5 settembre 2023

Dal 16 settembre al museo diocesano una mostra dedicata a Felice Giuseppe Vertua, uno dei più grandi vedutisti lombardi, cantore del paesaggio cremonese

A tre anni di distanza dal bicentenario della nascita Il 16 settembre 2023 alle 11 inaugura al Museo Diocesano l'attesa mostra sul pittore cremonese Felice Vertua. L’obiettivo dell’esposizione è di raccogliere circa 20 opere di Vertua al fine di studiarne per la prima volta lo stile, la personalità artistica, i luoghi rappresentati e l’evoluzione del paesaggio cremonese dal XIX secolo ad oggi. La mostra porterà alla luce la sua storia, fino ad oggi rimasta completamente oscura, e quella di tutta la sua famiglia. Vertua, scomparso nel 1862, sicuramente è una presenza tutt'altro che marginale nel panorama del vedutismo lombardo della prima metà del XIX secolo, ma di cui nulla si sa riguardo alla formazione artistica, all'attività svolta e alla committenza che lo sostenne nella sua attività.

Sicuramente è attratto dalla pittura del veronese Giuseppe Canella, al quale si avvicina tecnicamente e stilisticamente. Come lui, dipinge vedute di genere, ma soprattutto dedica una grande attenzione alle vedute di Cremona, facendo propria una tendenza assai diffusa tra i vedutisti del suo tempo, che li spingeva a  rappresentare la propria città, negli angoli più caratteristici o nei monumenti più significativi, secondo un genere didascalico che a Cremona aveva già trovato in Carlo Gilio Rimoldi un esponente di rilievo. Il rapporto con l'artista veronese, di cui peraltro non si è ancora riusciti a stabilire i confini fisici e temporali, è testimoniato oggi dal recente rinvenimento, sul retro di un dipinto di Canella, della dedica autografa all'amico cremonese: “Giuseppe Canella donò /a Felice Giuseppe Vertua”.

Felice Giuseppe nasce da Alessandro Vertua e Teresa Zagni nei Corpi Santi di Cremona il 17 maggio 1820 e muore il 25 luglio 1862 in Contrada Bassa 18. Sappiamo che era sposato con Giulia Manusardi Rastelli, ma non aveva figli. Nel 1859, quando realizza la tavola “risorgimentale” con il bivacco dei soldati francesi in palazzo Persichelli, abitava in via Dogana 2.

Al primo periodo della sua attività, quando Vertua mostra di aderire ad un convenzionalismo romantico già diffuso a Cremona con i piccoli dipinti rotondi di Michele Speltini, appartengono quattro piccoli quadretti di paesaggio conservati al Museo Civico Ala Ponzone in cui compare quella luminosa atmosfera rosata che diventerà una caratteristica nelle grandi rappresentazioni. Si tratta di quattro paesaggi in miniatura dipinti su vetro, secondo la pratica del fixé, molto diffusa nel primo Ottocento ma finora unico caso noto nella pittura di Vertua che consisteva nel dipingere a olio in punta di pennello, come fosse una miniatura, su un supporto di tela finissima poi incollato sul retro di un vetro dal quale il dipinto non può più essere dissociato. I quattro paesaggi, ancora allogati nella cornice originaria, giunsero nelle collezioni museali cremonesi nel 1886 con il lascito del collezionista Giuseppe Bussani.

Rappresentano quattro vedute di paese che, lette in senso antiorario a partire dall'alto a sinistra potrebbero alludere alle quattro stagioni, rispettivamente: un paesaggio alpestre con cascata e una contadina (primavera), un notturno lacustre con barca e figure (estate), un paesaggio con grande albero e due viandanti su sfondo di montagna (autunno), un gruppo di contadini che si scaldano a un falò in un paesaggio innevato (inverno). Secondo Mario Marubbi “dal punto di vista esecutivo, nella scrittura immediata e nell'utilizzo di una punta a sgraffio (probabilmente il manico capovolto del pennello) si riscontrano analogie con il consueto operare del Vertua. L'afflato romantico e l’atmosfera di pulviscolo dorato rimandano alle più forti suggestioni della pittura canelliana, forse qui neppure disgiunte dalla conoscenza di altri maestri lombardi a lui affini quali Luigi Basiletti, Costantino Rosa o Giovanni Renica, mentre nel paesaggio col grande albero (l'autunno) sembra già di cogliere qualche eco del naturalismo del Piccio”.

