29 maggio 2025

Dal maestro all'allievo: "Omaggio a Cremona" celebra al Museo del Violino l'arte del tramandare

Con il concerto “Omaggio a Cremona”, l’Accademia Stauffer ha aperto le celebrazioni per il suo quarantesimo anniversario rendendo onore, come da tradizione, alla sua stessa genesi: quella che passa attraverso i nomi di Salvatore Accardo e Bruno Giuranna, in scena stasera: due giganti della scuola violinistica e violistica italiana che, oltre a brillare sui palcoscenici internazionali, insieme a Franco Petracchi e Rocco Filippini, maestri storici dell’ Accademia, hanno dedicato una parte cruciale della loro vita alla trasmissione del sapere musicale. Un atto di generosità nato da un’idea del compianto Andrea Mosconi, che ha dato vita a un’accademia che ha formato generazioni di musicisti, e che è emerso con forza anche nella scelta del programma: abbiamo ascoltato infatti due bellissime composizioni profondamente legate al tema dell’importanza dell’insegnamento e del tramandare valori. 

Un programma all’insegna del rapporto privilegiato tra maestro e allievo già nella scelta degli autori. Non tutti i compositori, infatti, sebbene geniali, hanno scelto di rivestire anche il ruolo di maestri di altri compositori. La generosità del dare e trasmettere è una scelta che contraddistingue solo alcuni tra i grandi Maestri che hanno scritto i capitoli fondamentali della storia della musica. 

Alcuni compositori, infatti, sono stati dei giganti sia come compositori che come maestri. Altri, invece, hanno messo in secondo piano il protagonismo dedicando il loro tempo a formare compositori che hanno poi scritto pagine immortali della storia della musica.

Insieme al Trio per pianoforte, il Quartetto per archi in la minore è considerato la composizione più importante di Anton Arenskij, autore le cui opere oggi difficilmente vengono inserite nelle programmazioni concertistiche, forse a causa di un vecchio giudizio un po’ troppo tranchant di Massimo Mila (definì il suo stile come “pittoresco manierismo salottiero”). Nella mirabile interpretazione del Maestro e i suoi allievi il suono si è fatto spazio raccolto, dialogo sommesso tra generazioni. Il tema di Čajkovskij, dedicatario del quartetto, trattato da Arenskij con reverenza e malinconia, è emerso tra le trame dense e pastose degli archi come una voce lontana ma ancora persistente. La scelta inusuale dell’organico, due violoncelli anziché uno e un solo violino, imprime a questa partitura una gravità vibrante, che richiama profondità ancestrali, e dona alla viola un ruolo più di rilievo nel tessuto sonoro. L’ascolto reciproco tra i musicisti – Jingzhi Zhang, Bruno Giuranna, Maria Clara Mandolesi e Michele Mazzola – ha reso fin nei più infinitesimali dettagli l’architettura sonora: fatta di ombre, di memorie filtrate dalla luce, di commozione trattenuta. Il movimento centrale, le variazioni su un tema di Čajkovskij, cuore poetico del brano, ha messo in rilievo la padronanza tecnica e interpretativa degli esecutori, capaci di scolpire ogni variazione come una struggente miniatura, nel segno di un’elegia che non scade mai nel facile sentimentalismo. I richiami alla tradizione ortodossa e al linguaggio folklorico russo sono stati resi con solennità ma anche con una cantabilità piana che ha dato spessore alla profondità spirituale di questo brano. 

Al termine applausi che non sono stati applausi ma un abbraccio fortissimo della città al maestro Giuranna, un’acclamazione segno di un legame e di un affetto tangibile per questa gloriosa istituzione e i suoi pilastri. 

Con il Quintetto per pianoforte op. 44, capolavoro assoluto di Robert Schumann, compositore tedesco che diede moltissimo spazio, nel corso della sua travagliata vita, al sostegno, alla promozione e alla valorizzazione di giovani talenti, la serata ha cambiato colore ma non tono: dalla malinconia alla vitalità, dalla commemorazione alla celebrazione della vita. La musica ha preso corpo nell’intreccio limpido tra pianoforte e archi, sostenuto dalla sensibilità poetica dell’eccezionale Maria Grazia Bellocchio e dalla presenza luminosa di Salvatore Accardo, affiancato da Mariam Obolashvili, Annika Starc e Hanna Daub. Ogni movimento è stato un atto di resistenza contro la dimenticanza: un’esecuzione energica e coesa, in cui la brillantezza del primo movimento si è alternata all’intima nobiltà della marcia funebre del secondo tempo; particolarmente incisivo lo scherzo in cui lo spirito giocoso di Schumann domina con una ritmica incalzante, per poi concludersi con la corsa ad ostacoli verso la luce del galoppante finale.

Ma al di là dell’ineccepibile livello artistico, ciò che ha reso speciale questa serata è stata la forza del simbolismo: c’è un modo di suonare che non nasce dal gesto tecnico, ma dalla gratitudine. E c’è un modo di tramandare che non si limita all’insegnamento, ma si fa cura, esempio, dono. Una serata che ha restituito il senso più alto della musica: non virtuosismo, ma memoria condivisa con gli eredi designati: gli allievi.

Stasera non si è celebrata solo la memoria musicale ma anche quella pedagogica, incarnata dai due tra i Maestri fondatori della Stauffer ancora attivi e presenti, miti viventi del panorama musicale nazionale. Il loro insegnamento non si è mai limitato alla tecnica strumentale, ma ha saputo costruire un vero e proprio “dojo” musicale, come accade nelle discipline marziali orientali, un cenacolo in cui l’apprendimento è anche un percorso etico, di disciplina, ascolto e comunione.

In un’epoca in cui il sapere sembra spesso frammentarsi, affidato a tutorial e a un consumo rapido o concentrato in brevi intervalli di tempo, eventi come questo ricordano che l’eredità più duratura è quella che passa da un Maestro a un Allievo, da uno sguardo condiviso, da un’ora in più passata in aula ascoltando anche la lezione altrui. Che questo spirito continui a vivere nella nuova generazione di docenti è la vera sfida e insieme la speranza per il futuro dell’Accademia.

La bellezza più profonda di questo straordinario concerto è stata forse nel non detto, nel non suonato, in un’atmosfera di sacralità, quasi da tempio laico. È questo il lascito più profondo dei Maestri Accardo e Giuranna, e il loro modo di “fare scuola” sembra oggi più che mai necessario: un sapere incarnato, che oltre alle spiegazioni tecniche, si dispiega nel tempo, nell’attenzione e, perché no, nei silenzi tra una nota e l’altra.

Ecco allora che “Omaggio a Cremona” non è stato solo un concerto, ma piuttosto un rito e anche una promessa. La testimonianza che nella musica ciò che vale davvero non muore: si trasforma, si tramanda, si rinnova – di generazione in generazione – come un canto di cui, pur cambiando la voce, si conserva l’anima.

Le foto sono di Giuseppe Milanese

Angela Alessi


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