150 anni fa quella tragedia dimenticata sul Po: 23 ragazzi lavoratori del vimini annegarono di fronte a Motta Baluffi perché la loro barca affondò per il gran vento
La storia delle terre di Po non è soltanto quella che troviamo nei libri, nelle memorie delle persone, negli articoli di giornale ma è anche quella che si incontra in tante lapidi murarie che, da decenni o da secoli, sono collocate nei muri di chiese e palazzi, cimiteri (che, tra le altre cose, sono luoghi ricchi di storia se si ha la pazienza di andarsi a leggere le iscrizioni poste sulle lapidi), municipi e cascine.
A Stagno di Roccabianca (Parma), piccolo villaggio fluviale, posto di fronte a Motta Baluffi, la chiesa parrocchiale dedicata ai santi Cipriano e Giustina, recentemente sistemata e restaurata, conserva, sul muro interno della facciata, una lapide che ricorda un tragico fatto di storia, legato al Grande fiume: un naufragio avvenuto in Po, il 13 aprile 1875, nell’area compresa tra il Casalasco e il Parmense. Nel 2025, anno che è ormai alle porte, ricorrerà il 150esimo di quella tragedia (c’è quindi da sperare che sia adeguatamente ricordata, chissà magari anche con una cerimonia che veda incontrarsi le genti delle due sponde del Po) che costò la vita a ventitré lavoratori del vimini (altra attività, quella della lavorazione del vimini, che per tanti anni ha portato lavoro ad innumerevoli famiglie italiane dell’una e dell’altra riva, poi sono arrivate le “cineserie” con le loro concorrenze sleali e, grazie a chi guarda sempre e solo il dio denaro e dimostra di essere totalmente privo di qualsiasi forma di patriottismo, molte aziende italiane dei nostri territori hanno dovuto chiudere i battenti, tanto per cambiare) tutti in giovane età. “Luttuosa e memoranda – si legge nella targa – la sera del 13 aprile 1875. Ventitrè poveri lavoratori di vimini, quasi tutti giovanetti, ritornavano d’Oltrepo’ vargando il fiume su piccolo battello quando un vento impetuoso prese a imperversare contro all’onde. Il barcajuolo vogò buon tratto di fronte alla bufera, ma i flutti riempivano d’acqua il legno e i soccorrenti dalla procella sbattuti a riva. Què lavoratori spaventati trassero supplichevoli a poppa e il turbine furibondo sollevando la prora sommerse a un grido straziante barca e viventi. Infelici! Per voi non ebbe il mondo che sciagura sopra sciagura: Dio giusto misericordioso vi dia ristoro e pace”.
Un italiano chiaramente d’altri tempi, ma facilmente comprensibile. Ci sono poi i nomi delle vittime: Giambattista Gonzi di 31 anni (portolano); Costante Cocchi, 50 anni, con la figlia Angela di 21; Giovanni Ferrari di 50 anni con i figli Enrico di 18, Vittorio di 16, Ferdinando di 10 e Maria di 12; Fermo Ariozzi di 15 con i fratelli Aldino di 11, Balsamino di 10 e Adelina di 10; Domenica Artusi di 22; Marcellina Galli di 14 e la sorella Alberta di 11; Celso Rodini di 11 con il fratello Luigi di 9; Fecondo Concari di 11 e Giuseppe Tei di 10; Annunciata Maccarini di 15; Sofia Coppini di 11; Francesca Pellegrini di 14; Isaia Azzali di 12. Il solo a salvarsi, nuotando, fu il 14enne Giuseppe Cocchi.