Il passaggio alla grande rappresentazione coincide con la scoperta delle vie, delle piazze e degli ambienti cittadini in cui si svolge la vita, come attraverso una lente d'ingrandimento che dalla visione generale porta via via l'attenzione a fissarsi sui singoli particolari.

Così, ad esempio avviene nelle gustose scenette della Festa di Santa Lucia o nel bivacco dei soldati francesi in palazzo Persichelli del 1859. Al di là della scena storica, che il titolo stesso suggerisce, la tavola si inserisce nella corrente risorgimentale. E' interessante notare l'impianto prospettico chiamato a misurarsi con una serie di portici ad archi a tutto sesto. La prospettiva è centrale, e il punto principale coincide con il punto focale al centro della rappresentazione su cui lo sguardo dell'osservatore è quasi costretto ad appuntarsi. Grazie alla serie di linee parallele al quadro prospettico, che sono le catene degli archi, si apprezza la profondità e il volume dello spazio del porticato sotto il quale si svolge la scena. Interessante anche il sapiente gioco di luci ed ombre.

In altri casi la rappresentazione del paesaggio tocca vertici di assoluto lirismo che superano il vedutismo tradizionale secondo un concetto di paesaggio assoluto in cui lo spazio si trasfonde in luce e fuoco, dove i rossi ed i bruni del suo linguaggio acquistano un'estrema densità pittorica. Come avviene nello splendido “Tramonto sul Po” del 1852 donato alla Pinacoteca civica nel 1906 dal marchese Antonio Sommi Picenardi in cui Mario Marubbi vede il punto di massima adesione alla pittura di paesaggio del veronese Giuseppe Canella: “Dal punto di vista compositivo il paesaggio è concepito secondo i più tipici moduli canelliani, diffusi dalle tante sue vedute del Monte Rosa e delle Prealpi lombarde, cui Vertua sembra rifarsi anche nel ductus pittorico. Una deserta brughiera ondeggiante al vento digrada verso il lento scorrere del fiume: striscia d'argento che riflette l'imbrunirsi

del cielo, tingendosi di rosa nel pulviscolo del tramonto. Per dimensioni, materiale (cartone), approccio libero e sciolto della pennellata il piccolo paesaggio lascia intendere che possa trattarsi di una prova o uno studio en plein air in funzione di un'opera maggiore: una sorta di appunto di lavoro in grado però già di codificare in chiave cromatica le più intime sfumature emotive, di tradurre in colore il profondo sentimento romantico in una sorta di panteismo naturalistico. Nei pochi tratti delineati del paesaggio, nella stesura immediata della pasta cromatica l'opera rivela già la fulminea percezione dell'artista, in grado di cogliere e interpretare l'alta gradazione poetica del dato naturalistico”.

La stessa atmosfera crepuscolare torna in una piccola scena di genere molto diffusa nell'Ottocento con un gruppo di contadini che danzano nella radura di un bosco all'ora del tramonto, con figure poco più che abbozzate che testimoniano lo scarso interesse dell'artista per la rappresentazione della figura umana, poco più che un pretesto rispetto alla prevalenza data al paesaggio. E' qui che l'impegno descrittivo dell'artista, che attinge a varie ascendenze culturali trovando soluzioni analoghe a quelle applicate dal Piccio nei paesaggi ispirati all'Adda o al Brembo, ne fa il cronista più attento del suo tempo, a cui dobbiamo le più originali testimonianze urbanistiche dell'Ottocento cremonese.

