezza storica. Cosa fu determinante?
R: “Arrivavo dall’Atalanta di Mondonico e della famiglia Bortolotti, che la stava portando in una nuova era. A Cremona, con Luzzara, Favalli e Miglioli, trovai lo stesso ambiente, una famiglia, quella ‘pane e salame’ di cui tanto si è parlato. L'ambiente fu determinante in entrambi i casi”.
D: Nel tabellino della finale del Trofeo Anglo-Italiano a Wembley c’è anche un tuo rigore sbagliato sullo 0-0. Eppure alla fine avete vinto.
R: “Eravamo sicuri di vincere, eravamo un gruppo forte tecnicamente e mentalmente. Con il passare dei mesi eravamo molto più consapevoli della nostra forza. All’inizio non c’era, ma Gigi Simoni ci diede quella tranquillità che poteva dare solo un vincente, uno che riesce a far risaltare tutte le qualità del gruppo. A Wembley ne abbiamo avuto la prova”.
D: Tra i tanti avversari, chi ti ha dato più filo da torcere?
R: “Ce ne sono stati tantissimi: Baggio, Donadoni, Maradona, Matthaus, Van Basten. In quell'epoca i più bravi giocavano in Serie A e ogni domenica ne incontravi uno diverso. Era una bella sfida e una grande emozione. Per affrontarli, dovevi metterci qualcosa in più: eri più attento, più 'cattivo', più concentrato. Altrimenti ti massacravano. Il gruppo cresce quando tutti ci mettono qualcosa in più, e credo di aver dato il mio contributo”.
D: A Bergamo avevi Mondonico in panchina e Prandelli in campo. Che ricordi hai?
R: “Mondonico a quei tempi, a livello tattico, era il migliore. L'Atalanta era una squadra in crescita, non certo al livello di Napoli, Inter, Juve o Sampdoria, ma contro di noi i grandi campioni andavano sempre in difficoltà. Mondonico era più avanti degli altri, leggeva le situazioni prima e prendeva immediate contromisure. Cesare (Prandelli n.d.r.) era a fine carriera e metteva la sua esperienza a disposizione della squadra; è stato un valore aggiunto”.
D: Quando giocavi nel Vicenza in Serie B, Roberto Baggio era nelle giovanili. Lo avevi visto?
R: “Ti racconto un aneddoto: il nostro allenatore, Bruno Giorgi, andava spesso a vedere le giovanili. Capitava che, quando noi e gli allievi giocavamo in casa, ci obbligava ad andare allo stadio con la scusa di stare insieme prima della partita. Poi scoprimmo che andava a vedere Baggio. Il nostro mister ne era 'innamorato', perché già allora era un fenomeno”.
D: Nell’ottobre del 1988, il tuo esordio in Serie A con l’Atalanta fu contro il Napoli di Maradona, in una partita che perdesti con un gol dell’attuale direttore sportivo grigiorosso Simone Giacchetta. Te lo ricordi?
R: “Ci ha fatto lo 'scherzetto' al 90’ su un colpo di mano di Maradona. Su un cross dalla sinistra, Maradona si è buttato e l'ha presa con la mano, e la palla è capitata sul secondo palo, dove Giacchetta l'ha messa dentro di testa. L’arbitro era Coppetelli, mi ricordo che lo abbiamo 'massacrato' di parole, ma non ci fu niente da fare”.
D: Ti dedichi ancora al calcio?
R: “Sì, sono responsabile dell'attività di base e della scuola calcio al Darfo Boario. Da quando ho preso il patentino UEFA nel 2000, ho sempre allenato in società dilettantistiche, e qualche volta anche la prima squadra. Non ho mai avuto l’opportunità di allenare una squadra professionistica, ma nei miei ventisei anni di esperienza ho avuto solo riscontri positivi e questo mi dà grande soddisfazione”.
Grazie Eligio per questa chiacchierata e per la conferma di quanto sia importante ‘il gruppo’ per valorizzare il singolo, per raggiungere il massimo risultato. Quello che in fondo si appresta a fare la Cremonese nella stagione che sta per cominciare.
Le foto sono di Ivano Frittoli
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