“Carità sovvenne da vicini e da lontani paesi – si legge ancora nella lapide – le famiglie desolate che posero piangenti questo triste monumento”. Una sciagura di cui sta per ricorrere il 150esimo, sperando non finisca nel dimenticatoio (o menefreghismo). Con l’auspicio che possa essere adeguatamente ricordata e celebrata, con il coinvolgimento delle due rive del Po e, magari, con nuovi approfondimenti che possano far luce e fornire maggiori dettagli su quanto avvenne quel 13 aprile 1875. Ma non è finita perché a poche decine di metri dalla piccola, bella chiesa dei santi Cipriano e Giustina, nel silenzio e nel verde della campagna, sorge invece il modesto camposanto che conserva, sulla facciata, un’altra significativa memoria storica: quella di un gesto eroico che ebbe per protagonista una ragazza, Rosina Bianchi di appena 19 anni. I fatti risalgono al 19 giugno 1916, quindi nel bel mezzo della prima guerra mondiale. “Bianchi Rosina di Carlo – si legge nella lapide – generosamente sacrificava la giovane vita per salvare il nipote Carnevali Faustino travolto e perito in un gorgo del Po. La Fondazione Carnegie premiò con danaro e medaglia al valore l’atto generoso che volle ricordato ai venturi come esempio di civili virtù”. Giusto aggiungere, a questo riguardo, che La “Fondazione Carnegie per gli atti di eroismo (Hero Fund)” è un Ente morale con sede presso il Ministero dell’Interno, istituito con regio decreto 25 settembre 1911, allo scopo di premiare gli atti di eroismo compiuti da uomini e donne in operazioni di pace nel territorio italiano, per mezzo del fondo elargito dal filantropo americano di origine scozzese Andrew Carnegie. La Fondazione è amministrata da un Consiglio di Amministrazione composto da nove membri, dei quali uno è l’ambasciatore pro tempore degli Stati Uniti d’America e gli altri otto sono nominati a vita. Le ricompense della Fondazione Carnegie consistono nella concessione di medaglie d’oro, di argento e di bronzo, con relativo diploma, attestati di benemerenza ed eventuali premi in denaro. Stagno Parmense, piccolo borgo la cui storia è fortemente legata al fiume (con fatti che spesso, per ovvi motivi, si sono intrecciati con quelli del territorio cremonese e casalasco) nel corso dei secoli ha avuto ben tre chiese. La prima, eretta in epoca imprecisata, fu demolita, perché fatiscente, nel 1675 e tre anni più tardi (nel 1678) venne realizzata quella successiva, distrutta poi tra i mesi di ottobre e novembre del 1846 a causa dei gravi danni causati dalla furia del Po in piena. Dal fiume distava circa un chilometro, era decorata da Ferdinando Galli da Bibiena e trascorsero quasi vent’anni prima che il paese fu arricchito di una nuova chiesa, quella attuale, eretta tra il 1863 e il 1864 (con i cittadini che, come raccontano le memorie storiche locali, riutilizzarono i mattoni della vecchia chiesa per la costruzione della nuova) ed aperta al culto nel 1865. Proprio dalla vicenda delle chiese sommerse dal Po è nata la leggenda delle campane che suonano, tra le acque del Po, la Notte di Natale, di cui si è scritto in questo servizio https://cremonasera.it/natale/la-leggenda-delle-campane-della-chiesa-sommersa-dal-po-che-suonavano-a-natale. Altra data storica che va infine citata perché riguardante entrambe le rive del fiume è quella del 1796 quando la parte della parrocchia di Stagno Parmense che era sulla sponda sinistra del Po, passò sotto la giurisdizione delle chiese cremonesi di Sommo Con Porto, San Daniele Po, Solarolo Monasterolo, Motta Baluffi e Torricella del Pizzo. Vicende, date e fatti su cui si fonda e si è costruita la nostra storia. Quella storia che tutti, nessuno escluso, dobbiamo imparare a mantenere viva, fissandola negli scritti, per lasciarla (esattamente come facevano i nostri antenati) a chi verrà dopo di noi. Perché se è vero che, come recita un vecchio e celebre adagio “La storia siamo noi” è altrettanto vero che per esserla dobbiamo tenerla viva, costruirla e scriverla, sempre, senza tralasciare nulla: nemmeno le cose più semplici che ci sembrano appartenere alla solita quotidianità.
Eremita del Po
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commenti
Lilluccio Bartoli
23 dicembre 2024 07:58
Le storie impregnate di storia che descrivi, danno un alto valore alla Bassa. La storia è quella sedimentazione che il pulviscolo del tempo ha depositato in noi e sulla quale poggiano le nostre fondamenta. Tu, ritrai quel pulviscolo al ralenty, ne ingrandisci le particelle e mentre decantano ce le mostri rendendo ferace quel che abbiamo a sud della forfora.
Stefano
26 dicembre 2024 14:04
A proposito di "cineserie" citate con disprezzo, dico che c'è da ringraziare i cinesi se tanti locali pubblici non finiscono al macero, perché non c'è nessun Cremonese doc, ma anche in altre province, che si interessi a rilevare certe aziende per cui queste sono facilmente cedute agli asiatici. E penso anche a quei servizi, gestiti da ottimi cremonesi, che vendono strumenti che nel giro di poco si guastano,e che poi a ripararli si guastano ancora peggio o smettono di funzionare del tutto e allora i loro venditori/ riparatori figuriamoci sotto le feste dove finiscono. Irreperibili, due settimane di vacanze a sciare in Valdobbiadene? E allora a riparare le incaute vendite e le incaute riparazioni in regime di prolungare vacanze in assoluto stato di irreperibilità chi trovi? Sempre i cinesi. E allora non lamentiamoci se poi gli asiatici prendono il sopravvento.