E' il caso della splendida veduta di Cremona dalla cappella di San Rocco, attribuita in un primo momento a Giulio Gorra ed ora riportata pienamente nel catalogo di Vertua nella fase in cui si avverte maggiormente la dipendenza dai modelli canelliani: “La veduta - scrive Marubbi - è una importante testimonianza dell'antica topografia cremonese: la strada è la ‘Giuseppina vecchia’, ossia l'antica via per Casalmaggiore, attualmente via San Rocco per la presenza della cappella dedicata al santo di cui si nota appena il portichetto addossato alla facciata. In lontananza si profilano i tetti e i pinnacoli della cattedrale col Torrazzo e le altre torri della città, un poco spostate verso sinistra rispetto alla situazione reale, per comprensibili esigenze compositive. La presenza di una superficie acquorea è intuibile nel dipinto tra i cespugli a sinistra e nella situazione attuale pare corrispondere a un bodrio ivi esistente. Il sentiero che si stacca dalla strada a sinistra in primo piano portava, come ancora oggi, alla cascina San Rocco che dall’antico sacello aveva preso nome. L'unico elemento architettonico rimasto immutato, per quanto di recente ristrutturato, è l'edificio rurale sulla destra con portico su tre pilastri, di caratteristiche forme primo-ottocentesche”.

La stessa attenzione descrittiva, con l’unica eccezione della prevalenza dell'elemento atmosferico che condiziona in senso cromatico ed emozionale la descrizione paesaggistica, è presente nella veduta di Cremona sotto un temporale, datata al 1850, dove, utilizzando l'espediente del ritorno a casa, verso una delle cascine sparse intorno alla città, di una famiglia a bordo di un carro trascinato da tre cavalli, l'artista illustra con dovizia di particolari l'attuale via Bosco, che costeggia l'antica ansa del Po verso Bosco ex Parmigiano. “Un forte vento di ponente scompiglia le chiome degli alberi in primo piano e accumula sulla città nuvole nere e cariche di pioggia, annunciando l'imminente nubifragio che sta per abbattersi nell'ora tarda del pomeriggio. Di contro al cielo incupito si staglia il profilo luminoso della città, dominata dalla mole del Torrazzo e della cattedrale, l'abitato ancora compatto dentro e a ridosso delle mura, con le sue torri e i suoi campanili, tutti facilmente riconoscibili. È in dipinti come questo che Vertua dimostra la sua abilità non solo nella definizione degli elementi architettonici che identificano la classica veduta cremonese, ma anche nella resa dell'atmosfera, delle condizioni meteorologiche e, per suggestione in chi abbia sperimentato simili esperienze, le sensazioni olfattive dell'aria carica di ozono, quelle tattili della polvere sollevata dal vento, quelle acustiche dello stormire delle foglie dei pioppi agitati dal fortunale”.

