"El Cezòol" di San Daniele Po dedicato a Sant'Omobono e quelle bombe sganciate da Pippo il 25 aprile del 1945
Al Ghiziòol’ o ‘Cezòol’ di San Daniele Po oggi è un edificio modesto e poco appariscente, quasi appartato tra le case appena giù dalla discesa dall’argine maestro che porta in via XXV Aprile e poi in paese. E’ la chiesetta dedicata a Sant’Omobono, semplice e dalle linee pulite, quasi inusuali per un edificio sacro, se non fosse per quelle decorazioni ad ogiva sopra la porta e le finestre e per una croce in ferro sulla sommità della facciata squadrata. Eppure quell’edificio è un concentrato di storia e di eventi che per San Daniele hanno rappresentato il passato degli ultimi due secoli, tra vita quotidiana, guerre, sofferenze e morte, ben documentate anche nel libro ‘Türe Zu - San Daniele Po negli anni della guerra del Duce’ di Alvaro Papetti.
Nel suo passato fu scuola elementare femminile, ambulatorio comunale, divenne poi ospedale militare ed obitorio nella prima guerra mondiale, mentre nel Ventennio, dal 1923 al 1945 sulla sua facciata campeggiava la scritta ‘Casa del Fascio’. La struttura fu poi usata anche come deposito comunale, sala da ballo e dopolavoro. Insomma, una vita non facile per quelle mura che per anni furono contese tra sacro e profano.
Il tira e molla tra Comune e Parrocchia
In origine il fabbricato fu di proprietà dei ‘canonici di Sant’Omobono’ a Cremona, da cui ovviamente l’intitolazione della chiesetta; è documentato poi che la ‘Fabbriceria di San Daniele’ (che si occupava della conservazione dei beni ecclesiastici) nel 1866 istituì una raccolta di offerte dai fedeli per ristrutturare l’oratorio. Questa colletta fruttò 907 lire, ma i lavori furono sospesi perché nel frattempo un decreto governativo aveva sancito che quei locali diventassero una scuola elementare femminile. Naturalmente l’allora parroco, don Camillo Cessi, non mandò giù di buon grado questo ‘esproprio’ e decise di far valere le ragioni della parrocchia, raccogliendo stavolta non più denaro ma firme per presentare un’istanza presso il Ministero di Grazia e Giustizia e dei Culti e chiedere una revoca del decreto. Venne concessa. Tornò quindi ad essere una chiesa, fino però allo scoppio della prima guerra mondiale: di nuovo requisita dal Comune, per diventare un ospedale militare.
E nel 1920 da ospedale si trasformò più mestamente in camera ardente, col pietoso compito di accogliere le spoglie dei militari caduti in guerra, che venivano riportati alla loro terra d’origine per trovare sepoltura.
Passano solo un paio di anni prima che sulla facciata vengano affisse le lettere a caratteri cubitali che la connotano come ‘Casa del Fascio’: ancora una volta quelle mura persero ogni connotazione spirituale per piegarsi alle ragioni della storia.
In quegli anni la via che attraversava il quartiere di S. Omobono si chiamava ancora Via Roma.
Il dramma della guerra e l’esplosione nella notte del 25 aprile
Il periodo più buio fu naturalmente quello del secondo conflitto mondiale, durante il quale la povera gente viveva come riusciva, schivando fame e pallottole per portare a casa la pelle ogni sera. E fu proprio nella notte tra il 25 ed il 26 aprile del 1945 che avvenne uno dei fatti più tragici che San Daniele ricordi.
Una terribile esplosione - forse una bomba sganciata da ‘Pippo’- proprio sul quartiere di S. Omobono, durante la notte lasciò a terra diversi soldati tedeschi ed una coppia di anziani sandanielesi. Alcuni edifici vennero distrutti, mentre la chiesetta fu risparmiata, seppur danneggiata.
L’episodio è ben documentato nel libro di Alvaro Papetti: “Ci fu un’esplosione e una vecchia casa posta quasi in fondo a via Roma crollò su se stessa, provocando la morte dei due anziani coniugi Ghisani e di cinque militari tedeschi, i cui cadaveri orrendamente ustionati giacevano però qua e là parecchi metri fuori dal cumulo delle macerie dell’edificio”. Riporto anche le parole del compianto professor Angelo Rescaglio che anni fa durante un’intervista mi raccontò il suo ricordo di quella notte, quando era ancora solo un bambino, ma di cui conservava tragicamente ogni dettaglio: «Ricordo un soldato tedesco, giovane, di forse 18 o 20 anni, morto probabilmente mentre cercava di fuggire. La mattina del 26 aprile il suo corpo fu trovato vicino alla porta, con la mano ancora aggrappata alla maniglia».
Oggi quella strada - all’epoca era Via Roma- si chiama Via XXV Aprile.
Certo, poi la guerra finì, i vivi piansero i propri morti ma la vita di paese proseguì alla ricerca di quella normalità dimenticata per cinque anni. Concludo riportando una frase, sempre dal libro di Papetti, che a mio parere esprime egregiamente l’assurdità della guerra: “Massimo Maffioli invece, con maggior senso pratico, scese in strada, segò la sbarra di legno del posto di blocco, se la portò a casa e ne fece legna da ardere. Così finiva il Terzo Reich a San Daniele Po.”
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commenti
Aureliano Galli
23 aprile 2024 20:54
Io, Aureliano Galli, nato e vivendo nel 1940, nella casa in fondo a via Roma, a 80 metri dov’è scoppiata la bomba il 25 aprile 1945, spezzando una parte del tetto della nostra casa…ricordo ancora con i miei 5 anni, di quella notte, il matrimonio morto erano quelli che facevano il pane, e alle 3 del mattino, avevano acceso una luce, dove “Pippo” vede la luce….e lanciò la bomba. Poi anche in ritirata del tedeschi, i feriti li depositavano nella chiesetta di Sant’Omobono, e noi bambini e ragazzi andavamo ad aiutarli, portandogli l’acqua, e loro ci ringraziavano dandoci pezzi del cioccolata.
Daniele Rescaglio
24 aprile 2024 05:17
Mio padre mi ha raccontato diverse volte di quella notte di paura, quando con mio nonno si affacciarono alla finestra di casa proprio di fronte alla chiesetta. Complimenti per la bella storia.