I Santi del grande fiume. Nella solennità di Tutti i Santi ricordiamo anche coloro che dalle rive del Po sono arrivati alla gloria degli altari
Puntuale è arrivato il giorno delle zucche vuote. Vuote perché, nel loro agire, alimentano un Paese, l’Italia, in cui si sono persi fior di tradizioni ultrasecolari ma si è dato spazio a giornate ed iniziative che nulla hanno a che vedere con le nostre identità, la nostra storia e la nostra cultura. Singolare poi dover (purtroppo) sentire soggetti che motivano la loro frenetica voglia di far festa (festeggiare cosa?) con la scusa di voler far divertire i bambini. Non diamo la “colpa” a questi ultimi che possono divertirsi in mille altri modi. Spesso i veri “bambinoni” sono gli adulti che, in modo anche imbarazzante, abbigliandosi con cose inqualificabili, devono festeggiare (già, festeggiare) la morte. Del resto sono quelli che alla domanda “cosa si ‘festeggia’ il primo novembre” il più delle volte diranno che è “il giorno dei morti” confermando una ignoranza disarmante.
Nella ormai vana speranza che in questo Paese, o in ciò che ne resta,almeno qualche tradizione plurisecolare venga ripresa (responsabili dia associazioni e politicanti battano un colpo, non a parole ma coi fatti) è bene ricordare che da mezzogiorno del 31 ottobre e sino a tutto il primo novembre si celebra la solennità di Tutti i Santi: e si “festeggia” (meglio dire si celebra) la vita e si ricordano coloro che hanno dato straordinarie testimonianze di vita, con esempi che sarebbero da seguire ed imitare. Ce ne sarebbero, e ce ne sono, tantissimi da citare ma in questo caso, in terra di Po, è bello poter ricordare i santi del Po. Di quel Grande fiume che è da sempre terra di lavoratori e di lavoratrici, di pensatori e poeti, di viandanti e di scrittori. Ma anche terra di santi e beati, anacoreti ed eremiti. Nel giorno in cui si celebra la solennità di Tutti i Santi è utile fare memoria anche di coloro che, sulle rive del Po, hanno percorso strade e vissuto esperienze che li hanno portati alla Gloria degli altari. Poco conosciuta ai più è la vicenda di san Geroldo martire, pellegrino di origine tedesca che si recò a Santiago de Compostela e a Roma percorrendo la celebre via Francigena, morto nel 1241 dopo essere stato assalito ed ucciso da banditi che ne abbandonarono il corpo. Secondo la tradizione cremonese, il martirio avvenne nei pressi di Porta Mosa, a Cremona e, subito, le campane della città si misero a suonare da sole e numerosi miracoli e prodigi si moltiplicarono. Il suo corpo inizialmente fu recuperato da alcuni pescatori e fu inizialmente deposto nella chiesa di San Vitale, divenuta poi di “San Vitale e San Geroldo” per iniziativa del vescovo Omobono. Il corpo è oggi conservato nella chiesa di Santa Maria Maddalena, in Cremona, dove gli è anche dedicato un prezioso altare. Non ha invece bisogno di presentazioni sant’Omobono (forse il primo laico italiano a diventare santo), patrono di Cremona, mercante vissuto nel XII secolo che abbracciò lo stato di vita della penitenza volontaria dedicandosi alla preghiera, alla devozione verso la Croce e alle opere di carità, ospitando e soccorrendo i poveri. “Uomo di pace” si inserì come pacificatore nelle turbolente vicende della Cremona comunale, agitata anche religiosamente dalle correnti ereticali del suo tempo. Morì all’alba del 13 novembre 1197, mentre, come sua consuetudine, dopo la preghiera notturna nella chiesa parrocchiale di Sant’Egidio, partecipava alla messa.
