Crollano parti dell'antico mulino di Spinadesco (risalente al '400) di proprietà dell'Ospedale di Cremona. All'interno le straordinarie testimonianze delle attività di macinazione di grano e riso
E' a rischio una delle testimonianze storiche più antiche di Spinadesco: l'antico Mulino lungo la strada per il cimitero risalente addirittura al Quattrocento. La pioggia di questi giorni ha intriso i vecchi muri, alcuni dei quali sono crollati; cedimenti anche sul tetto. Alcuni residenti ci hanno segnalato lo stato di degrado della struttura. L'antico mulino, forse il più vecchio ancora esistente in provincia, è di proprietà dell'Ospedale di Cremona. Il mulino fa parte di una cascina che si sviluppa attorno ad un'ampia corte: abitazioni, tettoie per il ricovero degli animali e lo straordinario mulino. Le macine a grano e riso hanno girato fino alla fine degli anni Sessanta azionate da due turbine. Nonostante il degrado è possibile vedere anche oggi gli apparati più importanti del mulino: le macine, le turbine, le tramogge, il ventilatore per la pila del riso, cinghie e pulegge. Ed ancora le antiche attrezzature del mulino in legno e metallo. Il mulino di Spinadesco entrò qualche tempo fa nella campagna dei luoghi del Cuore della Delegazione Fai di Cremona. Purtroppo nessun ente se n'è mai fatto carico lasciando degradare senpre più questa straordinaria testimonianza. Fino ai crolli di questi giorni. Pensate che, come si legge sul sito del Fai, nel 1405 il marchese Antonio Cavalcabò possedeva nel territorio di Spinadesco beni che nel suo testamento, ancora reperibile presso l’Archivio di Stato di Cremona, destinò alle figlie legittime Francesca, Ginevra e Isabella e ai loro eredi. Tra questi beni erano compresi terreni, cascine ed anche un mulino . Nel caso in cui le figlie suddette fossero morte senza prole, il marchese stabilì che il suo patrimonio fosse venduto a cura di un curatore testamentario ed il ricavato fosse destinato “ad pias causas”, ovvero “pro animas ipsius testatoris et defunctorum suorum”. In altre parole stabilì che, in quella particolare circostanza, i suoi beni fossero donati o venduti ed il ricavato usato in suffragio della sua anima e delle anime dei suoi cari. Alcuni anni dopo, tuttavia, sotto la signoria di Cabrino Fondulo, questi beni vennero confiscati al marchese Cavalcabò dalla Camera Ducale con l’accusa di infedeltà e dal Fondulo mantenuti fino alla sua morte. Venduti successivamente a Pio degli Eustachi di Parma, questi beni passarono poi legittimamente ed in buona fede al figlio di questi, Antonio, ma nel 1462, il vescovo di Cremona, Venturino de Marni, dopo che venne riconosciuta infondata l’accusa di infedeltà con la quale i possedimenti del marchese Cavalcabò erano stati confiscati, si adoperò perché fosse data piena attuazione alle ultime volontà del marchese ed ottenne, con bolla papale, che i beni da lui donati al Consorzio del Santo Spirito potessero essere riscattati dall’ospedale di S.Maria della Pietà, da poco costituito per fusione dei i vari ospedali della città e nel quale era confluito anche il consorzio suddetto. Il mulino, già di proprietà dell’Azienda Ospedaliera di Cremona ora è dell'Azienda Socio Sanitaria Territoriale di Cremona. L’ultimo mugnaio fu il sig. Rabaiotti che abitò la cascina in cui è collocato il mulino con tutta la sua famiglia. Prima di lui, come si legge sulla pubblicazione ‘Spinadesco si racconta …’, “era gestito dalla famiglia Manara".
Il fotoservizio è di Gianpaolo Guarneri (Fotostudio B12)
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commenti
anna Lucia Maramotti Politi
27 febbraio 2024 15:55
E' triste costatare come un'altra memoria della nostra identità culturale subisca un grave degrado. Quanto sembra che non si voglia capire è che le memorie non documentano solo il passato, ma sono testimonianze che ispirano il presente. La Cremona agricola ed imprenditoriale è una realtà che dovrebbe essere di sprono per iniziative non certo da imitare (i tempi d'oggi sono differenti da quelli del passato), ma a cui far riferimento per lasciarsi sollecitare e uscire da atteggiamenti rinunciatari o, quel che è peggio, abulici. Esercitare le lamentele è atteggiamento che si deve lasciare a chi emotivamente individua il malessere, ma non ha gli strumenti culturali per opporsi concretamente. E' dovere fornire a tutti tali strumenti: questo è il primo segno di una democrazia che ha come obiettivo la promozione della persona.
Mi corre pertanto l'obbligo di ricordare che, se la manutenzione dei nostri beni è un obbligo, le competenze scientifiche a tal fine sono a nostra disposizione. Già, Viollet le Duc osservava come il restauro sia disciplina "nuova" perchè consta nella consapevolezza del valore del passato per la cultura presente. La novità consiste proprio nel sapere individuare nella storia stimoli per reagire all'autoreferenzialismo. Se poi, in nome di un falso atteggiamento ideologico, si dimentica la coesione fra passato e presente, fra presente e futuro si perdono "documenti" che nessuno ci potrà rendere. Questo è quanto oggi tristemente osserviamo. Non è certamente un restauro stilistico quello che qui si propone, ma una conservazione attiva.
Daniro
27 febbraio 2024 18:43
Se fosse un bene privato poco si potrebbe fare, come purtroppo succede a tanti edifici rurali e cascine anche di interesse storico ambientale che stanno crollando o sono già obliterate. Ma qui si tratta di una proprietà di un'azienda pubblica che avrebbe il dovere, sottolineo il dovere, di salvaguardare un patrimonio materiale inestimabile che fa parte di ambienti e paesaggi tutelati dalla Costituzione.
Marco Ermentini
27 febbraio 2024 18:59
È un vero peccato, il mulino è un edificio eccezionale con una lunga storia sin dal 1400 e una testimonianza importantissima dell’arte molitoria. Possedeva sino a qualche anno fa anche i meccanismi originali per il funzionamento con le caratteristiche cinghie in pelle di cammello. Dopo un primo restauro venti anni fa avrebbe dovuto divenire il centro di documentazione dei mulini della provincia, poi non se ne fece più nulla, una occasione perduta… speriamo che il progetto venga ripreso prima della perdita definitiva di un testimone della presenza di un altro glorioso tempo all’interno del nostro tempo. Questo patrimonio è una specie di cerniera tra il nostro passato e il nostro futuro.
Alessandro
27 febbraio 2024 21:15
Vita brevis, ars longa, occasio praeceps, experimentum periculosum, iudicium difficile
Michele de Crecchio
28 febbraio 2024 18:17
Il piccolo, ma attivo, comune di Spinadesco, pur tormentato da una collocazione territoriale e da problematiche di sviluppo produttivo tra le più complesse della intera provincia, si è caratterizzato, negli ultimi anni e nonostante la estrema modestia delle risorse disponibili, per la particolare attenzione che porta alla tutela dei suoi valori storici e ambientali. Purtroppo, all'indubbio e costante impegno dell'ente comunale, non hanno adeguatamente corrisposto le iniziative e le attenzioni operative degli altri enti superiori che, soprattutto a causa di bislacche riforme legislative ed organizzative, non riescono attualmente a garantire al piccolo Comune quella attenzione e quella collaborazione che sarebbero necessarie e doverose, stante anche i notevoli sacrifici ambientali dei quali Spinadesco ha dovuto farsi carico, nell'interesse generale dello sviluppo economico ed occupazionale del territorio circostante.