2 novembre 2024

Commemorazione dei defunti al Cimitero. Il Vescovo: «Cremona rinnovi la sua scelta di campo, dalla parte della vita e dei piccoli». Inaugurato lo scalone monumentale

«Cremona rinnovi la sua scelta di campo, dalla parte della vita, dalla parte dei piccoli, dalla parte di tutti, perché anche la morte non abbia l’ultima parola su di noi». È questo il monito che il vescovo di Cremona, mons. Antonio Napolioni, ha rivolto alla città in occasione della preghiera per i defunti presieduta come tradizione nel pomeriggio di giovedì 2 novembre presso il Cimitero di Cremona.

Una celebrazione che quest’anno si è rinnovata, in un clima più primaverile che di autunno, presso il monumento centrale del cimitero, nel lato verso l’ingresso principale del camposanto.

«Non mi dispiace essere contro sole» ha detto il vescovo ai tanti fedeli presenti. «Quando si chiudono gli occhi al sole entra quel rosso, caldo e ricco di sfumature: il colore dell’amore, il colore della vita, il colore del mistero di questa giornata, forse eccessivamente primaverile, ma che ci fa godere in questo luogo, rendendolo meno triste e più aperto al futuro». Perché tornare ogni volta al cimitero significa «riconciliarsi ogni volta un po’ di più con quella pagina della vita di famiglia, con quella persona: se non ci siamo riusciti prima, siamo ancora in tempo per dire grazie», ha detto monsignor Napolioni.

Riflettendo sul brano evangelico di Matteo sul giudizio finale (Mt 25,31-46) il vescovo ha voluto mettere in guardia da una terza categoria cui il testo non fa riferimento: «Da una parte le pecore, dall’altra le capre. Ma mancano i lupi», ha detto evidenziando che «non si parla di chi ha fatto il male». Eppure «la storia umana è continuamente segnata da questi fatti».

E allora se «ci sono affamati che vengono dimenticati, ma ci sono anche affamati che vengono ulteriormente affamati, lasciati morire volutamente senza il necessario». E ha proseguito: «Ci sono assetati ai quali avveleniamo i pozzi» e «stranieri che non solo ignoriamo, ma che combattiamo, cacciamo e perseguitiamo». «Uomini nudi che non rivestiamo e ai quali strappiamo anche la pelle». Il pensiero è andato anche ai malati che non vengono curati o i cui ospedali sono bombardati. Il vescovo non ha voluto tralasciare neppure la situazione delle carceri, interrogandosi se si tratta di luoghi «capaci di fare uscire migliori coloro che hanno sbagliato, oppure se rischia di essere un ghetto dal quale si impara ancor di più a non fidarsi della società e a tornare peggio di prima».

«Anche noi potremmo essere lupi» ha messo in guardia il vescovo: «È il mistero del male!». «Dio è talmente il Dio della vita da non voler nemmeno pensare che qualcuno ami talmente il male, il diavolo, la violenza, la morte da farne la sua attività principale. E non ci dice la sorte che gli riserva». La fede però insegna quali sono le vie dopo la morte: «Inferno, Purgatorio e Paradiso. Non luoghi, ma condizioni misteriose di pienezza di vita e di gioia, di purificazione crescente e di solitudine estrema».

Da qui l’invito a riscoprire il senso del bene e del male, insieme a quello della vita e della morte, «educando le nostre coscienze alla verità che ci libera». «E allora per me – ha detto ancora il vescovo – la via su cui trovare risposta a questo mistero indicibile è solo il Cristo crocifisso, icona del male diabolico: uccidere Dio, suo figlio, renderlo infame, mentre è il più bello tra i figli dell’uomo. Lì noi vediamo l’icona e la realtà di quel sangue e quella carne umanissima che il Padre eterno ha voluto per suo Figlio, perché la Speranza avesse l’ultima parola».

Accanto al vescovo c’erano il vescovo emerito Dante Lafranconi e i sacerdoti della città con il vicario zonale don Pietro Samarini e il cappellano del cimitero don Achille Bolli. Presenti anche le autorità civili e militari, con il sindaco Andrea Virgilio.

Dopo l’aspersione delle tombe e l’incensazione, e la benedizione impartita su tutti i presenti, i sacerdoti insieme ai presenti si sono portati all’ingresso del cimitero dove è stato inaugurato, dopo il restauro, lo scalone monumentale. Dopo il breve intervento dell’assessore alle Opere pubbliche e Urbanistica del Comune di Cremona, Paolo Carletti, la benedizione da parte del vescovo che, richiamando il nome “Scalone della Pace”, ha fatto riferimento al Salmo 84 “La verità germoglierà dalla terra e la giustizia si affaccerà dal cielo” auspicando che l’uomo, invece di farsi giustizia da sé, possa sempre cercare la verità mettendo le basi per costruire una pace autentica. 

Lo scalone monumentale

Il progetto della scalinata, datato settembre 1928, è legato alla costruzione del nuovo cavalcavia del Cimitero, che si rese allora necessario come collegamento tra due parti della città divise dalla ferrovia. La parte tecnica del progetto fu affidata all’ing. Contuccio Contucci Quintani, mentre la parte architettonica della zona centrale, relativa alla scalinata, fu studiata dall’arch. Aldo Ranzi, che si ispirò ad una composizione classicheggiante con l’aggiunta di assonanze art deco. Questa gradinata, progettata come costruzione monumentale in quanto situata di fronte all’ingresso del Cimitero, si configura come una costruzione simmetrica composta da due rampe contrapposte con al centro la struttura ad esedra. L’architettura della parte centrale, grazie alle masse movimentate sia dell’esedra che delle gradinate laterali, si ispira all’arte classica, pur avendo un carattere di linearità e semplicità tipici dei primi anni del Novecento. Le grandi nicchie dell’esedra e le due piccole timpanate poste ai lati con i loro giochi di ombre concorrono a rimarcare l’austera linea architettonica utilizzata.

Il pavimento dell’esedra è stato realizzato con decorazione a mosaico di maiolica di ispirazione romana, mentre per la restante pavimentazione sono state utilizzate lastre di Botticino e Varenna. Tutto il rivestimento dell’esedra, delle nicchie e dei muri delle gradinate sono in pietra Botticino. Lo zoccolo, le cornici, le colonne, le trabeazioni ed i timpani sono realizzati in pietra detta “Corna Bò”, una pietra dal colore grigio volutamente scelta per distaccarsi dal beige della pietra di Botticino. Per le soglie davanzali contorni di porte e finestre sono stati fatti dei getti in calcestruzzo di cemento con superficie a vista con malta di cemento a colore naturale e con colorazione a finta pietra lisciata o battuta alla martellina.

Le nicchie delle esedre erano state destinate alla collocazione di statue bronzee a ricordo dei caduti della Rivoluzione fascista, mentre le nicchie laterali erano state studiate per accogliere trofei e fasci littori anch’essi in bronzo. Sotto la cornice era prevista l’incisione in lettere di bronzo, mentre nelle parti laterali semplici corone sorrette da figure alate sempre in bronzo. Era stata inoltre ipotizzata l’incisione dei nomi dei caduti fascisti nelle piastre di rivestimento dell’esedra e negli spazi tra nicchia e nicchia. A completare la monumentalità del complesso le luci per l’illuminazione fatte in bronzo a forma di fiaccola.

L’intervento strutturale ha riguardato principalmente il consolidamento del manufatto in cemento armato che sostiene le rampe e del dissesto dei sistemi lapidei di rivestimento e di finitura dello scalone, quali paramenti lapidei, gradini e balaustre.


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