Altra figura molto celebre è quella di san Rocco, ricordato e venerato in molto chiese, oratori e maestà di tutta Italia, in particolare proprio nelle regioni bagnate dal Po. Il Santo taumaturgo di origine francese avrebbe soggiornato a Sarmato, Caorso e Piacenza ed avrebbe operato guarigioni. Annoverato tra i santi del terzo Ordine di San Francesco, arrivò nel territorio piacentino nel 1322 e, prima di entrare in città, visitò numerosi paesi della provincia emiliana, fermandosi soprattutto negli ospedali, tra questi quello di santa Maria di Betlhem a Piacenza, l’attuale chiesa di sant’Anna. Dopo essersi ammalato di peste soggiornò, in particolare, a Sarmato, in mezzo alla boscaglia, pare in una capanna. Sostò, in modo particolare, oltre che a Sarmato, come anticipato, anche a Piacenza e a Caorso, prestando la sua opera durante le epidemie di peste, ed operando anche diverse guarigioni. Durante la sua permanenza tra la boscaglia, e forse una grotta o una capanna nei pressi di Sarmato, mentre era colpito a sua volta dalla peste, pare che ogni giorno ricevesse la visita di un cane, di proprietà del nobile Gottardo Pallastrelli (divenuto poi, a sua volta, santo), che gli portava un panino (per questo motivo san Rocco è sempre rappresentato con un cagnolino a fianco, con in bocca un tozzo di pane). Secondo la tradizione, intorno al 1322, san Rocco incontrò quindi san Gottardo Pallastrelli, proprietario del castello di Sarmato, convincendolo a cambiare vita e a lasciare tutte le sue ricchezze ai poveri. Si narra anche che san Gottardo, prima di andarsene dalla sua città, abbia voluto lasciare un ricordo del suo maestro dipingendo l’effige di San Rocco nella chiesa di santa Maria in Betlemme, ora detta di sant’Anna, a Piacenza, accanto all’immagine della Vergine Maria. Restando in terra piacentina, non può essere dimenticata la figura di un altro santo, nato a due passi dal fiume: san Corrado Confalonieri. Nato a Calendasco nel 1290 e morto a Noto il 19 febbraio 1351, fu, come san Rocco, un penitente, terziario francescano e pellegrino e condusse una vita anacoretica, da eremita. Appartenente alla nobile famiglia dei Confalonieri, la sua vita subì una radicale modifica in seguito ad un tragico evento avvenuto durante una battuta di caccia che stava conducendo con amici. Quel giorno il Confalonieri ordinò di dare fuoco alla boscaglia per stanare la selvaggina, ma le fiamme a causa del vento distrussero boschi, case e capanne. Inizialmente fu accusato un povero contadino ma Corrado, che non riusciva a darsi pace, decise di ammettere le sue colpe e subì così la confisca di tutti i terreni per risarcire il danno. Da lì ebbe si avvicinò sempre di più alla fede, vestì infatti l’abito penitenziale francescano ritirandosi nell’eremo nei pressi di Calendasco. Sia lui che la moglie Giovannina, decisero entrambi di votarsi alla religione: lui francescano terziario, lei clarissa. Nel progredire nel suo stato religioso ebbe modo di riflettere sulla sua scelta fino a prendere la decisione di lasciare Piacenza e tutte le cose materiali per dedicarsi alla propria anima e alle cose eterne, così che, intorno al 1315, lasciò la città. Nel suo lungo peregrinare, eremita itinerante secondo la tradizione francescana, Corrado attraversò l’Italia verso sud, pregando sulle tombe degli Apostoli a Roma, fino ad arrivare nella sua meta definitiva, Noto, in Sicilia, intorno al 1340. Qui legò una stretta amicizia con Guglielmo Buccheri, già scudiero di Federico II d’Aragona, che le vicende della vita portarono a fare una scelta d’eremitaggio simile a Corrado. Buccheri ospitò Corrado nelle cosiddette Celle, un quartiere isolato nei pressi della Chiesa del Crocifisso, dove rimase per circa due anni, per poi ricominciare le sue peregrinazioni