«Ne manca ancora uno!». Nel giorno dell’Assunta di ottant’anni fa, il sospirato rientro dalla guerra dell’ultimo dei fratelli Cariani. Il racconto
Odoardo, Mario e Umberto, i tre figli di Giuseppe Cariani e Paolina Azzoni, ebbero differenti destini nell’ultimo conflitto mondiale. Quello a cui andò meglio fu senza dubbio Odoardo, il primogenito. Come evitò la prima guerra mondiale, perché gli nacque a ridosso nel 1914, così, anche se fece di tutto per partire, evitò pure la seconda perché ritenuto inamovibile dalla struttura strategica dello stabilimento INA (Industria Nazionale Alluminio) a Bolzano. Mario, del 1920, finì invece in Sardegna in aeronautica, sebbene con gli aerei ebbe a che fare solo in qualche fotografia spedita a casa. Arrivati gli americani, tra i diversi impieghi, venne assegnato al caricamento delle bombe sugli aerei in partenza nelle missioni per il continente. L’ho sentito narrare di questo particolare sempre in termini sofferti, perché lo turbava il pensiero che una di quelle bombe da lui caricate potesse finire proprio sulla casa dei suoi genitori a Borgo Loreto. Tutto ciò però non accadde e fortunatamente l’abitazione di via San Quirico, oggi via Cipressi, non venne interessata nemmeno nel tragico lunedì 10 luglio 1944, risultando esterna alla strisciata del bombardamento americano su Cremona delle 10:47. Ad ogni modo “el Mariètt”, come veniva spesso chiamato, tornò a casa sano e salvo, ma il suo ricordo di quell’importante avvenimento è sempre stato segnato più da note di tristezza che di gioia. Percepito infatti un entusiasmo familiare al di sotto delle proprie aspettative, chiese: “Ma cosa c’è papà, non sei contento di rivedermi?”. Mio zio Mario non è mai riuscito a riportare integralmente la pur breve risposta che ricevette, l’ho sempre sentita rotta a metà, se non addirittura dal suo inizio, da una calda commozione quasi infantile, mai scomposta e mai sopita malgrado tutti gli anni che si erano ormai interposti: “Ne màanca amò öön!”.
Del ventenne Umberto, infatti, non si avevano notizie. Come ho raccontato, era stato costretto ad arrestare la sua lunga camminata verso sud, partita ai primi di marzo dalla zona di Dresda in Germania, data l’impossibilità di passare il fiume Inn, non c’era infatti un solo ponte in piedi. Arrivato a Passau a maggio, risalì per un po’ l’Inn e trovò infine sistemazione con un gruppo di italiani in una casa abbandonata a due piani nella cittadina di Ering, sulla sponda nord del fiume, di poco a monte di Passau, luogo della confluenza dell’Inn nel Danubio. In questa condizione sedentaria non si trovò poi male, tant’è che ammetteva la presenza una certa sua inerzia in quel periodo; aveva sentito della possibilità di raggiungere un campo di raccolta, ma lui se ne tirò fuori, non se la sentiva di rimettersi nuovamente in viaggio.
A parte la perdita di un compagno di casa che annegò nelle acque dell’Inn per fare un bagno, fu un periodo piuttosto sereno anche per il fatto che erano a stretto contatto con gli americani coi quali intrattenevano relazioni abbastanza amichevoli. Nella casa di Ering c’era un certo Sorge originario di Catania. Un soldato americano venutolo a sapere lo venne a contattare perché anch’egli, immigrato giovanissimo negli USA, era nativo di Catania. Ed in siciliano cominciarono a parlare dei ricordi sulla loro città, da quale quartiere provenissero, la via… “Morale della favola”, diceva a questo punto mio padre, scoprirono che entrambi erano stati allattati dalla stessa balia. Da quel giorno i problemi di reperimento viveri furono risolti definitivamente con sollecitudine e quantità caratteristicamente siciliane.
