Generazioni a confronto, il Kremer Trio vola tra modernità e tradizione allo Stradivari Festival. E questa sera il violoncello di Istvan Vardai
Secondo appuntamento dello Stradivari Festival all’insegna della duplicità data la partecipazione di un trio d’eccezione: Gidon Kremer al violino (il pregiatissimo “Hambourg” di Nicola Amati, 1641), Giedrė Dirvanauskaitė al violoncello (Matteo Goffriller, 1710) e Georgjis Osokins al pianoforte.
Un trio, tre generazioni e un programma che abbraccia modernità e tradizione.
Kremer, artista poliedrico che ha segnato il panorama musicale internazionale da oltre mezzo secolo, ha nuovamente condiviso il palco con due giovani musicisti che da anni ricoprono ruoli di rilievo all’interno di quello che forse è il progetto più caro al violinista lituano, ovvero l’orchestra Kremerata Baltica (Dirvanauskaitė in veste di primo violoncello e Osokins come primo artist in residence permanente). Ancor prima di suonare ha dimostrato la stima e la fiducia che prova nei confronti della nuova generazione di musicisti facendosi mentore ma senza adombrare, condividendo il palcoscenico e non monopolizzandolo.
Un programma diviso tra modernità e tradizione; da un lato brani di Giya Kancheli, Victor Kissine e Dmitri Shostakovich, rappresentanti delle scuole compositive del Nord Europa e della Russia, e dall’altro il notturno per trio di Franz Schubert e uno per piano solo di Fryderyk Chopin, due tra i massimi esponenti della tradizione musicale europea. L’interesse del violinista per il repertorio contemporaneo è noto da tempo, le sue esecuzioni sono state capaci di influenzare le tendenze musicali anche grazie alla promozione e riscoperta di autori fino poco tempo fa ritenuti minori (il caso di Mieczyslaw Weinberg è particolarmente significativo).
Le opere di Kancheli (1935-2019) sono carissime alla compagine baltica il cui stile ci è caratterizzato da melodie variegate, a volte distese altre volte solo accennate, che disegnano nella mente dell’ascoltatore immagini interiori che suscitano emozioni irrequiete. L’impiego di modalità e tonalità si abbina con garbo a più arditi artifici strumentali, si trova un equilibrio tra forma musicale libera e tradizione compositiva classica.
“Middelheim” si struttura in maniera piuttosto libera a partire da un frammento-firma di quattro note che possono ricordare la successione BACH (impiegato dai tempi di Johann Sebastian fino ai giorni nostri) o DSCH (firma Shostakovich) e costituiscono l’ossatura del pezzo. Le melodie vengono frantumate tra i vari strumenti che dialogano costantemente in questa sorta di tetro rondò, fino a dissolversi in pochi armonici magnificamente sfiorati dagli archi sulle tastiere. Notevole la cura dei timbri da parte degli esecutori, il caratteristico suono “soffiato” di Kremer si è opportunamente palesato nei momenti che richiedevano maggiore morbidezza.
Altra scuola di pensiero quella di Kissine (1953*), compositore che predilige nei sui brani temi più frammentari e sonorità più estreme, sintetizzando molti stilemi appartenuti ad autori di matrice tedesca (ad esempio Anton Von Webern) ma anche di stampo russo (da Shostakovich a Schnittke).
“For Pablo”, questa sera in prima italiana, si struttura in maniera più tradizionale: il tema principale, ovvero una melodia dai contorni delicati, viene esposto dal pianoforte mentre gli archi alternano vari tipi di accompagnamenti. I musicisti hanno dato prova di una grande padronanza della tecnica estesa dei loro strumenti eseguendo tremoli, colpi d’arco percussivi, pizzicati e suoni alla tastiera che hanno creato un’atmosfera unica dai colori tenui.
Il Notturno Op. 148 di Schubert si è inserito fra le opere degli autori russi donando al programma la caratteristica alternanza modernità-tradizione che Kremer predilige.
Opera matura del compositore viennese, questo pezzo ha entusiasmato il pubblico grazie al suo candido ottimismo, piuttosto raro nelle ultimi brani dell’autore. La dolce melanconia del movimento è stata espressa appieno dal tema eseguito omoritmicamente dagli archi (notevole il violoncello di Dirvanauskaitė, il cui timbro vivido ha centrato una sonorità ricca senza forzare). Osokins ha magistralmente dialogato con i due archi e ha saputo sostenere gli equilibri facendo da collante dell’intero gruppo.
Inutile lodare ulteriormente le doti strumentali e lo spessore musicale degli artisti in scena che nel magico notturno hanno raggiunto vette molto alte. Il carisma di Kremer si è meravigliosamente sposato con quello dei suoi colleghi senza mai sopraffarli.
Esecuzione convincente ed originale del Notturno Op. 27 n. 2 di Chopin da parte di Osokins: interprete giovane ma con una personalità già notevolmente formata che ha dimostrato capacità interpretative di altissimo livello (straordinario il suo rubato, ampiamente impiegato ma mai ridondante).
Il secondo trio Op. 67 di Shostakovich ha chiuso il programma ufficiale della serata. La scelta di questo brano ha fatto in qualche modo da collante all’interno della scaletta mostrando punti di contatto e differenze tra le scuole compositive di ieri e di oggi, un vero e proprio classico del Novecento.
Basato su melodie ebraiche, questo trio risuona nelle orecchie degli ammiratori di Kremer nella storica registrazione del trio Argerich, Kremer Maisky. A distanza di vent’anni risentire questo brano con nuovi interpreti fa davvero piacere, le idee musicali sono state travolgenti e personali, mai una mera replica di ciò che è stato. Suoni spettrali, ritmi ossessivi e melodie lamentose sono fuoriuscite con la massima naturalezza dal trio che ha sicuramente dato la massima prova di bravura e spessore interpretativo della serata in questo pezzo.
Il pubblico cremonese ha salutato calorosamente i musicisti, i quali hanno concesso come fuoriprogramma il lied “Du bist die Ruhe” in una versione per trio, un’esemplare melodia schubertiana dal sapore dolceamaro.
Prossimo appuntamento dello STRADIVARI festival stasera con il virtuoso del violoncello ungherese Istvan Vardai e la Franz Liszt Academy Orchestra.
Fotoservizio Gianpaolo Guarneri (FotoStudio b12)
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