9 febbraio 2025

Dosso Pallavicino, la storia della chiesa con il matroneo. L'effigie di Maria portata da Genivolta e i 'corpi santi' miracolosi. Una cascina che racchiude una storia secolare legata all'acqua

“Dosso Pallavicino” è un toponimo che già da solo racconta la storia di questa località: ci dice che la sua origine è legata ad una terra rialzata in una zona tendenzialmente paludosa e acquitrinosa com’era la pianura cremonese prima delle bonifiche benedettine. "Pallavicino" invece è il patronimico che fa riferimento alla famiglia dei marchesi Pallavicino, proprietari del fondo dal 1632.

Dunque presenza dell’acqua e nobili famiglie intrecciano la storia di questa che oggi è una enorme cascina a corte chiusa che si trova uscendo da Cicognolo in direzione di Piadena, a meno di due chilometri dal paese lungo la via Mantova, annunciata da due alti cipressi che aprono la strada che dalla provinciale arriva fino alla cascina. Ma ci si arriva anche dal paese, proseguendo sul vicolo che affianca la chiesa parrocchiale, superando il canale Ciria ed oltrepassando un elegante varco di ingresso formato da 4 pilastri squadrati, sormontati da semplici pinnacoli. Oltre questo varco, si apre un lungo viale che un tempo era accompagnato da filari di alberi.

L’acqua

Abbiamo detto che "Dosso" chiaramente indica che questa zona era più alta rispetto al resto del territorio acquitrinoso circostante. Ma l’acqua corre nella storia di Dosso anche attraverso le due grandi famiglie che ne ebbero la proprietà: prima la famiglia Ciria (dal 1561, come si evince dal catasto di Carlo V) e poi dal 1632 i Pallavicino. Entrambe le famiglie legano i loro nomi a due importanti opere idrauliche del territorio: i primi per l’omonima roggia Ciria che, a sua volta, ha origine dal Naviglio Grande Pallavicino. La stessa acqua che rese da sempre molto fertili queste terre, come ben descrive Angelo Grandi “un territorio irrigato e fecondissimo di cereali, prati, gelsi, lino e riso".

Una storia antichissima: da Calianum al "castrum" fino alla cascina

Terra di centuriazioni romane questa, dove la storia affonda le radici tanto a fondo che per ripercorrerla bisogna tornare indietro di diversi secoli, incrociando il passaggio di popolazioni come i Celti e forse anche degli Etruschi. Qui il più antico insediamento abitativo di cui si ha traccia certa aveva il nome di Calianum, un villaggio romano che oggi possiamo posizionare indicativamente nella parte di Cicognolo più prossima alla via Mantova. Poi successivamente prese a svilupparsi e crescere di dimensioni e di importanza un villaggio più recente, che prese il nome di "Zigognollo" (la prima traccia scritta è del 1339), il futuro Cicognolo; contemporaneamente Caliano divenne sempre più marginale e il ‘castrum’ di Caliano si ridusse in pratica una grande corte chiusa, una cascina, quella che sarà poi Dosso Pallavicino. Nella carta di Antonio Campi del 1571 si vede chiaramente indicato l’abitato di Cicognolo e poco più a nord il "Dosso di Ciria", rappresentato con una torre, segno della presenza di un torrione di osservazione in quello che nell’alto medioevo fu appunto un ‘castrum’ fortificato.

Una chiesa per il Dosso e le reliquie miracolose

Dosso Pallavicino da sempre quindi è stata una sorta di satellite rispetto a Cicognolo, vuoi per la distanza importante dal paese (e si consideri che fino al 1844 era aggregato al Comune di Cappella de’ Picenardi, ancora più lontano), vuoi perché la sua storia l’ha sempre visto come un’entità a sé ed autonoma. Non c’è quindi da stupirsi se all’interno del complesso architettonico troviamo anche una chiesetta: è ubicata nell'angolo sud-est della cascina, inglobata nella struttura tra la casa padronale e i porticati di servizio, dove si trovava anche la ghiacciaia e dove fino a pochi decenni fa era presente anche un casello per la produzione del provolone. 

Oggi questo oratorio è ancora ben curato e tenuto, anche se le messe naturalmente non vengono celebrate con regolarità ma solo in occasioni particolari. Per le persone ‘comuni’, l’accesso era possibile dall’esterno della cascina, da un antico portale in legno che si apre sulla campagna verso Cappella de’ Picenardi; vi è in realtà un ingresso anche dalla cascina, ma da sempre è stato riservato ai marchesi Pallavicino o comunque ai proprietari del fondo,  in quanto collegato direttamente con la casa padronale. Altra singolarità di questa chiesa è proprio il matroneo raggiungibile direttamente dalle stanze dei signori, che si apre sopra il portone d’ingresso ed è caratterizzato da tre finestrelle chiuse da ante a grata: da qui i nobili seguivano la celebrazione della messa, lontani dai braccianti ai quali negavano persino la loro vista. Durante gli ultimi periodi della sua vita, la marchesa Fulvia Resta Pallavicino ebbe problemi di salute che la costringevano a letto e pertanto non avrebbe potuto presenziare alla messa nemmeno dal matroneo. Allora si decise di realizzare un’apertura nel muro sopra l’altare per permetterle di seguire la celebrazione direttamente dalla sua stanza da letto. 