Le ragioni e gli spostamenti che portarono mio padre a riprendere la via verso casa non sono molto chiari, mio padre stesso ricordava confusamente tappe ed episodi che a volte venivano modificati, invertiti ecc. Quello che è certo è che ad agosto ormai iniziato andò di nuovo a Passau. In un paio di registrazioni da me effettuate, dice che ad Ering videro passare in lontananza un treno con gente che sventolava il tricolore e, attivatisi per capire la situazione, vennero successivamente a sapere della necessità di recarsi a Passau. Da lì vennero portati in auto in un campo di raccolta di istituzione italiana, ma non ha mai saputo dire dove fosse esattamente. Nella testimonianza che l’amico e compagno di avventura Guido Barbieri scrisse sulla Strenna dell’ADAFA 2002 si nomina a pag. 202 il campo per italiani a Salzburg; ma Barbieri, da cui, come ho raccontato, mio padre a un certo punto del cammino dovette separarsi, si trovava lì il 10 giugno e il 16 era finalmente a Cremona. Non saprei dire se si trattasse dello stesso campo; qualunque esso fosse, mio padre comunque ultimamente cercava di ricordare se fosse stato proprio in quel campo oppure altrove ad aver visto, cito dalla registrazione, “quei poveri cristi e il forno crematorio”. Noto che Barbieri, raccontando di quella sua ultima tappa, la denomina lager di Salzburg; ma il termine potrebbe avere un significato generico di luogo di raccolta e non specifico. Comunque sia, da quel campo per mio padre e i suoi compagni c’erano le partenze in treno fino ad Innsbruck, dove nel frattempo gli americani avevano ristabilito il ponte sull’Inn.
Passato il Brennero, sul treno che lo stava riportando in Italia venne a sapere di una fermata a Bolzano e che la sosta sarebbe durata più del solito. Quel tanto che sarebbe bastato, a suo giudizio, per scendere e trovare suo fratello Odoardo a casa sua; sapeva infatti dove abitava, essendoci stato prima della propria partenza per la guerra. Così alle 5 del mattino si trovava in via Augusta a urlare il suo nome: “Odoardo!”. E qui il racconto, come nella registrazione che qui riporto, si è sempre caricato di rinnovato stupore: “Mi ha risposto subito. Ma süübit, incredibile! Umberto!”. Si guardarono per pochi istanti, lui dalla strada e lo zio dalla finestra aperta al secondo piano, si era a metà agosto. “Sono tornato, ci vediamo a casa!”. E se la diede a gambe. Era proprio di fretta, sarebbe stato il colmo ritrovarsi nuovamente a piedi a giochi ormai fatti. Ripartito, in una stazione successiva buttò al casellante un foglietto da recapitare ai signori Postè, amici di famiglia, affinchè avvisassero casa del suo imminente arrivo. Aveva fatto lo stesso il 9 ottobre 1944 quando con la sua compagnia era stato improvvisamente messo su un merci e portato in Germania; erano stati questi amici cremonesi, spostatisi in Alto Adige prima della guerra, ad avvisare casa della sua nuova destinazione. Il treno fermò a Brescia e un camion di una ditta di cui non ha ricordato il nome, lo lasciò alla stazione ferroviaria di Cremona. Nel suo ultimo tratto di strada a piedi venne superato in bicicletta da un abitante del Borgo che filò a dare la notizia del suo arrivo.
Era il 15 agosto 1945, ottant’anni fa esatti. Il giorno dopo arrivò anche Odoardo da Bolzano, i tre fratelli erano di nuovo insieme. Come nella sua vita, anche nelle sue narrazioni mio padre ha sempre equilibratamente utilizzato due registri, quello della serietà, usando l’italiano, e quello della leggerezza, usando il dialetto. Con queste parole in italiano, a 95 anni d’età, ha concluso il suo racconto registrato il 15 ottobre 2020: “Noi tre fratelli avevamo i letti insieme nella camera che dava sulla Piazza d’Armi. La cosa che non voglio dimenticare è che la mattina, quando ci siamo svegliati, ho visto il papà e la mamma che si sono fermati alla porta a guardarci e poi si sono baciati. Non li avevo mai visti prima di allora. Una cosa magnifica!”.
Sotto il manto della Madre del Cielo, nel giorno della sua Assunzione, era stato ritrovato l’ultimo figlio e il futuro s’era riaperto: lì, al civico 11 di via San Quirico, quattro mesi dopo la conclusione ufficiale del 25 aprile, la guerra adesso era finita per davvero.
Nelle immagini Odoardo, Mario e Umberto Cariani coi genitori, foto 1929 e l'aviere Mario Cariani nella foto del 1940
© RIPRODUZIONE RISERVATA
commenti
Chemist
15 agosto 2025 07:32
Bel racconto, davvero commovente... Mio papà parlava malvolentieri dei tre anni trascorsi lontano da casa, troppi lutti in famiglia, troppa tristezza ricordarli