10 luglio 1944, cadono le bombe su porta Milano. Polvere e fumo. 150 morti. Il racconto di chi c'era
Oggi, con una cerimonia, si ricorda il bombardamento di Cremona e i tanti civili uccisi. Così Mario Levi, grande cronista, raccontava su Vecchia Cremona, quella pioggia di bombe sulla città.
10 luglio 1944. Erano le 9 o poco più; alla stazione i ferrovieri stavano lavorando; nelle strade vicine si svolgeva l'intenso traffico normale, i negozi erano pieni di massaie. Improvvisamente, si udì il rombo di una potente formazione aerea. Le sirene d'allarme non avevano suonato, nessuno pensava potesse trattarsi di una incursione nemica. E probabilmente, se le sirene avessero suonato in tempo, molti non se ne sarebbero preoccupati, tanta era ormai l'abitudine di udire quei cupi ululati, di veder passare le squadriglie ad altissima quota, dirette verso chi sa quali bersagli lontani. D'un tratto un tremendo boato riempì l'aria di spavento. Polvere e fumo, oscurarono il cielo a porta Milano. E, nello stesso istante, risuonarono gli ululati delle sirene d'allarme. Fuggire? Come? Dove? La morte incombeva. Le bombe precipitavano con un sibilo lacerante, scoppiavano con boati paurosi,le case cadevano in frantumi, nelle strade si formavano dei crateri, la polvere sottile rendeva l'aria irrespirabile.
Non durò che pochi minuti l'incursione, ma i danni furono enormi. Erano crollate tutte le case sul lato destro del piazzale di Porta Milano, alcune sui lato opposto, due o tre oltre l'angolo di via Dante, altrettante in via Palestro, alcune in viale Trento e Trieste. Nella stazione (punto di mira degli aerei) le rotaie erano divelte, alcuni locali di servizio distrutti, le pensiline, dalle colonnette spezzate e contorte, erano infrante, lo stesso edificio principale era assai danneggiato. Oltre la linea ferroviaria, al cimitero, lo spettacolo era tragico. Bombe vi erano cadute in gran numero, decine di tombe erano state distrutte, molte ossa affioravano dal terreno.
Cominciarono le opere di soccorso. Feriti ve n'erano un po' dappertutto nel quartiere. I morti, tratti dalle macerie dopo un lavoro a volte protrattosi per parecchie giornate, erano settanta, in maggioranza ferrovieri.
Quella fu la prima grande incursione aerea contro Cremona.
La prima, volta che gli apparecchi nemici furono avvistati nel nostro cielo, fu allo scoccare delle 3 della notte dell’11 giugno 1940 subito dopo la dichiarazione della guerra. Tornarono ogni sera per due settimane consecutive, ma passavano sulla città senza far danni. Poi, dopo la sconfitta francese, per quasi due anni gli aerei non furono segnalati. Fu soltanto nel giugno 1944, dopo la liberazione di Roma e l’occupazione della Normandia, che le incursioni ripresero.
Dopo il grande bombardamento della mattina dei 10 luglio, i cremonesi non ebbero che poche ore di riposo.
Verso le 17, le sirene dettero l’allarme e gli aerei, scesi a bassa quota, bombardarono la cosiddetta « linea Maginot », ch’era un grande deposito’ di carburante, lungo le rive del Po e tentarono di demolire il ponte. Non vi riuscirono, tornarono nei pomeriggio del 14 e dopo pochi tiri, il ponte era distrutto.
Da allora le incursioni aeree si sono succedute senza sosta, sino al 26 aprile 1945, quando già le forze partigiane avevano occupato la città. Se non erano bombardamenti massicci, come quello presso il Casermone, erano mitragliamenti che provocavano vittime e danni.
Al cimitero, sono sepolte 126 salme di vittime dell’arma aerea. Poichè alcuni morti vennero trasferiti in altre città e altri sono sepolti in colombai ed in tumuli, si può ritenere che a Cremona le vittime delle incursioni aeree siano state circa 150. Cronologicamente, possono essere forniti i seguenti elementi: Settantacinque morti il 10 luglio 1944; uno il 23 luglio; uno il 4 agosto; uno l’11 agosto; uno il 13 agosto; uno il 4 novembre; tre il giorno 8; uno il 18, uno il 22 e ben 12 il 15 dicembre 1944.