quando il suo eremitaggio fu compromesso dalle sempre più numerose genti che chiedevano, a lui, preghiere e consigli. Corrado si trasferì in zone remote e desertiche, il suo unico pensiero era avvicinarsi a Dio, conducendo una vita ascetica al pari dei grandi Padri del deserto. Corrado morì nella sua grotta il 19 febbraio 1351 con al suo fianco il confessore. Il racconto narra di un trapasso avvenuto in ginocchio e in preghiera con gli occhi al cielo, posizione mantenuta anche dopo il trapasso, mentre una luce avvolgeva la Grotta dei Pizzoni. Il suo corpo è conservato, e ampiamente venerato, nella cattedrale di Noto,, città di cui è patrono. Sempre in terra piacentina, altra figura da evidenziare è quella di san Savino (o sabino) che fu vescovo di Piacenza per ben 45 anni. La sua figura è legata ad una significativa tradizione fluviale . Pare infatti, che il vescovo, durante una piena del Po, ordinò al fiume di ritirarsi gettando nelle sue acque una lettera. Secondo la leggenda la sua richiesta fu esaudita e da allora viene sempre invocato il suo nome contro le esondazioni del Grande fiume. A proposito di vescovi santi, una citazione la meritano anche san Carlo Borromeo, storico cardinale arcivescovo di Milano, protagonista di un significativo viaggio lungo il Po, da Milano a Venezia. nel 1580 e patrono di Casalmaggiore. Tra i santi più “recenti” sono inoltre da ricordare san Vincenzo Grossi, fondatore dell’Istituto delle figlie dell’oratorio nato sulle rive di un fiume, l’Adda, a Pizzighettone nel 1845 e morto a Vicobellignano (dove era parroco dal 1883) nel 1917. San Vincenzo Grossi è stato canonizzato da papa Francesco, doveroso ricordarlo, nel 2015 (il prossimo anno, in pieno Giubileo, ricorrerà quindi il decennale della canonizzazione). Sempre tra i santi “recenti” sono da ricordare sant’Artemide Zatti, nato a Boretto nel 1880 e morto in Argentina nel 1951, e san Giovanni Battista Sacalabrini, a lungo vescovo di Piacenza, fondatore della Congregazione dei missionari di San Carlo e della Congregazione delle suore missionarie di San Carlo Borromeo: entrambi sono stati canonizzati da papa Francesco due anni fa. Passando poi tra i santi ed i beati che hanno avuto i natali sulle rive del Grande fiume, spiccano il beato Angelo Carletti, nato a Chivasso nel 1410 e morto a Cuneo nel 1495, importante letterato, religioso e umanista del XV secolo; Sant’Antonio Maria Zaccaria, nato a Cremona nel 1502 e morto nella stessa Cremona nel 1539, medico e religioso, fondatore dei Barnabiti; il beato Giovanni Cacciafronte de Sordi, vescovo e martire, nato a Cremona nel 1125 e morto a Vicenza nel 1184; san Folco Scotti, vescovo, nato a Piacenza nel 1164 e morto a Pavia nel 1229.
Una citazione senza dubbio la merita anche san Cristoforo martire che può essere simpaticamente definito un santo “da fiume”. Infatti fin dal medioevo è il protettore di coloro che guadano fiumi, torrenti e corsi d’acqua pellegrini e viaggiatori in genere (ed è patrono di Vidalenzo, piccolo centro rivierasco del Parmense simbolicamente posto al crocevia tra le province di Parma, Cremona e Piacenza), come non può essere tralasciata la figura Sant’Agnese, protettrice di barcaroli e pescatori.
Una panoramica di certo parziale dei santi e beati che, per motivi diversi, sono legati al Grande fiume. Con la speranza che, un giorno, se ne possa ricavare una ricerca completa e dettagliata e, perché no, si possa dar vita ad una celebrazione dedicata ai santi del Po unendo le due sponde perché il fiume, va ribadito ancora una volta, deve unire e non dividere.
Nelle foto l'uccisione di San Geroldo, San Rocco, san Vincenzo Grossi e poi Sant'Omobono, Sant'Agnese e Sant'Artemide Zatti
Eremita del Po
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