L’interno oggi è ancora decorato in modo elegante e solenne, con pesanti drappi rossi alle finestre, l’altare con decorazioni marmoree custodisce il tabernacolo ed è sormontato da agili candelabri dorati. Su una parete si trova la lapide che la Marchesa Lucia Ala Ponzone fece apporre in memoria del defunto marito, il Marchese Antonio Pallavicino, mancato il 28 febbraio 1820. Sul muro dietro l’altare, l’affresco della Madonna del Carmine, di cui racconteremo la singolare storia poco più sotto. Ai lati dell’altare, sopra i passaggi che portano alla sacrestia, si trovano ancora due teche reliquiarie, che in passato fecero gridare al miracolo: “Alla intercessione di questi santi ricorreva il popolo nelle pubbliche necessità - scriveva don Cesare Pasetti nei suoi manoscritti- sotto il governo del prevosto Giovambattista Miglioli il tempo si era messo a sereno e la siccità minacciava di rovinare i raccolti. Il giorno sacro alIa S. Croce 3 maggio 1691 si pensò ad una processione con le sacre reliquie del Dosso. I sacerdoti intonarono le litanie dei santi e la processione sfilò dal Dosso alla Parrocchiale. Qui le sacre supplicazioni si rinnovarono, S. Messe furono celebrate ininterrottamente e la fede del popolo non venne delusa. La pioggia ristoratrice venne ed abbondante, cosicché il popolo poté esclamare: il Signore ha fatto il miracolo per l'intercessione dei santi del Dosso”.

L’effigie di Maria ‘importata’ da Genivolta

L’oratorio di Dosso è dedicato alla Natività di Maria Vergine, come era scritto nel frontone della chiesina (anche se Angelo Grandi lo attribuisce alla Beata Vergine delle Grazie) e venne edificato nel 1669 dal marchese Muzio Pallavicino. Se però seguiamo le vicende storiche, scopriamo che il trisavolo di Muzio fece asportare da un muro di Genivolta un affresco della Beata Vergine del Carmine, vuoi per devozione, vuoi per salvarlo dalla rovina causata dalle continue lotte che interessavano la zona. Una prassi non singolare, di cui troviamo un altro caso ad esempio nella chiesa di San Lorenzo Guazzone (leggi qui la storia) che custodisce un affresco proprio di una Madonna del Carmelo 'trasferita' da una chiesa poi abbattuta, o anche a San Zavedro, solo per citare un paio di esempi.

Quel muro venne quindi portato a Dosso verosimilmente verso la prima metà del 1500 per essere posto all’interno di una ‘chiesetta’ costruita appositamente. E’ quindi logico supporre che l’oratorio eretto da Muzio Pallavicino nel 1669 abbia sostituito un precedente edificio di culto o comunque una cappelletta, di cui non rimane traccia ma sulla cui esistenza non si dovrebbero avere dubbi, sia in funzione della traslazione dell’immagine della Madonna del Carmine 150 anni prima (dove sarebbe stata custodita, se no?), sia considerando che la cascina Dosso Pallavicino era distante dai centri abitati ed era quindi una realtà a sé stante, quella che si può definire una ‘cascina paese’, con le botteghe e anche un casello per la produzione del provolone. Una realtà di altri tempi, dove la vita si svolgeva all’interno di una corte, divisa tra lavoro e comunità, tra famiglia e la messa della domenica in quel piccolo oratorio.

Michela Garatti


© RIPRODUZIONE RISERVATA




commenti


Michele de Crecchio

9 febbraio 2025 15:09

Sono davvero pochi, per ovvie ragioni, i matronei (tipici delle grandi cattedrali) presenti anche in talune piccole chiese di campagna costruite in cascine isolate al servizio di poderi molto estesi. Come consentivano anche i palchi nei teatri, tali matronei evitavano ai proprietari del fondo, ai loro familiari e ospiti, di seguire le cerimonie religiose senza doversi mischiare con i comuni e modesti fedeli. In generale tali matronei erano piuttosto rari (al momento mi sovviene alla memoria solo quello, decisamente piccolo, che è presente nella cascina Cambonino Vecchio, in comune di Cremona, cascina che, divenuta proprietà del Comune di Cremona, divenne, ed è ancora oggi, "Museo della civiltà cittadina", per felice intuizione di quell'ottimo sindaco che fu Emilio Zanoni.

Lilluccio Bartoli

10 febbraio 2025 09:54

Negli anni '80 ebbi modo (fortuna o là dove la schiena cambia nome) di vedere cascina, ghiacciaia, chiesetta, casa padronale, all'epoca targata Gazzina. Era respirare il passato, ricordo foto dell'ottocento con ufficiali in divisa ceca la cui progenie era la mamma dell'amico Paolo Gazzina di rara sciaguritaggine e per questo carissimo amico, ricordo il matroneo e la sua dimora avita, molto curata, calda, con preziositudini qua e là, disposte con garbo, grazia ed euritmia. Non sono invecchiato per niente, se ho avuto la fortuna o là dove la schiena cambia nome, di vedere queste cose avendo amici così.