Del 1853 è l'altra interessante veduta di Cremona vista dalla sponda piacentina del Po, donata dalla Banca Popolare al Comune di Cremona nel 1978, dopo essere finita ad Amsterdam, scambiata per una veduta di Verona dalle rive dell'Adige.La città è vista nel punto in cui attraccava il traghetto. “La descrizione pittorica - scrive Alfredo Puerari - vuol lasciarsi credere presa dal vero, dal tratto tra il primo e il secondo Baracchino, ma procede per scelte e indicazioni, in modo da non escludere nessuno degli edifici principali dal prospetto della veduta”. Partendo da destra sono visibili il campanile di S. Sigismondo, quello di san Michele, il torrione cilindrico del palazzo Mina Bolzesi emergente dalla macchia verde del giardino che sovrasta la chiesa di San Vitale, la facciata della Cattedrale domina il centro cittadino accanto al Torrazzo ed alle torri civiche, davanti è la chiesa di San Pietro dietro la quale si intravede un tratto della chiesa ed il campanile di San Domenico, San Marcellino e più indietro il campanile di San Siro e Sepolcro. Osserva ancora Puerari nel 1978: “La sponda cremonese ha una cornice di vegetazione spontanea, oggi sostituita dalle opere di difesa successive. Il  Po mostra quello che dovette essere il suo canale più costante negli ultimi secoli e appare lo stesso di un cinquantennio fa quando non esisteva l'attuale pennello. La riva si spinge fin quasi sotto l'abitato, con piante basse e qualche albero d'alto fusto. L’esigenza del pittore di fare apparire la città al di sopra della fascia boschiva ne accentua idealmente la vicinanza al fiume. Da un diverso punto di osservazione, complementare al primo, al di qua della riva sinistra, si slarga la parte della veduta più prossima e che per prima cade sotto gli occhi: un quadro a sé nel quadro, con largo respiro d'aria e di luce, che salda il panorama urbanistico a uno scorcio di vita del fiume: le acque grigie, verdi azzurre, con riflessi dorati, il tratto di terreno rialzato, color bruno e terra di Siena, l'erba bruciata dal sole. I barconi e il grande battello a cerchi e a fondo piatto dei fiumi e dei laghi dell'Italia settentrionale, la presenza di qualche figura, l'episodio della barca carica di persone che sta per terminare la traversata e punta verso l'attracco; l'atmosfera da ora estiva, pomeridiana, l'aria di giorno di festa per la donna ben abbigliata con cappello di paglia in capo e il cestino della merenda, forse in attesa della comitiva che viene dall'acqua; i barconi senza carichi perchè non è giorno di lavoro, il battello senza uomini a bordo, sono episodi reali che sostituiscono la paesaggistica romantica cui attinse il Vertua nelle sue prime opere”.

 

Fabrizio Loffi


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commenti


michele de crecchio

5 settembre 2023 19:57

Se la memoria non mi inganna, una mostra sulle godibilissime pitture che il Vertua dedicò nell'ottocento ad alcune pittoresche immagini della nostra città fu già organizzata dal Museo Comunale una ventina d'anni or sono. Mi auguro che la nuova edizione della mostra consenta almeno di ammirare qualche opera in passato poco conosciuta e allora non esposta, tipo quella molto divertente e concernente il sagrato di San Luca , opera che, riprodotta in molteplici stampe formato cartolina, fu distribuita in occasione dello scioglimento dello storico circolo "Zaccaria". Non è certamente mio compito giudicare i criteri di programmazione della attività del locale Museo Diocesano, ma ciò non è sufficiente ad annullare il dubbio che, così operando, ci si allontani significativamente dagli scopi istituzionali che, in materia, erano stati. a suo tempo forniti dalla apposita Commissione costituita in seno alla Commissione Episcopale Italiana.

mario dadda

5 settembre 2023 22:40

Mi spiace ,per una rarissima volta, non essere d'accordo con una persona dell'esperienza e della competenza dell'architetto De Crecchio . E' vero che la mostra monografica (la prima , forse) sull'ancora poco conosciuto vedutista Vertua in apparenza è distante dalla missione istituzionale del Museo diocesano . Tuttavia credo che questa sorta di omaggio alla città abbia l'obiettivo di avvicinare e far scoprire ai cremonesi questo nuovo e bellissimo museo che , più o meno nello stesso periodo, ospiterà comunque anche la mostra sulle tavole religiose di Antonio Campi a Torre Pallavicina . Personalmente preferisco "l'eccesso di offerta" del Museo diocesano all 'encefalogramma piatto e allo squallore dell 'Ala Ponzone !

Michele de Crecchio

18 settembre 2023 20:49

Ringrazio Dadda (mio periodico e sempre cortese interlocutore che spero, prima o poi, di avere il piacere di conoscere anche di persona) per la attenzione che spesso mi riserva. Spero che gli faccia piacere sapere che il sottoscritto non può che convenire, senza riserve di sorta, sul contenuto della seconda parte della frase finale del suo scritto.