Per l’anno 1945, i dati sono i seguenti: 20 gennaio 6 morti; 21 gennaio nove morti; 22 gennaioi un morto; 25 gennaio due morti; 28 gennaio un morto; in febbraio (giorno 4) non vi fu che una incursione cruenta con un morto; in marzo tre incursioni con un morto ciascuna: il 16, il 21 e il 22. Nella incursione del 16 marzo, morì un uomo la cui moglie era rimasta vittima quattro mesi prima di un altro bombardamento aereo. Anche in aprile vi furono quattro incursioni: una il giorno 15 con 5 morti, una il giorno 20 con due morti; una il giorno 24 con 5 morti e l’ultima nella mattinata del 25 aprile, durante la quale un giovane venne ucciso.
Le vittime del 10 luglio 1944, non poterono essere sepolte immediatamente: il personale del cimitero, pur rinforzato da alcuni elementi, non fu in grado di scavare tante tombe che nel giro di alcuni giorni; i feretri in attesa di sepoltura, vennero provvisoriamente deposti sotto gli androni.
Un'altra testimonianza è quella della professoressa Lucia Zani che nel suo "Passato remoto...ma non troppo" racconta quel giorno terribile sotto le bombe.
Il 10 luglio 1944 gli aerei avevano come obiettivo la stazione ferroviaria, ma, più che la ferrovia, colpirono l'abitato e in un'ora del mattino in cui le massaie erano intente a fare la spesa, sicchè il piazzale di porta Milano, con i suoi negozi dall'uno all'altro lato, era frequentatissimo. Gli edifici che si affacciavano sulla Piazza Risorgimento furono interamente distrutti; così quelli del lato destro di via Dante, le case dell'attuale via Ghinaglia, il tratto di via Palestro che dalla stazione porta al viale Trento e Trieste. Inoltre fu colpito il cimitero e, marginalmente, la “Cavalli e Poli”, fabbrica di cornici e aste dorate conosciuta in tutto il mondo. A causa dell'incursione morirono molti ferrovieri colpiti in un campo oltre la linea ferrata, nella quale si erano rifugiati. Gli aerei, in formazione massiccia, ce li trovammo improvvisamente sul capo, senza che fosse suonato l'allarme. Mentre scendevano in cantina, già si sentiva il fragore sordo delle bombe. Praticamente non facemmo a tempo a spaventarci: il disastro era già avvenuto.
A mezzogiorno, il ragionier Luigi De Stefano, spaventatissimo per l'incursione che aveva toccato anche la “Cavalli e Poli” dove, appunto, si trovava...
Ma torniamo agli effetti dell'incursione. Dicevo che ci colse di sorpresa: non pensavamo che Cremona potesse costituire un obiettivo bellico; eravamo abituati agli allarmi notturni, quando c'erano i bombardamenti su Milano e si vedevano bagliori rossastri in quella direzione, pure a distanza di 70-80 chilometri. A Cremona c'era stato semplicemente un ricognitore, il 13 giugno dello stesso anno, che aveva lasciato cadere una bomba sulla casa d'angolo tra via Zara e via Montello, a meno di trecento metri dalla ferrovia. Questa prima esperienza è generalmente dimenticata. Ma il 10 luglio fu cosa ben più grave. Morirono ferrovieri, morirono massaie intente alla spesa, morirono tante persone nelle loro case. Tra gli altri, morì una cliente della pettinatrice Spotti, in via Palestro, mentre era sotto il casco: ebbe praticamente la testa staccata dal collo. Chi si trovò per strada in quel frangente, prese un grande spavento: così accadde alla mia amica Teresas Soldi (era il giorno del suo compleanno) che stava percorrendo il tratto di via Bergamon che porta sotto il ponte della ferrovia per Cremona-Milano e, per reazione, si mise a pedolare furiosamente verso Castagnino (oggi Castelverde). Spaventatissime furono anche Adriana Ranzi (figlia dell'architetto) e mamma, che stavano percorrendo in tandem viale Trento e Trieste e si buttarono a terra (nel racconto il drammatico diventa comico).
Il pomeriggio mi avventurai nella zona più disastrata. Quando da via Alfeno Varo sbucai su corso Garibaldi, videi ancora gravare sulla zona del piazzale un gran polverone ed enormi mucchi di macerie; vidi anche estrarre dalle macerie e posare su una barella il cartolaio di piazza Risorgimento, Valerani, che aveva il negozio pressapoco dove adesso c'è un ortolano. Era pallidissimo, sembrava morto e invec si salvò.
La sera, dopo cena, con la mamma facemmo un giro tra le macerie fino all'attuale via Ghinaglia; mia madre ne rimase impressionatissima, tanto che le pareva che un'ombra ci seguisse. A seguito del bombardamento, le donne che lavoravano alla Cavalli e Poli furono trasferite in zona prossima alla nostra e quando suonava l'allarme, alcune che conoscevamo, come Rita Alquati, venivano a rifugiarsi nella nostra cantina.
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